Stranger Things: la seconda stagione e il mito di Sisifo [SERIE TV]
I nuovi episodi della serie dei fratelli Duffer, in onda su Netflix, imprigionano lo spettatore in un’infinita attesa (ricompensata?).
Tra i motivi per cui Halloween, solitamente una celebrazione che poco prende piede in Italia, quest’anno sia stato invece atteso con una smania insolita, c’è sicuramente il ruolo importante giocato da Netflix nel mettere a disposizione tutti gli episodi della seconda stagione di Stranger Things. Il 27 ottobre, infatti, sono state pubblicate le nove puntate che costituiscono il secondo arco narrativo dello show tra fantascienza e horror dei fratelli Matt e Ross Duffer, giusto in tempo per il binge-watching di Halloween.
Una strategia di marketing efficace, che ha ritardato di poco l’uscita, inizialmente prevista per l’estate, di questo secondo capitolo della serie rivelazione del 2016. Una serie che si rifà all’immaginario degli anni Ottanta, tra amicizia, fenomeni sovrannaturali e tinte cupe. Il prodotto finale sarà valso l’attesa? Andiamo con ordine. E fermatevi qui, se non volete incorrere negli spoiler che finora avete cercato di evitare, facendo lo slalom tra i post nel feed di Facebook.
Avevamo lasciato i nostri quattro amici finalmente riuniti. Will, non più ostaggio nel parallelo Upside Down, è tornato a casa da mamma Joyce solo per finire col tossire e sputare una strana larva nel lavandino di casa. Eleven, la ragazzina con poteri telecinetici vittima di esperimenti, sembra essere sparita nel nulla, dopo aver fatto fuori lo scienziato che era sulle sue tracce e salvato i suoi amici e l’intera città di Hawkins.
In questa seconda stagione, ritroviamo i nostri eroi Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo), Lucas (Caleb McLaughlin) e Will (Noah Schnapp) a fare i complicatissimi conti con quanto successo l’anno prima e con l’essere alle soglie dell’adolescenza. Intanto, una sempre più apprensiva Joyce (Winona Ryder) inizia una relazione con Bob (Sean Astin) e il capo della polizia Jim Hopper (David Harbour) si cala nei panni di genitore con Eleven (Millie Bobby Brown), trovata mentre vagava nei boschi. La sola missione di Hopper è quella di proteggere El dagli scienziati che le danno la caccia, impedendole, perciò, di ricongiungersi con Mike.
Siamo nell’ottobre del 1984, agli sgoccioli della campagna elettorale che avrebbe portato alla rielezione del repubblicano Ronald Reagan, come testimoniano i cartelli nel vialetto di ingresso delle case di questa tranquilla cittadina dell’Indiana. Già questo basterebbe a rendere Stranger Things, così come Fargo 2 col 1976, uno di quegli esperimenti di fiction calati nel passato che non è mai solo passato. È un passato che si fa espediente narrativo, per narrare, appunto, qualcosa del nostro presente, a patto di essere pronti a tendere l’orecchio e ad aguzzare la vista per riconoscerlo.
Questa impossibilità di scindere tra passato e presente è anche ciò che tormenta Will, interpretato da un formidabile Noah Schnapp, a cui viene meritatamente dato più spazio. Il ragazzino continua ad avere episodi in cui pare ricordare le esperienze traumatiche vissute l’anno precedente, durante la sua terribile permanenza nell’Upside Down. Si scoprirà, poi, che le immagini che annebbiano il cervello di Will, ormai in contatto diretto con l’Upside Down e con una temibile forza oscura che aleggia su Hawkins, non sono altro che pericolose visioni del presente, di ciò che è a momenti dall’accadere e che va a tutti i costi fermato.
La seconda stagione, che conta un episodio in più rispetto alla prima e un tentativo di sperimentazione di generi più marcato, spaziante dallo sci-fi all’horror demoniaco alla commedia liceale, appare molto più cosciente delle sue possibilità. In particolare, sono le possibilità tecniche ad essere esplorate in un modo, che, talvolta, pare superare quelle di scrittura.
