Raw [CINEMA]
Il cannibal movie francese che ha fatto vomitare gli spettatori dei festival è un interessante film di formazione e femminismo.
Un assaggio di questo film è abbastanza per volerne ancora, e ancora. Affondare i denti nel primo fotogramma, una strada a scorrimento veloce nel bosco di una cittadina francese. E poi seguire la macchina da presa fino a uno strano incidente e a un ancor più strana figura che si avvicina all’auto in panne. Questa è solo un’anticipazione in campo lungo del piccolo film di Julia Ducornau. Piccolo, ma potente.
Leggende metropolitane di spettatori colti da conati di vomito rigirano nella testa, mentre viene mostrata una porzione della vita della 16enne Justine (Garance Marillier). La ragazza è un’aspirante veterinaria e vegetariana convinta, proveniente da una famiglia di veterinari e vegetariani.
Il suo primo anno alla facoltà di veterinaria è una sfida continua per farsi accettare dai ragazzi più grandi, tra cui c’è la popolare sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf). Tra disgustose prove di iniziazione da superare alla Carrie – Lo sguardo di Satana, gli studenti del primo anno vengono trattati alla stregua di animali in batteria, costretti a marciare carponi al buio verso il prossimo party. Forzati a mangiare reni di coniglio, frattaglie, che Justine ingurgita con riluttanza. Sarà questo l’inizio della fine.
Un solo morso ed ecco che il passaggio all’età adulta verrà inevitabilmente segnato dal desiderio di sensazioni nuove, anche quando queste passano per il cannibalismo. “What are you hungry for?” (“Di cosa sei affamato?”, nda) recita la tagline del film, esprimendone appieno il concept.
Lontanissima dall’idea di vittima innocente o da quella di killer sexy, la protagonista è entrambe e nessuna, è un’entità in formazione. Perché Raw è un cannibal movie, ma anche un inusuale coming-of-age film.
La regista e sceneggiatrice francese ha creato un caso con Raw, restituendo dignità all’horror girl power. Molte pellicole del genere si attestano sui due estremi del continuum della femminilità. Vittime innocenti o sensuali carnefici, tralasciando le immense, preziosissime sfumature che sono nel mezzo. Tralasciando la normalità dell’orrore, dei corpi sfatti e sudati, dei fluidi e del sangue che sgorga in quantità moderate, distante anni luce dai galloni di tarantiniana memoria. Tutto è volutamente non sexy, risultando con l’esserlo in modo inspiegabile.
A differenza di Jennifer’s Body e altri film con protagoniste ragazze a cui piace la carne fresca, Raw è esattamente come il suo titolo, crudo. Non patinato. La regista ci mostra l’intimità e la normalità di un’adolescente, in cui anche una ceretta brasiliana si trasforma in un rito.
Sebbene la combinazione tra cannibalismo ed elemento femminile sia stata trattata anche in The Neon Demon e i due film non potrebbero essere più diversi, Raw fa allo stesso modo un uso ragionato e suggestivo della fotografia. Filtri colorati per restituire le luci rosse dei mattatoi, quelle più fredde delle feste universitarie e degli obitori, il bianco dei momenti intimi di Justine tra le lenzuola.
Tutto in questo film è violenza, sesso, sangue. Justine è preda degli ormoni, libera di assecondare i suoi istinti primordiali, di cercare il suo posto nel mondo a tentoni, di essere qualcosa di socialmente inaccettabile.
Eppure in Raw tutto è normalità. Justine è una ragazza normale a cui piace mangiare carne umana. Il cannibalismo viene inserito in un contesto banale, che ne amplifica l’effetto straniante fino alla rivelazione finale. Una rivelazione da brividi, in un luogo rassicurante e conviviale quale è la tavola apparecchiata.
Ancora, la sequenza in cui i ragazzi stanchi arrivano alla fine del loro anno da matricole, trascinandosi nei piumoni all’alba, sulle note di Ma che freddo fa è tra le migliori del film. Il brano fa parte di una colonna sonora che mescola volgarissimo hip-hop francese ad alt-rock britannico fino ad arrivare al culmine straniante del pop italiano dei Sessanta, in un trend sempre più frequente.
Raw è tra le pellicole più forti che possiate vedere quest’anno, a patto che abbiate lo stomaco per reggerla. E c’è molto di più di un dito mozzato e assaporato lentamente da digerire. Quello che sembra essere difficile da accettare, anche per le spettatrici donne, è il matriarcato che il film implica simbolicamente. Donne violente, donne che forse non vogliono la parità, donne che vogliono di più, vogliono il comando che è stato loro negato per secoli. Donne che rivoltano il patriarcato e lo mangiano per colazione, leccandosi le dita.
Stefania Sarrubba