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In anteprima al Nuovo Teatro Sanità, dal 19 al 30 aprile, lo spettacolo diretto da Mario Gelardi tratto dall’ultimo romanzo di Roberto Saviano, prima del debutto nazionale a Spoleto Festival dei Due Mondi il prossimo 1 e 2 luglio.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

È un inferno abitato da bambini quello che prende forma sul palco del Nuovo Teatro Sanità mentre piccole torce squarciano il buio e ci catapultano in una Forcella che del noto quartiere napoletano conserva solo il nome perchè volutamente la regia di Mario Gelardi – insieme alla collaborazione di Carlo Caraciolo – ha inteso trasformarlo in un luogo universale.
Pretesto per raccontare vite ai margini del Male, intrise di violenza, in cui è la droga, la voglia di potere e i soldi a fare da padroni, non è infatti Napoli soltanto l’obiettivo su cui si intende accendere i riflettori, ma è l’infanzia malata – così come la definisce lo scrittore Premio Nobel William Golding – ciò a cui si vuole guardare, per raccontarla come fenomeno in crescita, spiazzante e pericolosa ancor di più perché vede protagonisti dei bambini. E che se Roberto Saviano, dal cui omonimo libro lo spettacolo è tratto, ha inteso circoscrivere alla realtà a noi più vicina, è contemporaneamente estensibile a qualsiasi altro luogo del mondo in cui stridente si fa la commistione tra bellezza e degrado; tra vita e morte; tra normalità ed emergenza.
Oltre dunque al riferimento toponomastico, nulla più – sulla scena di Armando Alovisi – lascia capire dove l’azione si svolge e chi siano quegli otto piccoli criminali (perfettamente cuciti su ciascuno degli attori che li interpreta – Vincenzo Antonucci, Luigi Bignone, Riccardo Ciccarelli, Mariano Coletti, Giampiero de Concilio, Simone Fiorillo, Carlo Geltrude, Enrico Maria Pacini – di cui rispecchiano, nei tratti distintivi al negativo, le loro peculiarità caratteriali in positivo) che iniziano la loro ascesa, ancora in bilico tra l’essere figli adolescenti di famiglie inconsapevoli, e adulti alle prese con armi e rapine. Da un lato infantili e impreparati a ciò che ambiscono, dall’altro pronti a tutto – anche uccidere – per ottenere ciò che vogliono e che considerano l’unico punto di arrivo possibile per dare un senso alle proprie esistenze.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Gli fanno da contraltare, in questo microcosmo verticalizzato in cui ciascuno è sotto il comando e il controllo di qualcun altro, boss adulti, latitanti o agli arresti domiciliari (a cui conferisce atteggiamenti e personalità Carlo Caracciolo, in uno scambio di ruoli frequente che riesce a controllare e rendere con manieristica efficacia), luogotenenti in cerca di personale affermazione (il bravo Antimo Casertano), zingari a loro volta in cerca di un posizionamento di rispetto nel limbo criminale (a cui dà ancora una volta corpo e voce Caracciolo).
Ma è allora di una realtà già nota che stiamo vedendo la rappresentazione? Niente affatto. E in questo rifuggire dal piglio cronachistico, che se si addice ad un romanzo meno si adatta al teatro, è la regia che gioca un ruolo centrale e vincente così come il lavoro di adattamento dalla pagina al testo – «Per motivi drammaturgici, spiega Gelardi, ho dovuto accorpare alcuni personaggi, creare delle relazione nuove a volte più approfondite. Ma Saviano mi ha lasciato totale libertà in questo» – e ancora, l’immaginario a cui si è fatto riferimento, «quello delle graphic novel americane. In particolare il mondo creato dal disegnatore Frank Miller, creatore di Sin City ma anche colui che ha ripensato la dimensione dei classici super eroi».
Ed è così che gli attori – tutti facenti parte del gruppo di lavoro, precisa il regista e direttore artistico del ntS’, «con cui da quattro anni penso e creo i progetti artistici del nuovo teatro Sanità, ad eccezione di Antimo Casertano e Luigi Bignone che sono attori “esterni”, tra cui due ragazzi che si sono formati alla nostra “bottega teatrale” e sono al loro debutto assoluto» – assumono le sembianze dei cattivi dei fumetti, dai costumi di ispirazione nord-europea, rigorosamente neri, a firma 0770, alle movenze estremamente atletiche e agili; che le luci (di Paco Summonte) creano tagli e controluce in grado di materializzare sul palco le tavole del fumettista americano tra i più importanti del genere; che le musiche originali (di Tommy Grieco) riescono a rendere palpabili le tensioni che attraversano ogni azione, sottolineando con discrezione ma incisività i passaggi nodali della storia.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Quella storia che prima Saviano scrivendo il libro e ora Gelardi curando la versione scenica – dopo dieci anni dal successo teatrale di Gomorra che per la prima volta li aveva visti insieme – intendono affrontare: per la «immutata la voglia di raccontare», che contraddistingue il loro modo di lavorare, fatta di ricorsi ad una «narrazione chirurgica», ma soprattutto per rispondere alla domanda, ricorrente e legittima, su quanto possa la rappresentazione del male, attraverso una qualsivoglia forma artistica, portare al rischio dell’emulazione e quanto possa, invece, fungere da deterrente. Interrogativo rispetto al quale Gelardi ammette di non restare indifferente ma «spero basti guardare i miei spettacoli per capire che non c’è alcuna esaltazione del crimine o della delinquenza. La miseria umana di chi sceglie la parte nera della vita è evidente anche in questo lavoro».
Indubbia, difatti, è la presa di distanze da quanto si vede così come la crescente empatia che si prova per i due personaggi più piccoli e deboli le cui acerbe identità gradualmente si definiscono nell’arco della messinscena; a testimonianza che incondizionata resta la capacità critica di discernimento – per chi osserva – tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nonostante il coinvolgimento totale, emotivo, visivo e sonoro, nelle trame delle vicende rappresentate, probabile preludio di un seguito che il finale aperto, imprevedibile, lascia immaginare possibile.
E che chi scrive, auspica: perché se è vero come sottolinea Gelardi che «La paranza dei bambini è soprattutto il frutto del talento e della caparbietà di un gruppo di giovani che non si è fatto mai abbattere dalle difficoltà di fare teatro, di farlo a Napoli, di farlo nella Sanità, di farlo senza alcun riconoscimento Ministeriale. È la nostra risposta al teatro delle tabelle, dei numeri presunti e mai reali. È quello che sappiamo fare», è a questa ostinazione che bisogna fare appello e dare fiducia. Per non restare ingabbiati in alcuna rete che abita il mare della notte (come splendidamente scrive Saviano nel monologo di apertura), ma continuare la corsa verso la luce, questa volta senza fine.

Ileana Bonadies

 

Nuovo Teatro Sanità
piazzetta San Vincenzo 1 – Rione Sanità, Napoli
contatti: 3396666426 – info@nuovoteatrosanita.it – www.nuovoteatrosanita.it
orari: dal martedì al sabato ore 21.00; domenica ore 18.00

 

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