“La Voce di Fantozzi”, alla Mostra del Cinema di Venezia un docufilm su Paolo Villaggio [CINEMA]
Diretta da Mario Sesti, la pellicola analizza il rapporto tra l’attore e la sua maschera più famosa, attraverso il ricordo di numerosi artisti e intellettuali che hanno voluto rendergli omaggio.
Le voci sono tratti unici e distintivi. Fanno la persona stessa, perché in grado di essere contemporaneamente esteriorità ed essenza allo stato puro. Ce ne sono alcune che sono capaci persino di viaggiare da sole, libere dal loro padrone. Una di queste è quella di Paolo Villaggio, nel doppio ruolo del ragioniere più famoso d’Italia e del narratore fuori campo delle sue numerose disavventure. È proprio partendo da questa peculiarità che il regista e critico Mario Sesti ha deciso di delineare un ritratto composito dell’attore Villaggio e del personaggio che lo ha reso immortale. Un lavoro, questo, che ha trovato la sua piena realizzazione nel docufilm La Voce di Fantozzi, da lui diretto e prodotto da Daniele Liburdi e Massimo Mescia di Volume, in collaborazione con Pepperpot, Piero e Paolo Villaggio. Il titolo scelto è esplicativo e pregno di significato: non c’è distanza tra l’artista e la sua creazione più grande. Proprio quando il ricordo dell’uno si mescola a quello dell’altro, infatti, le loro voci magicamente si uniscono, diventandone una soltanto.
In concorso alla 74esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, sezione Venezia Classici, il lavoro di Sesti è affascinante. Non è un semplice documentario, ma un’impresa originale e creativa, curata in ogni minimo dettaglio. L’idea di girarlo è nata nel 2015, durante la registrazione dell’audiolibro Fantozzi a cura di Volume. Per quel progetto Villaggio aveva riletto il suo capolavoro del 1971, facendo maturare da subito l’idea di un ritratto corale di quella maschera così famosa. Ed ecco che due anni dopo il film di Sesti ha preso vita, grazie soprattutto al contributo di artisti e intellettuali che hanno deciso di raccontarla. Da sua moglie Maura a Dario Fo, dal sociologo Domenico De Masi a Clemente Ukmar, sua controfigura in tutti i film con protagonista il ragioniere Ugo, sono stati in tanti a rendere omaggio al personaggio meno ribelle della storia, ma più rivoluzionario in termini di analisi sociale di quegli anni e non solo. In un mix di interviste, video arte e dialoghi completamente nuovi, scritti prima della scomparsa da Villaggio in persona, La Voce di Fantozzi è una pellicola irresistibile. Con un ritmo scanzonato e riflessivo allo stesso tempo, il suggello perfetto di una carriera destinata a non tramontare mai.
In occasione della prima abbiamo posto due domande al regista Mario Sesti.
Il cinema unisce immagini e suoni. Nel suo docufilm ha dapprima scisso e poi ricongiunto queste due componenti, al fine di rappresentare un personaggio simbolo della nostra cultura contemporanea. Perché questa scelta?
Il rapporto tra immagini e voci è qualcosa di speciale nel cinema. L’idea era che l’icona Fantozzi fosse così popolare che la sua voce, un po’ come una divinità o uno spirito magico, fosse capace di parlare indipendentemente da lui. La settima arte ha strumenti che consentono di raggiungere questo obiettivo.
Per La Voce di Fantozzi Villaggio ha scritto nuovi dialoghi. In che modo si è cercato di alimentare la fantasia dei più appassionati?
Come scopriranno gli spettatori che lo vedranno, nel docufilm il Mega Direttore Galattico racconterà l’iter che ha portato Fantozzi all’assunzione, mentre Pina rivelerà se nel corso degli anni abbia amato o meno suo marito. Quindi, chi vuole ancora seguirlo potrà avere piccoli, ma intensi spunti per alimentare la sua passione e far sì che il personaggio non muoia mai.
Noemi Sellitto