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Al Nuovo Teatro Sanità il debutto assoluto dello spettacolo firmato da Roberto Giordano, interprete insieme a Federica Aiello del lavoro dedicato all’indimenticato attore napoletano.

Toto, che padre!

Foto Renato esposito

Nel cuore di Napoli, al Nuovo Teatro Sanità – piccola sala teatrale ricavata da un’antica chiesa del quartiere omonimo che ha dato i natali al Principe della risata –  domenica 18 giugno ha debuttato, in data unica, lo spettacolo Totò, che Padre!: Roberto Giordano, autore, regista e interprete del testo, realizza così «un sogno da tempo custodito nel cassetto», come dichiarato in una recente intervista per il nostro giornale.
Dedicato al grande attore e comico napoletano, lo spettacolo intende raccontare l’Uomo prima dell’Attore – perché è «come se il personaggio di Totò avesse soffocato l’uomo» -, mostrandocelo attraverso gli occhi – «(…) gli unici, credo, che abbiano saputo guardare oltre il sipario che nascondeva la sua anima» – di una delle donne della sua vita, Liliana De Curtis, la figlia, interpretata dalla bravissima Federica Aiello.
Ecco allora prendere vita sul palco un piccolo itinerario, tratteggiato per «esipodi», i quali ripercorrono la vita e la carriera di Antonio de Curtis in arte Totò, attraverso una traduzione scenica di aneddoti ed episodi secondo la personale trasposizione dei due attori che secondo lo stile del varietà e dell’intrattenimento cabarettistico, sono protagonisti di momenti musicali, sketch, dialoghi e macchiette, tra cui la popolarissima Il Bel Ciccillo.

Toto, che padre!

Foto Renato Esposito

Su di un palcoscenico asciutto – una grossa bombetta a mo’ di sedia posta sul lato e tre immagini raffiguranti Totò – si susseguono i primi debutti (come quando da giovanissimo si esibiva nei teatrini “alla Ferrovia” come macchiettista ed era conosciuto come l’imitatore ufficiale di Gustavo De Marco, suo ispiratore), i successi, gli amori e la morbosa gelosia, ed infine la sua paura di essere dimenticato: qui si ferma la musica, si sente una voce, è quella del Principe – la ascoltiamo a fine spettacolo: con tono quasi rassegnato, confida ad un cronista l’impossibilità di lasciare qualcosa al suo pubblico, perché un attore – ammette – non può fare altro che “vendere” chiacchiere.
L’intera mise en scène è strutturata non in una logica strettamente cronologica ma in un intreccio in cui si alternano sequenze narrative e sequenze dialogate, riferimenti ad avvenimenti pubblici a richiami alla sfera privata, interpretando i quali gli stessi Giordano e Aiello passano continuamente dall’essere narratori a personaggi, senza soluzione di continuità, rispettivamente nei panni del Principe e in quello della sua primogenita.

Toto, che padre!

Foto Renato Esposito

Del resto quando si a pensa a Totò si pensa alle sue battute tipiche (oggi nostre e diffusamente ripetute), si pensa ad un puro godimento e alla spensieratezza, si pensa alla sua maschera, ma quasi affatto si pensa alla Persona: da qui, dunque, parte Roberto Giordano, dalla sua storia personale, dai suoi amori e dai suoi affetti, dalla sua intimità. Sceglie un fulcro, il rapporto di Antonio con Liliana (che ispira non a caso il titolo dello spettacolo), e da quel fulcro disegna la sua storia: la nascita della figlia in albergo e non in ospedale perché non voleva che nascesse tra gli ammalati; la gelosia che gli ha rovinato la vita sentimentale, e la famiglia che con fatica si era costruito; l’amore distruttore con Liliana Castagnola (forse quello che più di tutti lo tormentò per la sua paura di essere tradito); l’incontro con Diana Rogliani, la fuga di lei da casa per stare insieme, la bizzarra proposta di annullare il matrimonio perché solo così poteva essere certo del suo amore, la futura fine del loro rapporto.
Roberto Giordano è attento e scrupoloso non solo nel raccontarci e mostrarci momenti cruciali della vita dell’indimenticato artista, ma è abile nel riprendere le sue movenze, il suo modo di recitare e la sua mimica (tratto indistinguibile in Antonio De Curtis).
Un omaggio assoluto che riesce bene, richiama a sé continui applausi durante lo spettacolo e vede tra gli spettatori il drammaturgo napoletano Manlio Santanelli.
A chiudere la rappresentazione è Federica Aiello/Liliana De Curtis e le sue parole per il Papà: «(…) ti voglio ringraziare (…) per essere esistito, per esistere ancora…».
Ma prima di andare via, una musichetta ritorna a sentirsi in sala: i due attori, scesi in platea, regalano cartoline sul cui retro sono scritte le frasi più celebri del grande attore; il caso ha consegnato a chi scrive questa: «Io non so se l’erba campa e il cavallo cresce…ma bisogna avere fiducia».

Daniela Campana

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