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Il regista di Gloria torna al cinema con un’opera dal grande rigore formale e dall’intensità struggente, pronta a rappresentare il Cile ai prossimi Oscar.

Daniela Vega

Daniela Vega

Giunto al suo quinto lungometraggio, ma purtroppo solo il secondo distribuito in Italia, il cileno Sebastián Lelio, che nel 2013 aveva già conquistato l’Europa estasiando la giuria del festival di Berlino (all’epoca presieduta da Wong Kar-wai) e non solo, torna a dirigere un film che conquista alla stessa Berlinale l’Orso d’argento per la sceneggiatura e viene scelto come rappresentate del Cile ai prossimi Oscar 2018.  Lo fa, per la sua seconda volta dopo Gloria, potendo contare su uno sponsor d’eccezione, ossia quel Pablo Larraín (autore di capolavori tra cui No. I giorni dell’arcobaleno, Il club, Neruda, Jackie) qui produttore, con cui condivide un posto d’eccezione nel nuovo cinema cileno.
Siamo a Santiago. Marina (Daniela Vega), cameriera e aspirante cantante, ha una relazione con Orlando (Francisco Reyes), un uomo più grande di lei di 20 anni. Dopo una cena di festeggiamenti, Orlando accusa un malore e viene portato in ospedale. Al pronto soccorso l’uomo muore davanti allo sguardo della compagna, che ben presto si troverà a dover affrontare tutta una serie di sospetti sia da parte della polizia che da parte della famiglia di Orlando con un’aggravante non da poco: la sua identità sessuale. La sua “colpa” infatti sembra essere nella transessualità, considerata una perversione da gran parte della famiglia del defunto, che per questo le contrapporrà un’ostilità crudele.

Sebastián Lelio

Sebastián Lelio

In Una donna fantastica c’è sin da subito tutto il cinema di Sebastián Lelio che, con uno stile affinato e un rigore ormai ineccepibile, oltre che con una certa essenzialità d’espressione, riesce a toccare le corde di una storia dall’enorme impatto emotivo. Segue Marina quasi pedinandola, alla maniera della caméra-stylo della nouvelle vague, non abbandonandola mai, e si trova spesso a intervallare la struggente tensione che costruisce con visioni che irrompono e ci catapultano in un mondo onirico. Il regista ci rende presto orfani di una serenità avvolgente di cui ci porge solo un assaggio, lasciandoci vivere le sinfonie delle cascate di Iguazú accompagnate dalla musica classica sotto i titoli di testa, una superba sequenza fuori dal tempo che ci dà quasi l’illusione di assistere al principio di una pellicola di Alain Resnais. La stessa sottrazione si trova a patire Marina, il cui “angelo custode” Orlando vola via, e nulla rimane più lo stesso ma si fa spazio il caos, in cui la ragazza sarà costretta a lottare per il diritto di essere se stessa, una donna, o meglio il frutto di una lunga e dolorosa ricerca durata tutta una vita. La grandezza di Una donna fantastica è innanzitutto nella strepitosa performance di Daniela Vega, un’attrice incredibile, sul cui volto, voce, istinti ed emozioni la regia lavora incessantemente, creando una tensione struggente e ipnotica.

Francisco Reyes e Daniela Vega

Francisco Reyes e Daniela Vega

Nella sofferenza in cui vive Marina, anche la durezza che le riserva il mondo non porta mai a delle reazioni brutali, e il massimo del suo sfogo è prendere a pugni un sacco da box, metafora dei toni di un’opera che non trascendono mai in una violenza gratuita. È questo il segreto e la bellezza del film che, attraverso una struttura visiva perfetta e una girandola di colori che non sfocia mai in un pop di cattivo gusto, sceglie dei tempi che si rivelano veri vasi dilatatori di una trazione narrativa intimista, trovando in alcune scene la massima espressione della pura bellezza e della delicatezza di cui si nutre: su tutte quella dello specchio, una sequenza di stampo surrealista, da puri innamorati del cinema.
Quello a cui, dunque, assistiamo è senza dubbio un autentico gioiello su un tema di riflessione importante. Unico punto dolente della visione, colpa non del film ma della distribuzione italiana, è nella scelta di doppiare Daniela Vega – attrice transessuale che interpreta un personaggio transessuale -, con la voce di Chiara Gioncardi, molto femminile, che entra in contrasto coi momenti di canto in cui ascoltiamo il vero tono della Vega. Scelta che ci trae in inganno e ci cambia molto l’inizio, così producendo un coup de théâtre forse nemmeno cercato, ma che soprattutto ci ricorda quanto in fondo l’Italia abbia ancora qualche problema evidente ad affrontare certi temi.

Luca Taiuti

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