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Un autobus a due piani si trasforma in palcoscenico, diventando luogo ideale per raccontare  la condizione dell’umanità infossata così come delineata dall’autore irlandese e reinterpretata dalla regia di Annamaria Palomba.

Il Bus Theater

Il Bus Theater

L’esplorazione beckettiana della felicità e della vita ha raggiunto Napoli sul Bus Theater, facendo tappa al Nest-Napoli Est Teatro, progetto socio-culturale nel cuore di San Giovanni a Teduccio che ha trasformato una vecchia palestra degradata in uno spazio artistico, con l’intento di riqualificare quartieri periferici ritenuti “difficili” e spesso emarginati.
Lo spettatore, appena salito al secondo piano del Bus, si trova in una camera nuziale dove saltano subito agli occhi due buche, di cui solo una è abitata. Comincia così, in un adattamento napoletano, il viaggio in Giorni felici, la pièce teatrale che Samuel Beckett scrisse nel 1961. Diretta da Annamaria Palomba, attrice napoletana alla sua prima regia, Ilaria Cecere è Winnie, la signora di cui vediamo solo il mezzo busto, sprofondata com’è all’interno della fossa. È da lì che ci racconta i suoi giorni meravigliosi, disegnando ghirigori di parole che si rincorrono ininterrotti in un dramma-monologo, alla ricerca forsennata di una comunicazione coniugale mai realizzata. Infatti Willie, marito di Winnie, continuamente invocato e richiamato con sassi lanciati in quella buca vuota, non comparirà mai in scena “Mi sono permessa una libertà dal testo di Beckett” racconta la regista.
Euforia e isteria, canto e disincanto, riso e pianto: sono le forme di una strana felicità, di brandelli di felicità che lei insegue ogni giorno. Magistrale la mimica facciale e corporea della Cecere, che riesce con disinvoltura a correre dietro ai moti interiori, così cangianti e altalenanti e misti, dell’assurdo personaggio beckettiano. Questa donna, “sospesa tra alcun slancio e qualche bagliore di luce infernale” si lega, in modo eccessivo, a piccoli oggetti che estrae man mano dalla sua borsa, emblema del suo piccolo mondo angusto: uno specchio, uno spazzolino, un cappello, una pistola perché no, un ombrellino e una limetta per le unghie, “tieniti sempre in ordine Winnie, a testa alta e a testa dura” si ripete nella sua cantilena; sono loro – con cui sembra quasi dialogare – ad aiutarla a “tirare avanti” garantendo un altro giorno felice. Ma ecco all’improvviso comparire una formica e in pochi minuti tutto cambiare: spavento, commozione e irritazione invadono il personaggio ora solleticata e invasa da un essere quasi invisibile, ma pur sempre “vivo”, e l’atmosfera da “leggera” trasformarsi in amara, seppure col sorriso.

Ilaria Cecere in Winnie

Ilaria Cecere in Winnie

“Sogno che tu vieni da questo punto, io ti potrei guardare e fare una scorpacciata di te” si rivolge così, quasi stanca e rassegnata, per l’ultima volta, al suo Willie. E le uniche risposte che riceve sono la sordità e il mutismo, acuto e rumoroso. Così Winnie, in una attesa di sempre beckettiana memoria, sprofonda completamente nella buca, rassegnata alla impossibilità di raggiungere la felicità agognata, mentre le ristrettezze spaziali e temporali a cui è costretta incombono su di lei e sono sapientemente rese dalla maestria registica della Palomba, a bordo di un bus e nell’arco di trenta minuti di spettacolo scanditi, come i giorni felici di questa donna, dal campanello del sonno che sottolinea così l’ovvia ineluttabilità temporale, tanto cara al drammaturgo di Dublino.
La sensazione che si ha salendo su questo palco a otto ruote è quella di entrare fisicamente nel testo di Samuel Beckett e trovarsi subito di fronte alle tematiche a lui care, così come conferma la stessa regista: “Il bus mi è subito sembrato il luogo ideale in cui portare questo testo evidenziandosi in questo contesto due limiti, lo spazio e il tempo, che ricalcano pedissequamente i limiti dei personaggi beckettiani che vorrebbero fare qualcosa, vorrebbero agire per cambiare la propria condizione ma ne sono impossibilitati”. E immediato è stato l’ incontro di intenti con la protagonista: “È un testo molto amato da Ilaria ed è l’unico del drammaturgo irlandese che personalmente non avevo mai affrontato in scena”.
Lo spazio ristretto ma essenziale annulla ogni distanza tra attore e spettatore, consentendo così di mettere piede proprio nella camera di Winnie, nelle sua mente e nei suoi stati d’animo. Del resto, “creare comunità e fare comunione col pubblico è la nostra mission” spiega la sociologa Roberta Ferraro che, insieme all’attrice Ilaria Cecere e al performer Alessio Ferrara, dal 2015 conduce il Bus Theater.
Se le si chiede da dove vengano, chi siano e dove stiano andando racconta che, partiti in autogestione e poi col crowfunding, sostenuti anche da un protocollo d’intesa col comune di Sant’Agnello, il Bus ricalca la vecchia idea di teatro cinquecentesco, quello che “si faceva” per strada e su un carrozzone. “Abbiamo toccato diverse aree” racconta Roberta “dalla città di Napoli alle aree archeologiche alle periferie passando anche per il Napoli Teatro Festival alla ricerca continua, attraverso il teatro, dell’essenza di un luogo e della sua comunità”. Così, senza tradire la natura di un palco mobile, “siamo in continuo movimento”.

Maria Anna Foglia

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