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Apre la stagione del Teatro Bellini di Napoli nell’ambito del progetto shakespiriano di Gabriele Russo, l’opera del Bardo che affronta i temi del tempo, dell’errore e della gelosia tra atmosfere cupe e commedia.

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Foto Francesco Squeglia

Fa parte delle sei riscritture che compongono il progetto “Glob(e)al Shakespeare” nato da una idea di Gabriele Russo: stiamo parlando di Racconto d’inverno, riadattato da Pau Mirò ed Enrico Ianniello per la regia di Francesco Saponaro.
Dopo il debutto con successo al Napoli Teatro Festival Italia 2017, questa sera si appresta ad inaugurare in coppia con l’Otello scritto da Gianni Spezzano per l’adattamento di Giuseppe Miale di Mauro, la stagione 2017-18 del Teatro Bellini di via Conte di Ruvo dove sarà in scena fino al’8 e poi ancora il 25 ottobre.
Tra gli ultimi lavori del drammaturgo inglese, ne abbiamo parlato con il regista per scoprirne i molteplici risvolti alla luce di uno sguardo che seppure affonda le radici nella più autorevole drammaturgia anglosassone, è al presente e al futuro che guarda e con cui dialoga.
Perché la scelta di Racconto d’inverno?
L’incontro con il testo è stato casuale, come spesso accade. Gabriele Russo mi ha chiesto di occuparmi della regia di questo lavoro alla luce del rapporto di intesa con Pau Mirò ed Enrico Ianniello a cui aveva già chiesto di curare l’adattamento. In ogni caso, avrei voluto già lavorarvi al di là del progetto per cui quando mi è stato commissionato il lavoro ho accettato con grande veemenza essendovi particolarmente legato a causa – tra l’altro – della presenza di elementi di narrazione sentimentale che mi intrigano molto: prima fra tutti il tema della follia/gelosia o ancora quello della psicopatia/protagonismo del personaggio principale che proietta sulla moglie le tenebre della sua gelosia, scatenate da mancanza di affetto e di equilibrio e che volutamente ho scelto avesse il volto di un giovane.
Tutti i protagonisti regali, del resto, sono grandi talenti molto giovani, e questo da parte mia è un chiaro segnale politico perché sottolinea la volontà di portare nella carne degli attori il senso contemporaneo di un capolavoro come quello di Shakespeare al di là della cornice estetica, della gabbia formale in cui va ad inserirsi. Ciò che conta è l’adesione ad una dimensione carnale, vera, concreta come quella proprio dei giovani che si devono occupare di mettere in scena gli sconvolgimenti emotivi narrati dal Bardo.

