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Al Teatro Elicantropo di Napoli, Ernesto Lama protagonista, dal 20 al 23 aprile, del testo di Ruccello “Le cinque rose di Jennifer”, accompagnato in scena da Elisabetta D’Acunzo, per la regia di Peppe Miale.  

Le cinque rose di Jennifer

Foto Nunzia Esposito

La penombra domina l’appartamentino in disordine di Jennifer. La luce sfuggente che s’insinua tra i fori della persiana illuminano il comodino, accanto al letto, dove c’è il telefono. Un telefono che squilla, insistente, a designare il vero interlocutore, coprotagonista e custode di ogni ansia, aspettativa, risata, su cui sono costruiti i dialoghi-monologhi-pensieri di Jennifer. Lei è seduta su una sdrucita poltrona in pelle, di spalle al pubblico. La sua figura, però, non rifugge gli spettatori, si mostra sempre, riflessa in un enorme specchio, in cui gli spettatori stessi possono vedersi riflessi, testimoni inermi della vita agita sul palco. La scena, così concepita nella visione registica di Peppe Miale e realizzata da Mauro Rea, è la mostrazione dell’essenza di Jennifer. Il parato a fiori esprime il suo esser sopra le righe, i tanti trucchi, confusamente appoggiati sulla toeletta, sono la prefigurazione della maschera che Ernesto Lama, nei panni del personaggio, disegnerà sul suo volto, il letto singolo descrive la condizione di profonda solitudine del travestito. Se questi elementi trovano una corrispondenza abbastanza fedele nelle didascalie del testo, scritto da Annibale Ruccello nel 1980, e con cui molti – nel tempo – sono i registi e gli attori che si sono confrontati, un altro oggetto assume un significato altamente simbolico, in cui è racchiusa la poetica dell’autore: una sveglia appesa ad un filo, che con i suoi rintocchi, scandisce il tempo dell’attesa. Sull’attesa Ruccello ha costruito una drammaturgia in tensione, che fa ridere, per il contrasto e l’ambiguità della natura di Jennifer, in cui confliggono l’irrequietezza e  la speranza di un amore che la venga a salvare, ma che inquieta, quando il mondo esterno viene catapultato all’interno di quelle quattro mura con la notizia di un serial-killer che sta facendo strage di travestiti nel quartiere. Allora, la voce della radio, altro strumento, come il telefono, necessario a tratteggiare la quotidianità grigia e solo a sprazzi colorata, di Jennifer, da rassicurante compagnia, diventa medium di un’angoscia, preludio alla tragica conclusione.

Le cinque rose di Jennifer

Foto Nunzia Esposito

A irrompere in quel mondo, apparentemente calmo e interiormente caotico, si affaccia la figura di Anna, un altro travestito, descritto semplicemente come “una tranquilla zitella”, a cui a dare corpo in questo adattamento è Elisabetta D’Acunzo, tutta devota, anche lei in attesa di una speranza carica del cambiamento, senza possedere, però, fino in fondo, l’ambiguità del personaggio che avrebbe dovuto creare una maggiore tensiva sospensione nella messinscena. Anche in Anna, la dimensione solitaria è componente strutturale del suo essere, disegnando un doppio di Jennifer, una rifrangenza dei personaggi, che addirittura ha un terzo significante corrispondente in Rusinella, la gatta di Anna che lei trova in casa, squartata, presagio nefasto al violento epilogo. L’ambiguità, attraverso un marcato travestimento esteriore e d’intenzione, è la caratteristica che è mancata pure alla Jennifer ritratta da Lama, che però ha dotato la protagonista di un’intensa umanità, quasi una pietà, ferocemente mostrata nella volontà di trattenere il coltello, l’arma del delitto, e di non restituirlo alla sua vicina terrorizzata. Questa Jennifer è carica della forza e della poesia dei personaggi di Viviani, non tradendo le origini di Ruccello. Una forza e una poesia che, non trasformandosi in rassegnazione, però, non sono capaci di proteggerla dal sentimento del tragico serbato nel suo cuore.

Antonella D’Arco

Teatro Elicantropo
Vico Gerolomini 3 – Napoli
Info e contatti: 081296640; 3491925942
Orario degli spettacoli: dal giovedì al sabato ore 21.00; domenica ore 18.00

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