“Tredici”, su Netflix la serie che parla di bullismo
Lanciato il 31 marzo scorso, il nuovo teen drama della piattaforma on demand stimola il pubblico alla riflessione e a una piena consapevolezza dei temi trattati tra cui le violenze sessuali nel mondo degli adolescenti.
L’epoca di Netflix è rivoluzionaria. Più delle prime fasi alternative alla visione tradizionale dei prodotti mediali e ancor più dello streaming, la piattaforma statunitense è stata in grado di modificare i modi e i tempi della fruizione individuale. Che si tratti di un film o soprattutto di una serie, oggi gli spettatori sembrano non essere mai sazi. Il cosiddetto binge watching, vale a dire l’instancabile processo che porta a guardare compulsivamente un episodio dopo l’altro di una fiction, ha ormai raggiunto i massimi livelli. Del resto, se ormai nel pubblico il desiderio di un “the end” definitivo è pressoché inesistente, al contrario la sua curiosità è destinata a crescere in maniera sempre più sfrontata. Ed è così che, laddove possibile, gli attori diventano amici e i personaggi da loro interpretati protagonisti familiari di situazioni sinceramente attendibili e realistiche.
Nel contesto delineato i nuovi utenti sono pronti ad assorbire storie diverse dal passato, in cui la ricerca della credibilità sia maggiore dello spazio destinato alla finzione. Non a caso l’accoglienza riservata a Tredici, l’ultimo teen drama lanciato da Netflix, è stata davvero positiva. Inserita il 31 marzo tra i prodotti del colosso on demand, la serie è tratta dall’omonimo romanzo di Jay Asher (2007) e affronta con estrema lucidità tematiche che vanno dal bullismo al suicidio e alle violenze sessuali nel mondo degli adolescenti.
Hannah Baker (Katherine Jade Langford) è una ragazza liceale. Sono tredici le ragioni che l’hanno spinta ad uccidersi e altrettante le persone che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a rafforzare la sua decisione. Tredici, dunque. Non un numero ma il costo di un’esistenza troppo fragile, incapace di sopravvivere all’assurdità di certe battaglie quotidiane. Infine tredici audiocassette, lasciate da Hannah come testamento a tutti coloro che le hanno fatto del male quando era in vita. Tra questi c’è anche Clay Jensen (Dylan Minnette), suo compagno di classe e collega nel piccolo cinema locale. Gli occhi e le orecchie di quest’ultimo accompagnano il pubblico in un viaggio fatto di posti, spiegazioni e amicizie sbagliate. Un percorso segnato da incoscienze e paure, sopraffazioni e insicurezze che, una volta tracciato in tutta la sua complessità, non lascia scampo al tormento e all’angoscia del singolo spettatore.
Già, perché quella della protagonista è una storia possibile. Ben architettata mediante l’uso di espedienti narrativi, certo, ma pur sempre verosimile. Tredici è il ritratto onesto di una società che ha perso la sua identità e sta andando alla deriva. Non ci sono traguardi al suo interno, solo tappe da bruciare e conquistare avidamente. Alle malvagità gratuite, compiute e concesse per ottenere stima e appoggio dalla collettività, si contrappongono le debolezze più intime, rischiose da rivelare perché segno di inferiorità e motivo di non accettazione da parte della massa. La morte di Hannah è un simbolo, un gesto estremo che si concretizza come conseguenza di azioni più e meno gravi compiute dai coetanei nei suoi confronti e non solo. Eppure, sebbene sia ambientato in un contesto adolescenziale, il teen drama di casa Netflix si rivolge a ogni tipo di target: nessuno può sentirsi immune. Con ritmi e toni tipici dei thriller psicologici, il mistero portato avanti dalla fiction si dipana nel corso di tredici puntate con finalità volutamente diverse dalle precedenti Desperate Housewives e Pretty Little Liars, arrivando persino a mostrare con dovizia di particolari l’atto stesso del suicidio.
Come detto all’inizio, infatti, il pubblico di oggi è alla ricerca di altro. Di conferme, chiarimenti, verità e riflessioni, incrementati da quel binge watching affannato e irruento di cui si parlava e che spesso assume ritmi quasi insolenti. Con Tredici accade lo stesso, ma con una lieve differenza. Puntata dopo puntata, il desiderio di continuare a guardare c’è, esattamente come la voglia di arrivare a una conclusione, seppur momentanea. Ma è quando la si raggiunge che si realizza che sarebbe stato meglio fermare tutto e riavvolgere il nastro. Quello della vita, però.
Noemi Giulia Sellitto