Dunkirk, il nuovo film di Christopher Nolan [CINEMA]
Il regista di Memento, Inception e Interstellar torna sul grande schermo con un’opera straordinaria, osannata da critica e pubblico, già destinata a diventare una pietra miliare del suo genere.
Francia, 1940. L’esercito nazista costringe le truppe alleate a riversarsi sulla città portuale di Dunkerque. Assediati dal nemico, circa 400 mila soldati, aiutati da navi civili inglesi e protetti dai caccia Spitfire, cercheranno di evacuare a tutti i costi via mare.
Questa, in breve, è la storia di Dunkirk. Un pretesto, più che una vera e propria trama, che non doveva nemmeno essere messa per iscritto ma che il regista, nonché sceneggiatore Christopher Nolan, è stato costretto, su pressioni di produzione, a redigere in circa 76 pagine. Spunto da cui nasce un film che potrebbe essere muto, a cui non serve la parola per calcare i fasti della potenza cinematografica, ma che ha un potere altrettanto forte già solo attraverso le immagini che propone, girate in pellicola a 65mm e in parte in formato panoramico IMAX, e le eccezionali sinfonie che le accompagnano.
Nella costruzione di un dramma di adrenalinica potenza, tre sono le storie, le unità di tempo che s’intrecciano e convergono fino a diventare l’una parte dell’altra: la settimana vissuta dai soldati che aspettano i soccorsi e cercano di sopravvivere a terra; la giornata di un padre e un figlio che decidono di partire per prestare soccorso ai soldati a Dunkerque e attraversare più di cinquanta miglia di mare; e infine l’ora del pilota di un caccia Spitfire che vola sulla costa per difendere i soldati. Tre sono anche gli stili che vengono adottati e assegnati a queste tre dimensioni drammaturgiche: la stedicam per la terraferma, la macchina a mano per il mare, e la macchina fissa per lo Spitfire.
Arrivato probabilmente alla massima espressione del suo cinema, Nolan prende tutto quello che di buono ha realizzato nella sua eccezionale filmografia (Memento, la saga de Il Cavaliere Oscuro, Inception, Interstellar ed altri) e riesce a fare addirittura qualcosa di meglio. Se finora la flessibilità di linee cronologiche che avanzano e retrocedono erano il presupposto narrativo da cui partiva, Nolan riesce stavolta, con estrema maturità, a scrollarsi di dosso quella sorta di feticismo della macchinosità delle trame che hanno contraddistinto i suoi film, avvicinandosi di più a quella che banalmente possiamo definire “semplicità”, che è strettamente connessa all’universalità, terreno che solo i più grandi riescono a praticare. È per questo che Dunkirk è probabilmente l’opera più importante della produzione nolaniana. È un film sulla percezione della guerra, non importa quale essa sia, potrebbe essere oggi, domani, e mille anni fa. Il pericolo e l’orrore sono le costanti, e il nemico non è visto mai. È una piccola storia all’interno di una grande storia, dove la tensione supera gli spargimenti di sangue. Del passato dei personaggi che viviamo non ci è dato sapere molto. Non ci sono cause, non ci sono effetti, c’è solo il presente. Dunkirk non racconta un pezzo di storia, ma fa dell’avvenimento un pretesto, che permette al regista di scatenare una serie di emozioni quali ansia, gioia, e un disorientamento che non dà mai tregua allo spettatore sempre coinvolto, messo in apnea, mosso nelle viscere da quei rumori assordanti che in certi momenti lo costringono a tapparsi le orecchie, scosso da veri e propri sussulti, stupito da immagini teutoniche di cui il film è fatto. Dunkirk è un’esperienza sensoriale in “5D”, tante quanti sono i sensi umani, e mentre lo vediamo ci sembra di essere lì, di ascoltare, vedere, sentire, quasi assaporare e toccare per mano quei turbamenti e quelle euforie che coinvolgono i personaggi. È questo il senso di quel meraviglioso gioco che è il cinema: assorbire lo spettatore in una tensione spasmodica, scandita da un montaggio claustrofobico. Le interpretazioni di un grandissimo Tom Hardy, che quasi recita solo con gli occhi nel ruolo dell’uomo in maschera che solca il cielo (richiamando a suoi Bane de Il cavaliere oscuro – Il ritorno e il Max Rockatansky di Mad Max: Fury road interpretrati dallo stesso Hardy) di Mark Rylance, di Cillian Murphy, dell’esordiente Fionn Whitehead e del sempre impeccabile Kenneth Branagh sono magistrali, ma la vera energia di Dunkirk sta in quella sinergia tra la potenza delle immagini, nei primissimi piani turbati dei soldati contrapposti a sterminate distese e immensi orizzonti catturati della splendida fotografia di Hoyte Van Hoytema, i suoni che impone, e la partitura della colonna sonora dello straordinario Hans Zimmer.
Tutto ha un senso, e tutto coinvolge la mente e il corpo di chi guarda, e non c’è da stupirsi se tiriamo un sospiro di sollievo quando sentiamo finire quel ticchettio che abbiamo interiorizzato, e che ci ha stremati, per oltre un’ora di film. Il risultato è una straordinaria epopea intima e solenne, in cui non c’è spazio per la gloria, per i sentimentalismi e nemmeno per i trionfalismi. L’unica speranza viene dalla solidarietà popolare, dai compatrioti che mettono a rischio la propria vita, perché i poteri forti sono assenti. Non è il racconto di una fetta di storia ma è la descrizione di uomini, molti dei quali ragazzi, vittime del grande sistema del terrore, che non lottano ma scappano, senza ricordarne bene il motivo.
E Christopher Nolan, curandone la direzione, dimostra di essere uno degli autori più importanti in circolazione, in grado di tracciare una strada importante per i suoi successori, che poi è quella di sempre, quella dei più grandi, ed è quella del futuro: se la narrazione è un gioco, un pretesto, e le parole hanno un peso molto meno grande delle azioni, delle immagini, dei suoni e di tutto quello che rende il cinema un’accattivante riproduzione della realtà, ma pur sempre un gioco, allora Nolan dimostra che la sala, e il grande schermo, sono e resteranno per sempre un’esperienza unica nel suo genere.
Luca Taiuti