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In scena fino al 13 novembre al Teatro Diana lo spettacolo-concerto che celebra la canzone della tradizione partenopea a suon di jazz.

Massimo Ranieri

Massimo Ranieri

Lo spettacolo-concerto di Massimo Ranieri, in scena al Teatro Diana di Napoli, prende le mosse da un progetto nato nel 2015. In quell’anno ci fu il lancio dell’album Malìa. Napoli 1950-1960, a cui seguì l’uscita di un secondo cd. Enrico Rava (tromba e filicorno), Stefano Di Battista (sax soprano e sax tenore), Rita Marcotulli (pianoforte), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria) costituiscono la formazione d’eccellenza che accompagna Massimo Ranieri sul palco napoletano, e che ha già visto il debutto del concerto all’Umbria jazz. Un palco, quest’ultimo, scelto non a caso, dato che l’operazione ambisce ad una rivisitazione della tradizione della canzone napoletana a suon di jazz.
I brani che si susseguono sono ormai consolidati nella memoria collettiva canora della città: da Indifferentemente a Torero, da Luna Rossa a Nun è peccato, passando per l’immancabile ‘O Sarracino e Tu vuò fa l’americano. Napoli è raccontata attraverso la sua poesia con una veste nuova, o meglio rinnovata. I versi delle canzoni cadono su note insolite che percorrono le sfumature di un jazz quasi accarezzato, più che altro d’atmosfera, mai sopra le righe, raramente solistico, ma sempre al servizio della parola. Elemento che, talvolta, penalizza la musica, questa musica. È come se il canto e la parola fossero ancora bloccati in uno schema classico e costringessero anche gli strumenti a rinchiudersi in una gabbia che ad essi non appartiene. L’improvvisazione jazz, definita tale anche se è il risultato di un sapiente calcolo di simmetrie ed equilibri musicali, non è libera di esprimersi appieno, mentre l’eco di alcuni standard è riconoscibile: il background di Tammurriata nera ricorda Night in Tunisia e Doce doce accarezza il finale di Summertime.
La convivenza di queste due anime e cioè la canzone napoletana e il jazz, entrambe, seppur in maniera e misura differenti, lamento e  riscatto di un popolo vessato, affascinano il pubblico. La malìa che cattura gli spettatori è la stessa che probabilmente ha incantato un Ranieri ragazzino. A tal proposito la scelta del periodo storico e quindi del repertorio musicale da affrontare, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, è mirata. In questo tempo si condensano i ricordi d’infanzia dell’artista. Inoltre quegli anni, per l’Italia, segnarono il momento di rinascita e rivalsa, dopo la Seconda Guerra Mondiale, caratterizzato dal boom economico. Locali alla moda, innovazione nel costume, maggiore libertà e la bellezza di un paesaggio incontaminato fecero la fortuna di Capri, la cui immagine scorre sul testo di Luna caprese. Ma ad amare questo territorio e Napoli, non furono solo autori quali Carosone, E.A. Mario o Nisa che a questa terra appartenevano per nascita, anche Domenico Modugno omaggiò la tradizione napoletana con Resta cu’mme e il torinese Renato Rascel che in napoletano scrisse Te voglio bene tanto tanto.
Che possa aver convinto in parte, fino in fondo o affatto l’ambiziosa operazione musicale che sottende al concerto, lo spettacolo di Massimo Ranieri piace al pubblico del Diana, compatto coro all’unisono quando nel bis sono intonati i più famosi successi dell’artista.

Antonella D’Arco

Teatro Diana
Via Luca Giordano 64, Napoli
contatti: 081 5567527 | 081 5784978

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