A spiccare in quanto a sperimentazione è il settimo The Lost Sister, episodio stand-alone, a sé stante, in cui Eleven si reca a Chicago per ricongiungersi con Kali, un’altra ragazza vittima di esperimenti che, proprio come lei, ha poteri paranormali e un numero tatuato sul polso. Nonostante le critiche negative all’episodio che interrompe il flusso narrativo, conoscere il passato di Eleven e vederla muoversi in un’ambientazione à la Blade Runner, anche quella, come i costumi, piuttosto in linea col presente, appare interessante e apre la possibilità di un ritorno della “sorella perduta” da antagonista.
Tra gli altri personaggi nuovi, c’è Max (Sadie Sink), la skater appassionata di videogiochi e membro della cricca di nerd. La ragazzina diventa da subito l’interesse amoroso di Dustin e Lucas e viene trattata alla stregua di un randagio da Mike e da Eleven, che sperimenta la gelosia come il più umano tra i sentimenti. Tuttavia, non viene indagato a fondo il rapporto con il violento fratellastro Billy (Dacre Montgomery) né ne viene esplorato il background, relegando Max a un personaggio sicuramente interessante, ma incapace di stagliarsi dallo sfondo, restando puramente di servizio alla contesa tra Dustin e Lucas. Se a Max verrà dato più spessore è solo uno dei tanti interrogativi che la seconda stagione lascia sospeso a mezz’aria, rimandandone la risoluzione alla terza, attualmente in produzione.
Anche il fratello di Will, Jonathan (Charlie Heaton), terzo vertice del triangolo amoroso composto dalla sorella di Mike, Nancy (Natalia Dyer), e Steve (Joe Keery), pare perdere di potenziale. Riesce, infine, a ottenere le attenzioni della ragazza, appiattendosi, però, rispetto alla prima stagione.
Al contrario, Steve si rende protagonista di una parabola ascendente, candidandosi a personaggio più riuscito – insieme forse all’eroe inconsapevole Bob (Sean Astin) – di questa seconda stagione, che mette lo spettatore in uno stato di attesa costante. Un’attesa che viene ripagata, in parte, nel finale dell’ottavo episodio, con lo struggente ricongiungimento tra Eleven e Mike. Un momento di silenzio perfetto e intoccabile in cui i bambini sembrano dirsi, senza parlare, tutto quello che gli adolescenti e gli adulti non riescono, tra mille sproloqui.
Per il resto, l’attesa della vittoria del bene che pervade tutta la stagione non trova una risoluzione soddisfacente. Funziona meglio nei primi quattro episodi, che riprendono l’atmosfera nostalgica e vintage del periodo in maniera convincente e preparano il terreno in maniera snervante ma pregna, mentre le puntate di azione vere e proprie sembrano essere stranamente meno coinvolgenti. La lotta a quel “mostro ombra” che letteralmente si insinua in Will e figurativamente simboleggia il male invisibile con cui ci confrontiamo quotidianamente, restandone, nostro malgrado, vittime consenzienti, non convince fino in fondo perché è la stessa risoluzione della vicenda a non convincere.
Molto rumore per nulla. Un’intera stagione di conflitto interiore ed esteriore agli amati personaggi, una fatica immane per poter chiudere il portale che collega il mondo reale all’Upside Down, solo per ritrovarlo ancora lì, testardo, immutato e pronto, forse, a riattaccare.
Novelli Sisifo, abbiamo trasportato, insieme ai protagonisti di Stranger Things, la nostra roccia in cima alla montagna ancora e ancora, senza sosta, solo per vederla ricadere miseramente nel finale di stagione. Senza cliffhanger, non questa volta. Eleven va al ballo con Mike, Joyce e Hopper fumano insieme, Dustin e Lucas fanno pace, Will si libera dalle sue allucinazioni: tutto sembra essere come dovrebbe. Eccetto che non è così. L’Upside Down è ancora lì e Sisifo sta per riprendere la sua roccia.
Albert Camus suggeriva che bisognerebbe immaginare Sisifo felice nella sua assurda condizione. Allo stesso modo, dovremmo pensare ai quasi-adulti di Stranger Things come a personaggi che stanno scendendo a patti con l’assurdità della condizione umana, forse per la prima volta, acquisendo un’insperata consapevolezza che è la chiave della felicità nelle avversità. Dovremmo pensare a loro e un po’ a noi stessi, a cui quell’assurdità viene ricordata affinché non la dimentichiamo.
Stefania Sarrubba