“Get Out”, la commedia horror che gioca sugli stereotipi razziali [CINEMA]
Primo lavoro alla regia dell’americano Jordan Peele, Get Out è tra i casi cinematografici dell’anno: intelligente e arguto, ma anche terribilmente divertente.
Indovina chi viene a cena? Nah. I sorrisi dei protagonisti del film diretto da Jordan Peele potrebbero trarre in inganno, però hanno ben poco a che vedere con quelli della pellicola del 1967. Altrettanto nervosi e forzati, forse, ma certamente più freddi e inquietanti. Ai denti scoperti e così stretti da sembrare incollati col mastice, si aggiungono gli occhi sgranati di Chris (Daniel Kaluuya), il fotografo di talento che sta per conoscere la famiglia della sua ragazza Rose (Allison Williams).
Ecco, ora rileggete l’ultima frase. Non ci sono aggettivi relativi all’etnia ed è così che dovremmo riferirci agli esseri umani, no? Certo, se vivessimo nel migliore dei mondi possibili. Ma, tenetevi forte, questo non lo è. Ed ecco che il “fotografo di talento” diventa il “fotografo di colore” e la famiglia di Rose è la “famiglia bianca di Rose”, così bianca da sembrare trattata con la candeggina.
A questo primo importante incontro, già capace di generare panico così com’è, si aggiunge il differente background etnico che, al di là di ogni buonismo, pesa persino in un contesto multiculturale come quello statunitense. Peele chiama in causa tutti gli stereotipi sui neri e sui bianchi, li mescola e si prende gioco di tutti, di sé stesso in primis, figlio di una coppia mista e sposato all’attrice Chelsea Peretti, di origini italiane ed ebraiche.
Presentato al Sundance a gennaio e in arrivo nelle sale italiane dal 18 maggio, Get Out apre con una ritmata musichetta dalle chiare origini africane che entra nel cervello a suon di colpi di tamburo. Il motivetto diventa l’ansiogena colonna sonora del rapimento di un ragazzo di colore. Eppure, tale rapimento, al pari di altre ingiustizie che accadono sotto gli occhi di un pubblico inerme, finisce prontamente nel dimenticatoio. Voilà, si viene catapultati nell’idilliaca vita di coppia di Chris e Rose: belli, complici, innamorati. In visita alla famiglia della fidanzata – composta dal padre neurochirurgo Dean, dalla madre psicoterapeuta Missy e dallo scostante e ostile fratello Jeremy – Chris svilupperà un opprimente senso di paranoia. Gli Armitage sono veramente così liberali come appaiono? Cos’hanno da nascondere la governante Georgina e il giardiniere Walter, entrambi – indovinate un po’ – neri e dal sorriso sinistro? Chi sono questi amici di famiglia improvvisamente riunitisi con l’unico scopo di conoscerlo?
Get Out a prima vista può sembrare un’aberrazione del film con Spencer Tracy e Katharine Hepburn. Questa commedia-horror è il brutto sogno che si insinua nella veglia, il peggior scenario che va a disturbare la più triviale delle occasioni sociali, è il pregiudizio che si nutre di timori da entrambi i lati e può avere conseguenze disastrose. E, se nella realtà basta un gesto della mano e una scrollata di spalle per ridere di questa cupa fantasia, sul grande schermo Peele costringe il suo pubblico a guardare ogni fotogramma, ipnotizzandolo come Missy fa con Chris in una scena che inchioda protagonista e spettatore sulla poltrona.
Get Out non fa paura nel modo in cui ci aspetterebbe da un horror. Qualche jumpscare – e vi invito a non googlare mai il termine per capire come si scrive, pena l’infarto immediato: grazie, Google! – non basta. Get Out fa ridere in modo orribilmente pirandelliano ed è lì che risiede il terrore. Ci si riconosce nell’atteggiamento radical chic di Rose e di suo fratello, che di radicale ha in fondo ben poco, e di chic ancora meno. Si ride a quella battuta buttata lì “Se potessi votare una terza volta per Obama, lo farei” pronunciata dal padre di Rose che suona tanto, troppo, come il più classico dei “Non sono razzista, ma…”.
A cinquant’anni di distanza da Indovina chi viene a cena?, Get Out è più che mai rilevante e riesce a disfarsi dell’inutile patina di ipocrisia preconfezionata da Hollywood con la giusta dose di ironia. Certo, scegliendo un britannico come protagonista e non un afroamericano, come ha fatto notare l’attore Denzel Washington. Tuttavia, Daniel Kaluuya non fa rimpiangere la scelta. Non nuovo agli scenari distopici, dopo aver preso parte al secondo episodio della prima stagione di Black Mirror, Kaluuya ha fatto un lavoro mirabile con lo slang e l’accento.
Ciononostante, sono le attrici a lasciare il segno. Allison Williams, già vista nell’ormai conclusa serie TV Girls, attraversa un range di emozioni piuttosto ampio, passando da perfetta fidanzata d’America a maniaca del controllo. Proprio come il suo personaggio in Girls, potrebbe obiettare qualcuno, a ragione, ma esplorando ancora più a fondo le potenzialità del repentino cambiamento emotivo. Ancora, Katherine Keener, nel ruolo di sua madre Missy, ha nello sguardo da sfinge il più potente dei trucchi di ipnosi e vi farà temere di mantenere il contatto visivo.
Con un budget di 4,5 milioni di dollari, Get Out ne ha incassati 190 in tutto il mondo. Perché, anche fuori dal contraddittorio meltin’ pot americano, la situazione non è delle migliori. In Europa un preoccupante vento nazionalista pare soffiare da ogni dove, generando il sospetto nel diverso. Se una risata vi seppellirà, fate in modo che sia questa qui. Mai sterile né spensierata, la sua eco vi inseguirà anche usciti dalla sala e vi costringerà a un esame di coscienza. È questo il vero incubo.
Stefania Sarrubba