84 giorni: le ombre del Caravaggio
Il nuovo spettacolo itinerante di NarteA conduce alla scoperta della figura di Michelangelo Merisi, muovendosi tra storia, mistero e arte all’interno dell’Archivio Storico del Banco di Napoli.
Siamo nell’ottobre del 1606 e Michelangelo Merisi da Caravaggio è da poco arrivato a Napoli, ospite della famiglia Colonna a Chiaia. Qui un ricco mercante, Nicolò Radolovich, gli commissiona un quadro di notevoli dimensioni, «d’altezza palmi 13 e mezzo et larghezza di palmi 8 e mezzo», come si può leggere dalla fede di credito ritrovata, e tutt’oggi conservata, all’Archivio Storico del Banco di Napoli. L’opera doveva rappresentare una Madonna con Bambino coronata da angeli e dai Santi Domenico e Francesco, San Nicolò e San Vito: è quel quarto Caravaggio a Napoli, molto probabilmente, mai realizzato. Ma perché? Febo Quercia, regista e autore del testo, cerca di dar corpo al mistero che gravita intorno al dipinto Radolovich, trasportandoci e attraendoci verso un’ipotetica risoluzione.
Andrea Fiorillo veste i panni di un Caravaggio veemente, impetuoso, che non vuole scendere a compromessi, che non si accontenta di realizzare «un’opera senz’anima», che è folle solo perché “mostra ciò che vede”. L’accento è posto tutto sulla “follia” caravaggesca o eccessiva libertà, come afferma Donna Costanza (Annalisa Direttore), follia accentuata dal tratto recitativo, dagli sguardi e dal gesto.
Gli attori – i già citati Fiorillo e Direttore, insieme a Sergio Del Prete (Luis Finson), Matteo Lanzara (Cecco del Caravaggio), al suo debutto con NarteA, Antonio Perna (il Marchese Radolovich) – accompagnano lo spettatore in questo percorso-spettacolo, che parte nel cortile di Palazzo Ricca e ha termine in una delle 330 stanze che lo compongono.
Nessun palcoscenico, nessun sipario, nessuna platea – lo spettatore si muove insieme ai personaggi – eppure una pedana appena rialzata ricorda quel teatro elisabettiano che aveva bisogno solo della forza degli attori e del testo per poter essere rappresentato, alcuna scenografia imponente ma voce e corpo. Diversi tableaux vivants, di cui l’ultimo particolarmente suggestivo: quattro pareti di storia custodita dagli innumerevoli faldoni incorniciano uno spazio rettangolare al cui interno vediamo posto un tavolo, al di sopra di esso una canestra di frutta e vivande, una bottiglia di vino e un disegno, dietro di esso un dipinto incompleto – l’ipotetica Madonna con bambino –, prima coperto da un telo e poi mostrato. Un’abile capacità di staccare dalla tela le figure caravaggesche e renderle tridimensionali.
Anche se pagato in anticipo 200 ducati, Caravaggio si rifiuta di realizzare il dipinto per il marchese perché «operetta devozionale» mediocre, che per il ricco mercante non ha alcuna importanza. Risiede qui il motivo della non realizzazione della committenza. Radolovich è un uomo avido, «un mercante vestito a festa» (così lo definisce Merisi), non interessato alla bellezza di un’opera d’arte, ma al denaro che da questa si può ricavare. Caravaggio, dal canto suo, è ostinato e caparbio, deciso a creare solo ciò che lo emoziona: un incessante contrasto domina i loro dialoghi. Ciò nonostante, è principalmente il chiaroscuro caravaggesco che migra dalle opere del pittore all’anima dell’uomo e viceversa: prende forma nella sua mano, si staglia sulla tela e, infine, si scontra con la luce dell’artista.
L’azione è serrata in una molteplice conversazione, un continuo botta e risposta tra l’uno o l’altro personaggio, fino a quando è il protagonista a restare solo: molla la follia, la rabbia, l’impetuosità, e si lascia andare ad un intenso monologo, col quale si chiude lo spettacolo: lui è lì, nel buio dei suoi quadri, «nel nero», ed è solo lì che può esprimere se stesso.
Lo spettacolo ha debuttato sabato 6 maggio presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, ovvero l’archivio bancario più grande del mondo. Proprio lì dove sono conservate le testimonianze del passaggio napoletano di Caravaggio, testimonianze che si possono toccare con mano, letteralmente, a conclusione della visita-spettacolo: non solo la cedola del pagamento anticipato del Marchese Nicolò Radolovich al Merisi, ma anche una riportante l’ultimo pagamento di 370 ducati per la magnifica tela delle Sette Opere di Misericordia.
Daniela Campana
Associazione culturale Nartea
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