Manlio Boutique

In anteprima assistiamo al secondo lungometraggio in animazione realizzato dalla factory napoletana Mad, presentato nella sezione Orizzonti alla 74ª Mostra del cinema di Venezia, una favola noir su una Napoli senza tempo dominata da oscure mani sulla città.

I quattro registi in occasione della prima napoletana del film

I quattro registi in occasione della prima napoletana del film

Prendere qualcosa di molto tradizionale e provare a farne qualcosa di nuovo, di personale, rispettando quei canoni classici in un racconto che cerca di tradurre in immagini animate il sentimento di una città. È questo quello che fanno Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, i quattro registi di Gatta Cenerentola, gruppo cresciuto e consolidatosi dopo l’incontro, con diverse mansioni, su L’arte della felicità, lungometraggio animato prodotto dallo studio napoletano Mad Entertainment e vincitore degli European Film Awards 2014, primo esame per il grande schermo superato già con talento.
In una Napoli senza un tempo ben definito, Cenerentola è cresciuta all’interno della Megaride, enorme nave ferma nel porto da più di 15 anni. Suo padre, ricco armatore della nave e scienziato, è morto portando con sé nella tomba i segreti tecnologici della nave e il sogno di una rinascita del porto. La piccola vive da allora all’ombra della temibile matrigna e delle sue perfide sei figlie. La città versa ora nel degrado e affida le sue residue speranze a Salvatore Lo Giusto, detto ‘o Re, un ambizioso trafficante di droga che, d’accordo con la matrigna, sfrutta l’eredità dell’ignara Cenerentola per fare del porto di Napoli una capitale del riciclaggio. La nave, infestata dai fantasmi-ologrammi di una tecnologia e di una storia dimenticate, sarà il teatro dell’intera vicenda e metterà in scena lo scontro epocale tra la miseria delle ambizioni del presente e la nobiltà degli ideali del passato.
Gli autori, come si accennava pocanzi, partono da qualcosa di molto classico come l’omonima fiaba contenuta ne Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile e, adattando il racconto ai nostri tempi e ispirandosi alle cronache partenopee, decidono di raccontare la loro spietata, eppur sognante, versione di Gatta Cenerentola, avvalendosi di un’animazione matura e raffinata.
Il linguaggio filmico, le angolazioni, i pochi stacchi, le pause, i malinconici sguardi e quella solitudine che abbiamo modo di scorgere nei personaggi, soprattutto quella della Mia-Cenerentola, sin dai primi minuti sono le componenti che prendono per mano lo spettatore e lo guidano nel corso di un’esperienza cinematografica che sembra essere quella di un film d’autore, più che quella di un classico cartoon.

La locandina

La locandina

Il racconto è sospeso in una dimensione senza tempo, proprio come la città in cui è ambientata, la Napoli che tutto divora come fanno la maggior parte dei personaggi di questa storia, ma a cui è capace di dare una luce inedita, e adopera l’animazione come mezzo, forse tra i più efficaci, per solcare quella dicotomia tradizione-modernità, tra favola e realtà, luci e ombre, crimini e amori, passato e futuro, anzi un “ritorno al futuro” come lo hanno definito gli stessi autori, “memorie di un glorioso passato, affondato in uno scuro presente”. Memorie di un passato che per lo più si manifestano in degli ologrammi, veri e propri ricordi che si materializzano davanti agli occhi dei personaggi, visioni che lo spettatore vorrebbe quasi toccare per mano, e che aleggiano proprio come quelle ceneri e quei detriti di una città in frammenti che piovono dal cielo come fiocchi di neve. E in tal senso, essenziale la battuta di Primo Gemito, ex uomo della scorta di Basile (interpretato da Alessandro Gassmann), che recita a un certo punto del film: “Quindici anni fa sono morto insieme a quella nave e a questa città, e adesso questa è solo una storia di fantasmi”.  Attenzione però: la visione che gli autori hanno non è catastrofica, ma anzi si nutre di sogni e di speranze, come quella che accompagna Mia-Primo Gemito mano nella mano in un volo verso un orizzonte di cui non ci è dato sapere altro, un po’ come in quel Blade Runner (di Ridley Scott) a cui tante volte questo film, con ambientazioni diverse ma cupezze simili, ci richiama alla mente. E allora tra le dotte citazioni che potremmo evidenziare, in una serie di apprezzabili suggestioni e riferimenti magari voluti, magari no, a cui questo film spesso ci rimanda, tra il noir, il thriller, la sceneggiata, il pulp, il postpunk ed altri, ne citeremo solo altre due, perché le abbiamo particolarmente apprezzate: Le mani sulla città (di Francesco Rosi), nella visione dei magnati interessati a spartirsi le briciole di una città su cui forte domina la “mano” di Salvatore Lo Giusto (interpretato da Massimiliano Gallo), e la somiglianza Basile-Vittorio De Sica, tra le vere chicche del film.

Un frame del film

Un frame del film

Se, come si diceva, la modernità di questo gioco che è Gatta Cenerentola sta principalmente nell’animazione e nel linguaggio filmico dell’opera, la tradizione è invece affidata ad un linguaggio attraverso cui si manifesta un’apprezzabile dose di vis comica anche grazie alle interpretazioni degli attori-doppiatori dei personaggi: Massimiliano Gallo, Maria Pia Calzone, Alessandro Gassmann, Mariano Rigillo, Renato Carpentieri, Ciro Priello, Federica Altamura, Chiara Baffi, Francesca Romana Bergamo, Anna Trieste, Gino Fastidio, Enzo Gragnaniello, Marco Mario De Notaris, cast in cui si esprime quella napoletanità linguistica da cui questo film, lodevolmente, non vuole affatto allontanarsi. Il tutto è impreziosito dalle belle musiche originali di Antonio Fresa e Luigi Scialdone, che si avvalgono delle canzoni di Enzo Gragnaniello, Guappecartò, Francesco Di Bella, I Virtuosi di San Martino, Daniele Sepe, Marlboro Recording Society, Ilaria Graziano e Francesco Forni, Foja.
In conclusione, quella di Gatta Cenerentola risulta essere un’occasione per quattro autori, e per una factory intera tutta napoletana, non solo di affrontare dei temi sociali attraverso una favola, ma una vera e propria opportunità di giocare, e di usare quella magia che troppe volte vediamo castrata nell’intero panorama cinematografico italiano, a cui questo film da un considerevole respiro e un segnale confortante.

Luca Taiuti

Print Friendly

Manlio Boutique