Francesco Saponaro

Francesco Saponaro

Quale lavoro è stato messo in atto per realizzare il progetto?
Si è trattato di un lavoro di intenso scavo sulle relazioni ma anche sul tragitto emotivo di questo testo, forse a torto poco rappresentato anche perché probabilmente tra i più complessi in quanto presenta una scrittura eterogenea che attraversa diversi canoni e mette in campo diversi registri teatrali passando dalla tragedia di carattere classico fino alla commedia pastorale con incursioni nel grottesco.
Il ricorso ad opere classiche per parlare di argomenti molto attuali fino a dove può spingersi e cosa deve conservare per non stravolgerne l’identità originaria?
I classici quando sono tali parlano sempre alle generazioni future. In questo progetto io non ho fatto altro che fare in modo che fossero le generazioni attuali a prendersi in carico il peso del racconto.
In particolare, per quanto riguarda Racconto d’inverno ci troviamo difronte ad un’opera molto complessa, poco nota e rare volte messa in scena e credo sia opportuno – come spirito di servizio nei confronti del pubblico – fornire la storia emotiva che lo stesso ci propone. Insomma, prima di distruggere qualcosa bisogna sapere cosa vogliamo raccontare senza disorientare gli spettatori.
In quest’ottica qual è il suo modus operandi?
Quando scelgo un testo è come se lo avessi scritto io, cioè aderisco ai tessuti e ai processi narrativi, sentimentali, emotivi che il testo sviluppa, il tutto naturalmente dalla mia prospettiva che – come in questo caso – viene affascinata dalla immaturità di un giovane uomo, Leonte, costretto forse dal destino, e al di là della propria volontà, ad attraversare storie tragiche familiari e ad avere, sul piano istituzionale, l’obbligo di occuparsi di uno Stato pur non essendo umanamente e a livello di maturità pronto, proprio perché non lo ha scelto. Così come non ha scelto di essere padre né un marito onesto per cui, con una proiezione tutta psicotica, inventa un immaginario che sovverte completamente la realtà la quale, invece, prevede nel personaggio meraviglioso di Ermione, l’espressione dell’amore puro. Ecco allora che con Racconto d’inverno Shakespeare ci dice che dovremmo avere il coraggio di seguire le frequenze dell’amore autentico senza farci catapultare nelle tenebre dalle paure personali, dal terrore di vivere l’amore. Forse è questo il più grande insegnamento che, con questo lavoro, l’autore inglese ci lascia, facendoci intendere anche che per uscire dal buio della tragedia bisogna attraversare le luci e il sole caldo della commedia che nel racconto compongono la seconda parte, speculare alla prima. In tal senso, fondamentale diventa il rapporto con la Natura: per rigenerarsi bisogna ripristinare il contatto con essa, con i riti agresti, con la Primavera – rappresentata splendidamente dal personaggio di Perdita –, così recuperando quell’equilibrio perduto nel momento in cui  – come Leonte – non siamo in grado di riconoscere la purezza dell’Amore attribuendo ad una donna cristallina una macchia inesistente.
Quale teatro cerca di mettere in atto?
Cerco di fare un teatro che non si butta nella cronaca ma cerca di parlare a tutti creando elementi un po’ sospesi e magici che possono essere letti da ogni latitudine e da ogni pubblico possibile: questo è l’atto di comunità maggiore che si possa fare a teatro e in questo sta la grandezza di un classico. Non ci serve costringerlo in un angolo cronachistico ma è importante preservarne la dimensione evocativa, aperta, che riguarda tutti. In questo modo parlerà al presente ma anche al futuro e sia un giovane che un anziano potranno cogliervi lo stesso peso emozionale e ricavarne la stessa sincera identità con quello che stanno vedendo.
Tra l’altro la compagnia che ho formato in questa ottica di trasversalità va dagli 8 ai 60 anni, a segnalare il bisogno di un teatro che diventa comunità ed espressione del pubblico nonché luogo di partecipazione e studio perché il teatro essendo qualcosa che si trasmette da persona a persona si apprende anche con quelli che sono più esperti e diventano esempi pratici per i più giovani.

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Foto Francesco Squeglia

Contaminazione sembra poter essere allora la parola identificativa della sua regia ma anche del progetto “Glob(e)al Shakespeare”…
Si, contaminazione di generi; di linguaggi teatrali con attenzione alla lirica e all’importanza della musica come dimostra l’apertura affidata all’ouverture dei Vespri siciliani di Verdi o il ricorso alla pizzica salentina o ancora alle composizioni di Giacinto Scelsi come nella scena dell’orso; di dialetti possibili che sono la sintesi di accenti e inflessioni del Sud così come accade nella seconda parte di Racconto d’inverno quando – essendo la Boemia un luogo immaginario e di commedia teatrale – ci siamo divertiti ad inventarci un linguaggio in contrasto con quello asciutto, sintetico e limpidamente espressivo della prima parte.
La stessa contaminazione che contraddistingue il progetto firmato da Gabriele Russo che vede insieme sei compagnie, sei registi, una quantità numerosissima di attori, tanti collaboratori, insomma un vero cantiere shakespiriano, e che indubbiamente non solo testimonia la vivacità e il coraggio del Teatro Bellini di Napoli, ma rappresenta anche una gloria per tutto il teatro napoletano che in questo momento storico vede realizzarsi un progetto del genere, ambizioso, complesso e dal respiro europeo di cui dover essere orgogliosi.
Squadra già sperimentata quella formata da lei Mirò e Ianniello: cosa vi accomuna?
Il lavoro, l’occasione di progetti che ci interessano. Tra noi c’è rispetto, reciproca fiducia e se ho accettato la proposta del Bellini è anche perché sapevo che l’affidamento della drammaturgia era destinato a loro. La lunga conoscenza e l’affinità esistente non esclude ad ogni modo posizioni che possono essere inizialmente divergenti ma che alla fine convergono nella messinscena.

Ileana Bonadies

Teatro Bellini
Via Conte di Ruvo 14 – Napoli
Contatti: www.teatrobellini.it – botteghino@teatrobellini.it – 081 549 12 66

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