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Presentato allo scorso Festival di Cannes, il thriller erotico di Park Chan-wook conduce lo spettatore lungo un tortuoso sentiero narrativo irto di colpi di scena.

The Handmaiden

Una scena del film

Un intricato gioco di scatole cinesi, una serie di bambole russe le une nelle altre. Questo è forse il modo più efficace per descrivere The Handmaiden, il film del sudcoreano Park Chan-wook, già regista di Old Boy. Tre versioni della stessa storia da angolazioni diverse che potrebbero essere a tutti gli effetti tre mediometraggi indipendenti, ciascuno con la propria dignità, ma che insieme tessono uno splendido, sontuoso arazzo.
Nella Corea del Sud occupata dai giapponesi, la ladruncola Sook-hee viene assoldata dal Conte, losco coreano che si finge giapponese, per diventare la dama di compagnia dell’ingenua nobile giapponese Hideko. Il Conte vorrebbe mettere le mani sulla fortuna della donna, che abita col vecchio zio Kouzuki con l’ossessione dei libri, sposandola e facendola poi internare e si serve di Sook-hee per raggiungere il suo scopo.
Scaltra e spinta dalla voglia di riscatto, la ragazza crede che questa sia l’occasione per cambiare il corso della propria esistenza. Sarà così, sebbene in modo completamente inaspettato. Sook-hee e Hideko svilupperanno un’attrazione mentale e fisica capace di attraversare i tre livelli narrativi. Questo legame sarà messo alla prova dai colpi di scena cari a Chan-wook, a cui, però, lo spettatore non si abitua mai.

The Handmaiden

Una scena del film

La complessità di The Handmaiden sta nella lunga, paziente tessitura di inganni da fare e disfare, al pari di quelli di una tragedia shakespeariana. L’amore e l’attrazione sono, invece, naturali, semplici, inevitabili. La scena della limatura del dente con un ditale mima un rapporto orale ed è tra le scene non grafiche più erotiche che si possa immaginare. Ugualmente, il primo, splendido incontro sessuale tra Sook-hee e Hideko è frutto di un role play, ma si tratta di un mascheramento intenzionale al quale nessuna delle due crede. Non c’è nulla di complicato. Al contrario, i movimenti sono sinuosi nell’attorcigliarsi, mentre le due donne fingono di insegnarsi cose che già sanno, ma che solo sul corpo dell’altra hanno senso di esistere. Un rapporto, questo, che Chan-wook mostra al suo pubblico più volte in diverse parti della storia e che assume man mano delle connotazioni diverse. Da pura attrazione sessuale a disperato tentativo di aggrapparsi l’una all’altra in una volta che è la prima, ma che pare anche l’ultima.
Perché nel momento in cui lo spettatore dimentica che The Handmaiden è anche un thriller, Chan-wook è lì a ricordarlo perentorio. Se il regista non lascia spazio all’immaginazione nelle scene di sesso, tale regola vale anche per tutti gli altri elementi di questo film barocco. La volontà di ricostruire minuziosamente la storia coinvolge un pubblico che poteva essere annoiato dalla prima parte. The Handmaiden riesce laddove Carol fallisce in termini di suspence. Il bel film di Todd Haynes avanza delle pretese da thriller che non convincono del tutto. Inoltre, mentre Carol gioca sul non detto sia verbalmente che visivamente, The Handmaiden fa della meticolosità la sua cifra. Il montaggio del pranzo in treno ne è un esempio, con un’interessante sequenza alternata tra i singoli chicchi di riso che Hideko ingurgita a fatica e i passi riluttanti che fa verso la sua nuova vita con il Conte. Tutto viene spiegato e collocato al posto giusto, come uno degli innumerevoli e preziosissimi scritti erotici che compongono la libreria di Kouzuki. Le medesime frasi vengono ripetute lungo i tre tronconi narrativi da personaggi differenti in contesti diversi, regalando consapevolezza allo spettatore, ma anche accrescendo il senso di opulenza e ridondanza del film.

The Handmaiden

Una scena del film

Chan-wook ha adattato il romanzo di Sarah Waters, Ladra, spostando l’azione dall’Inghilterra vittoriana alla Corea dell’occupazione giapponese, ma conservandone il fascino. La casa in cui Sook-hee vive prima di spostarsi a casa Kouzuki, dividendola con altre ragazze sotto l’occhio furbo della sua truffaldina tutrice non ha nulla da invidiare agli ambienti sovraffollati in cui crescono i bambini dei romanzi di Dickens. La stessa proprietà di Kouzuki ha un’ala progettata da un architetto britannico in stile occidentale. La scenografia è simbolica: le ante del padiglione in stile giapponese in cui Hideko intrattiene i suoi ospiti si schiudono eloquentemente al momento della penetrazione nel suo racconto. Le porte continueranno ad aprirsi e chiudersi ritmicamente fino all’ultimissima scena, in cui viene mostrato l’arazzo della minuscola stanza di Sook-hee, raffigurante un paesaggio lunare.
The Handmaiden è un film teatrale, nel senso migliore del termine. Le letture ad alta voce che Hideko fa per Kouzuki e i suoi ospiti sono, appunto, teatralizzazioni via via più elaborate di incontri erotici, fino a una vera e propria messinscena con tanto di manichino. Ancora, alla maniera di una commedia degli equivoci di Shakespeare, ciascuno dei protagonisti non è chi dice di essere, ricalcando il gioco delle parti che si tiene sul palco. I travestimenti hanno fine, e con essi gli inganni, soltanto nel momento in cui le protagoniste smettono le “uniformi” che di volta in volta vengono loro assegnate. Sook-hee e Hideko fluiscono l’una nell’altra, si scambiano le identità e la pelle. A differenza dei nudi grotteschi e ridicolizzati dei personaggi maschili, la nudità delle due protagoniste le avvicina e e ne rivela la vera natura, rendendole libere di uscire dalle scatole multiple in cui erano imprigionate. Non più bambole russe, ma semplicemente esseri umani.

Stefania Sarrubba

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