“Forse non sarà domani…”, per sempre Tenco [NTF17]
In dodici quadri scenici la vita e le opere del cantautore ligure, così come ripercorse dalla scrittura di Stefano Valanzuolo e affidate alla voce e alla recitazione di Rocco Papaleo, in prima nazionale al NTFI.
Corrono sul filo delle intramontabili canzoni che ci ha lasciato in lungimirante eredità i pensieri di Luigi Tenco così come raccolti e cuciti insieme da Stefano Valanzuolo, autore del testo, e affidati alla recitazione di Rocco Papaleo, protagonista di Forse non sarà domani…, in prima nazionale al Napoli Teatro Festival Italia sabato 1 luglio al Teatro Trianon, insieme ai musicisti Arturo Valiante al pianoforte, Guerino Rondolone al contrabbasso, Davide Savarese alla batteria e percussioni, Marco Sannini alla tromba.
E corrono attraversando un tempo, quello degli anni ‘60, nostalgico a molti, e di cui sembra naturale sentirsi parte anche per chi anagraficamente non lo ha vissuto, ma che delle storie che lo hanno attraversato, dei personaggi che lo hanno abitato, e delle vicende politiche e sociali che lo hanno segnato ha conoscenza, quasi per innata empatia.
Quella stessa empatia che lega trasversalmente alla figura del cantautore di adozione genovese, in ascesa proprio a partire dal 1961 quando incise il suo primo 45 giri, poeta sensibile e malinconico come pochi, pietra miliare della storia della canzone italiana, e ancor più consacrato al mito per la fine tragica che lo travolse per sua mano. E che nell’omaggio di cui Papaleo si fa voce narrante/cantante – muovendosi tra ricordi, lettere scritte e dialoghi diretti col pubblico, non senza quella ironia sorniona che lo caratterizza – emerge senza manierismi, o affettazioni, ma con la semplicità elegante di chi gli ha voluto bene; di chi con la sua musica ha intrecciato momenti della propria vita, di chi è stato suo fan, e che ora ne diventa testimone sulla scena, in una condivisone collettiva con la platea.
Non meraviglia, allora, che l’attore entra ed esca dal suo personaggio in un continuum impercettibile, che gli spettatori vengano invitati a cantare rime che di certo avrebbero ripetuto sottovoce se non gli si fosse stata data l’opportunità di riportarle alla memoria in coro diretti dallo stesso Papaleo; che labile diventi il confine tra drammaturgia e apparente improvvisazione; che arrangiate in chiave beat o sotto forma di ballate jazz siano le musiche originali rielaborate per l’occasione da Roberto Molinelli. Il ricordo è vivo, le emozioni pure e impossibile sarebbe chiudere entrambi in una struttura scenica di ferro, sebbene riconoscibile con chiarezza sia l’efficace e apprezzata scelta autoriale di dividere in macro quadri gli snodi principali della poetica artistica e umana di Tenco, ciascuno associandolo ad una canzone del suo repertorio che maggiormente si lega ad uno dei temi affrontati: quello dell’amore, della famiglia, o ancora della musica o dell’odiato Festival di Sanremo. Metafora del sistema discografico imperante ai quei tempi (e forse tutt’ora), simulacro di ciò che Salvatore Quasimodo con l’onestà intellettuale che gli fu propria – nel discorso di addio all’artista nel giorno dei suoi funerali – stigmatizzò in “ciò che è generico e non agita le opinioni dei ben pensanti” e che per questo va bene. Giudice severo nella bocciatura di Ciao amore, ciao, inesorabilmente eliminata dalla commissione dell’edizione del 1967, a vantaggio de La Rivoluzione mentre il pubblico applaudiva e consacrava in finale Io tu e le rose di Orietta Berti. Ultimo palco su cui il ventottenne ligure si esibì, prima che arrivasse il momento di tenere fede – in preda alla solitudine, come uomo e come artista – alla promessa, fatta in primo luogo a se stesso, di “cantare fino a quando avrò qualcosa da dire”. Ma che inconsapevolmente, e per la fortuna dei suoi estimatori, lo ha destinato all’eternità, oltre ogni fine.
Ileana Bonadies
Napoli Teatro Festival
Info e contatti: www.napoliteatrofestival.it