“Antigone”, una storia non così africana
Atto conclusivo del percorso di formazione durato tre anni finalizzato allo sviluppo delle capacità artistiche di giovani senegalesi in campo teatrale, Massimo Luconi dirige il mito dell’eroina africana che sfidò i regimi totalitari.
Quando Jean Anouilh mise mano alla sua Antigone (1942), Parigi era in piena occupazione nazista; nelle letture degli anni a venire, la circostanza è servita spesso a suggerire l’esistenza, nell’opera in questione, di un parallelismo tra potere costituito (il governo collaborazionista, nello specifico) e Creonte, tra Resistenza francese e Antigone. Ci pare che quest’interpretazione provi, di fatto, a forzare la mano dell’autore nato a Bordeaux, affidandogli una morale politica che egli sembrava, invero, rifuggire; non si spiegherebbe altrimenti la scelta di rappresentare Antigone come adolescente ribelle e confusa, ansiosa di compiere il proprio misfatto con la paletta per la sabbia con cui giocava in compagnia del fratello Polinice; d’altronde, è la stessa eroina a fugarci ogni dubbio quando, alla domanda di Creonte (“Perché lo fai?”) risponde “Per nessuno; per me”. La cifra semantica dell’Antigone in questione sembra, più che altro, quella della misantropia del suo creatore: la qual caratteristica sarà ulteriormente acuita, in Anouilh, proprio dall’insuccesso di questa pièce: un amaro paradosso. Ogni personaggio è schiacciato dal proprio destino (come si conviene ad ogni tragedia) e costretto a compiere gli atti previsti; ogni interazione con gli altri è, allora, solo funzionale al compimento del proprio fato. Antigone è l’emblema di quell’assenza di speranza invocata dal coro come fonte di riposo; in essa si perdono i riflessi del conflitto politico e giuridico alla base della tragedia sofoclea (e particolarmente pronunciato in letture anche coeve di quello stesso testo, vedasi Brecht).
Nella versione andata in scena al Teatro Grande dell’area archeologica di Pompei, nell’ambito della rassegna Pompeii Theatrum Mundi, questi elementi sembravano tutti al loro posto. Antigone – una storia africana salta i preamboli e va dritto al nocciolo della vicenda; Massimo Luconi, regista e scenografo, si concentra sul conflitto tra la protagonista e Creonte e presenta il tutto, nel solco di Anouilh, come un inesorabile ingranaggio che va chiudendosi su coloro che partecipano al dramma. La solitudine del re tebano, così calcata dall’occhio di bue finale (e parte dell’eccellente disegno luci di Paolo Morelli), è la solitudine di ogni uomo; e Antigone, così bambina, non ha in sé nemmeno il germe della ribellione politica verso il tiranno. Lo spirito del drammaturgo francese, insomma, ci sembra rispettato in pieno. Poco comprensibile, allora, sembra la presentazione di Luconi nelle note di regia; se è vero che “dovunque vi siano discriminazioni razziali, conflitti, intolleranze religiose, dovunque una minoranza levi la sua voce a reclamare giustizia”, è proprio Anouilh quello meno adatto a metterlo in rilievo.
Ulteriormente meno chiara appare la scelta del sottotitolo “una storia africana”; vero è che il cast proviene per la totalità da latitudini equatoriali; e vero che la staticità suggerita dalla prossemica richiama alcuni stilemi del teatro africano; tuttavia, la connotazione “africana” della storia non viene pressoché mai approfondita; non bastano, infatti, i canti accompagnati da bonghi o attori dalla pigmentazione diversa per rendere tale il dramma. Ed è un peccato, perché la recitazione in francese e wolof (idioma parlato in Senegal) risulta non poco suggestiva ma finisce per essere una mera cornice linguistica, penalizzando anche l’ottima performance di Aminata Badji, Ibrahima Diouf, Papa Abdou Gueye, Yaya Ibrahima Kambou, Gnagna Ndiyae, Mouhamed Sow, Moussa Badji, Ngone Gueye e Mamadou Diabate.
Antonio Indolfi
Pompeii Theatrum Mundi
Teatro Grande di Pompei – Scavi di Pompei
ingresso in Piazza Esedra, Pompei
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