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Viaggio tra le figure femminili della Commedia dell’Arte, lo spettacolo di Claudia Contin Arlecchino è una confessione-buffa sul ruolo della donna, attraverso lo strumento dell’autoironia.

Claudia Contin Arlecchino "Nè serva nè padrona" Foto Salvatore Lanciano

Foto Salvatore Lanciano

Siamo nella sagrestia della Basilica dello Spirito Santo a Napoli, in via Toledo. La sera del 21 settembre, nell’ambito del Festival di Commedia dell’Arte I viaggi di Capitan Matamoros, questo piccolo spazio antico e affascinante viene allestito per diventare il camerino di un’attrice. È una servetta? È una signora? O forse una cortigiana? È tutto questo e altro ancora, nella poliedricità e capacità istrionica di Claudia Contin Arlecchino, artista e studiosa della Commedia dell’Arte, friulana di origine e conosciuta a livello internazionale.
Lo spettacolo è una confessione-buffa sulla donna in scena nel sedicesimo secolo e sui segreti del mestiere delle Comiche; fondamentale – come ci suggerisce il titolo – è non essere né serva né padrona. Ma – come ci ha raccontato lei stessa in un’intervista – “essere persona, libera persona”. Prima però di indossare i panni femminili, la Contin entra in scena sbucando dalla platea, nei panni di Arlecchino, l’eterno bambino e l’eterno eretico che è in noi. Lei stessa è conosciuta nel mondo col nome della più famosa maschera della Commedia dell’Arte che, dal 1987, indossa con continuità. Dopo essersi così presentata al pubblico napoletano, nella gaiezza arlecchinesca, smette i panni di questa vivace e caleidoscopica maschera e decide di rivelare – consapevole che “ai napoletani non si può mentire” – i segreti del lavoro difficile dell’attrice. Si sveste dunque con falso pudore e quella finta ritrosia con cui Claudia sa giocare astutamente, e comincia un rocambolesco, affascinante e divertente incontro con il pubblico che, giovane e meno giovane, stuzzicato dalla vivacità dell’artista, sa immantinente mettere in risalto la sua napoletanità. Ne risulta un perfetto sposalizio tra l’anima continiana e l’anima di questa città con cui dialoga di continuo, un dialogo giocato su un certo divertissement. Senza mai tralasciare ironia e autoironia, gli strumenti principali che tengono le fila della messinscena e che, insieme al corpo che sa smontarsi e rimontarsi e adattarsi ai vari ruoli, conquistano il pubblico, portandolo alla riflessione , con lo strumento potente della risata, e alla catarsi, con la continua discesa insieme sfrontata ed elegante tra la platea.

Claudia Contin Arlecchino "Nè serva nè padrona" Foto Salvatore Lanciano

Foto Salvatore Lanciano

Il corpo, a volte elegante e seducente, a volte girovagus e turpis – avrebbero sentenziato nel Seicento – è protagonista, nei sapienti passaggi da una veste all’altra anche con una gesticolazione scomposta che piace ai presenti perché – forse questi è uno dei meriti della commedia dell’arte – risveglia un inconscio collettivo, proprio quello che all’epoca era messo a tacere dalla Chiesa. Assume dunque una forte valenza, perché ci dice quanto sia importante l’azione, quell’agire e quel fare a teatro che qui – nei gesti, nelle movenze, negli ammiccamenti – ha l’obiettivo di smuovere le coscienze di coloro, uomini e donne, che accorsi in questa serata napoletana, appartengono a quel popolo che storicamente – come ci racconta lei – è stato un antesignano del femminismo.
Centrale argomento di questo spettacolo-lezione, scopriamo quanto siano state femministe ante litteram le donne indipendenti, furbe ed emancipate della Commedia dell’Arte, donne capaci – come la cantante e musicista Adriana Basile e l’attrice letterata Isabella Andreini – di farsi conoscere per meriti artistici e per cultura e non certamente per la dote familiare. Nel caso specifico della napoletana Adriana Basile – chiamata a Mantova dai Gonzaga – scopriamo che non solo divenne per meriti artistici baronessa di Piancerreto ma, portando al suo seguito la famiglia, diede anche modo di far conoscere all’ambiente culturale il fratello Giovan Battista Basile, il letterato napoletano che con la fiaba diede voce al popolo.

Claudia Contin Arlecchino "Nè serva nè padrona" Foto Salvatore Lanciano

Foto Salvatore Lanciano

La Contin Arlecchino con questa sua confessione ci mette anche di fronte ad un magistrale esempio di metateatro, quel teatro nel teatro che sa raccontare quali escamotage vengono adottati dalle attrici e come ogni movenza ha un suo specifico significato. Ci svela l’astuzia della servetta che, stando sia dentro sia fuori la scena, riesce ad ipnotizzare il pubblico, catturandone l’attenzione; la leggiadria dell’innamorata che sa benissimo quando mettere in mostra l’una o l’altra parte del corpo femminile per creare distrazione;  la sagacia della cortigiana che “sa come essere una geisha del 500”. Il corpo dunque racconta. Racconta i vari tipi fissi che la Commedia dell’Arte ci ha fatto conoscere; e la Contin è bravissima: non fa mancare, tra una donna e l’altra, la figura del monaco gesuita che, e con tono della voce e con la letture delle sue verità, condanna le donne, la loro “pubblica et femminil comparsa” sulla scena e la pratica sempre più diffusa tra i comici dell’epoca della “coabitazione tra uomini e donne”. L’avvicendarsi in scena dei vari tipi è suggestiva anche per il paesaggio emozionale dell’epoca ricreato dalle musiche ricomposte e ri-arrangiate dal musicista Luca Fantinutti. Tutto dunque ci dice che la donna non deve essere goldoniana, serva o padrona, ma libera, capace anche di rifiutare lo spirito del tempo. Con l’autoironia, con la femminilità, col grottesco.

Maria Anna Foglia

I viaggi di Capitan Matamoros
biglietti: 12,00 € intero, 10,00 € ridotto (studenti e over 65)
contatti:  info@enkaipan.com – www.iviaggidicapitanmatamoros.com – 339 623 52 95 (anche whatsapp)

 

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