Manlio Boutique

Due spettacoli diversi ma consequenziali, in cui si incontrano vittime e carnefici, diventano in prima assoluta per il NTFI 2017 occasione, con il progetto speciale curato e diretto da Roberto Andò, per riflettere sul significato di giustizia, diritto, processo.

In attesa di giudizio_Roberto Andò

Foto Lia Pasqualino

È una commedia? È una tragedia?/ In attesa di giudizio è uno spettacolo composito e complesso, che riflette nel titolo la sua natura bipartita. Nasce, infatti, dalla fusione di due frammenti; il primo è un racconto (in forma di monologo) dell’autore austriaco Thomas Bernhard, mentre il secondo è una rielaborazione – opera del regista Roberto Andò – di un saggio sul processo giuridico, opera di Salvatore Satta, importante processualcivilista del primo Novecento.
Andò parte dal Bernhard più cupo – quello precedente alla stesura di “Correzione”, meno incline all’intreccio di tragedia e ironia – e trasforma il monologo di partenza in dialogo, aggiungendo la voce di Giovanni Esposito a quella del personaggio principale (nonché unico, nella versione originale), interpretato da Fausto Russo Alesi: il quale impersona un giurista, impegnato nella stesura di un trattato sul processo ma distratto dall’incontro con un uomo vestito da donna (appunto, l’eccellente Esposito).
Man mano che la conoscenza tra i due diventa più profonda, la pazzia del travestito appare assumere motivazioni ben precise e le tracce di uno shock passato affiorano pian piano in superficie. L’uomo nei panni di donna è stato condannato per un tragico delitto, eppure il suo animo non sembra aver espiato la colpa di quanto commesso. “Il mondo intero è un’unica giurisprudenza, il mondo intero è una galera”: ogni istante dell’esistenza di quell’anima in pena è un ulteriore momento di prigionia, una stilla di dolore che va ad aggiungersi a quelle degli anni precedenti. Nessuna eccezione, nessuna attenuante è possibile nel tribunale interno dell’uomo che mette in discussione le proprie azioni, e il castigo (interiore) può allora essere ben maggiore di quello comminato dalla legge in ragione del delitto commesso.

In attesa di giudizio_Roberto Andò

Foto Lia Pasqualino

Terminata la confessione del personaggio interpretato da Esposito, comincia la seconda parte dello spettacolo (In attesa di giudizio). Qui la narrazione perde il suo flusso lineare; Andò dissemina il cortile del Maschio Angioino di scene del crimine, costituite da coppie facilmente riconoscibili di carnefici e vittime. C’è il prigioniero ed il “suo” torturatore made in ISIS; c’è l’infermiere killer ed il “suo” anziano da sopprimere; c’è la prostituta ed il “suo” aguzzino; ancora, il camorrista ed il “suo” bersaglio, una donna ed il “suo” femminicida. Tutti sfilano per il palco rendendolo un’unica, enorme installazione (opera di Gianni Carluccio), riproducendo le azioni che immaginiamo legate alla scena delittuosa interpretata e interrompendosi per ascoltare le parole di un pubblico ministero e di un avvocato difensore. Tramite lo scontro tra queste due figure e con le interpolazioni del giurista della prima parte di spettacolo (ancora portato brillantemente in scena da Russo Alesi) si compie un processo al processo giuridico. “Che cos’è la verità?” è la domanda che risuona più volte dal palco; ma la risposta soffia nel vento, per dirla alla Dylan, e ridimensiona la necessità dell’accertamento processuale. Cristo e Socrate, celebri vittime di processi ingiusti, si uniscono agli altri, uniche vittime prive del loro carnefice; per loro l’aguzzino è da cercarsi altrove, nell’inveterata abitudine umana a cercare colpevoli e disseminare condanne.
Di tanto in tanto, le maschere in scena sono lasciate libere di fuggire dal proprio destino, e allora si riuniscono in gruppetti per giocare, candidamente, mescolandosi incuranti dei delitti che li avevano contrapposti e del diritto che li aveva divisi. È questo che fa, d’altronde, il diritto, che come una rete prova a raccogliere e intrappolare il reale e le sue irrazionalità; gioco che si sviluppa nel più complesso gioco che è la vita, teatro nel più ampio teatro dell’umano. “Io disprezzo il teatro, odio gli attori, il teatro è un’unica perfida maleducazione”, ci aveva ammonito nel primo atto “il giurista” interpretato da Russo Alesi, e solo in coda se ne coglie pienamente il disagio.
La riflessione metagiuridica di Andò si avvale di una scenografia imponente e di un cast all’altezza; tuttavia, tiepidi gli applausi del pubblico alla prima di sabato 17 giugno (repliche fino al 19), anche a causa di un’attesa protrattasi un’ora e quindici minuti prima dell’inizio, reso incerto fino all’ultimo da un acquazzone tardo primaverile che ha minato il disegno luci (ma non ha impedito, infine, la realizzazione dello spettacolo).

Antonio Indolfi

Napoli Teatro Festival
Info e contatti: www.napoliteatrofestival.it

 

Print Friendly

Manlio Boutique