Ellis Island: camminando sui binari delle proprie origini [NTF17]
Come suo nonno più di 120 anni fa Maurizio Igor Meta si mette in viaggio per l’America restituendo in scena le speranze e i dolori degli immigrati italiani alla fine dell’800.
Ha chiuso la sezione “Osservatorio” del Napoli Teatro Festival lo spettacolo Ellis Island di e con Maurizio Igor Meta, ospitato al Teatro Nuovo il 5 luglio, e facente parte di un progetto multidisciplinare che comprende anche un film documentario, un libro e una mostra fotografica.
Il sipario è aperto e l’attore è già in palcoscenico mentre il pubblico prende posto, ma se ne vede solo l’ombra, in un gioco di luci e pannelli bianchi che costituiscono la scenografia (di Alessandra Bonanni) dello spettacolo. Buio in sala e l’ombra si fa corpo, o meglio dona il proprio corpo ad un emigrante di fine Ottocento, che dal Sud Italia attraversa l’oceano, “il mare più grande del mare”, per raggiungere l’America. La parola e il gesto descrivono il viaggio nel fetore della terza classe, rischiando la morte nella speranza di una vita migliore, portando nel cuore la tristezza degli addii. Le aspettative, i sogni, la gioia della libertà ecco invece prendere forma nella danza tra l’uomo e il suo fagotto, unico bagaglio, insieme alla propria memoria e al proprio dialetto, di un passato che bisogna lasciar andare. E poi Terra! Ma questo primo assaggio d’America ad Ellis Island non è come lo si era immaginato, tra la paura di essere rispediti a casa e la confusione di una lingua non capita. Meta porta in scena l’umiliazione fatta vivere agli emigranti, e si spoglia dei propri abiti, in silenzio, dilatando i tempi narrativi in una delicata e intensa esposizione, mentre al ritmo di due picchetti di ferro fatti urtare l’uno contro l’altro, simbolo della fatica dei lavori umili in cui venivano impiegati gli immigrati, sono elencati i luoghi comuni legati a questi eroi “le cui mani hanno costruito l’America”.
Il lavoro dell’autore e performer in creation residency presso La MaMa Experimental Theatre New York prende avvio da un percorso personale sulle orme del bisnonno partito da Napoli nel 1890 e impegnato nella realizzazione della Pennsylvania Railroad: «Sono voluto partire a novembre – spiega – sia per l’alto valore simbolico che ha questo mese nella vicenda, sia per avvicinarmi quanto più possibile alle sue condizioni. Durante il viaggio non ho utilizzato né internet né il telefono, nemmeno al mio arrivo a New York, dove ho abitato gli stessi luoghi dove lui visse, fino a camminare lungo le ferrovie abbandonate alla cui costruzione ha probabilmente lavorato». Così ripercorrendo le tappe dell’avo in un cammino identitario le cui sensazioni ed emozioni sono poi confluite in un disegno drammaturgico che si arricchisce delle ricerche sugli immigrati italiani.
Nello sviluppo della messinscena, con un salto temporale si giunge infine al presente, per afferrare il fine ultimo della ricerca, l’insegnamento donatogli dal nonno: “Siamo nati per stendere le braccia al vento non per tenerle strette per la paura, siamo nati per una lacrima e un sorriso”. Qual è dunque la dote, l’eredità che gli ha lasciato? Lo stupore. Quello stupore rappresentato scenicamente dalla valigia che Meta apre a fine spettacolo, in linea con il suo linguaggio drammaturgico che mescola parola, suono, simbolo e corpo.
Anna Fiorile
Napoli Teatro Festival
Info e contatti: www.napoliteatrofestival.it