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Vincitore della Palma d’Oro, il nuovo film del regista svedese è un’ambiziosa commedia che parte dall’arte contemporanea per arrivare a una riflessione sull’alienazione individuale e l’intolleranza collettiva.

locandina The Square

La locandina

Il talento dello scandinavo Ruben Östlund non è stato una scoperta all’ultimo festival di Cannes, visto che nel 2014 era già stato premiato nella sezione Un Certain Regard per il suo Forza Maggiore, e che lo scorso maggio lo ha visto vincitore della Palma d’Oro per The Square. E se già nella sua precedente opera il regista, tramite un basico rapporto tra cause ed effetti, partiva da una valanga per ragionare sul crollo dell’individuo nella crisi della fiducia reciproca, qui la sua visione del mondo si arricchisce di una riflessione sulla collettività svedese e su tutta la società occidentale.
Christian (Claes Bang) è un uomo un po’ narciso e misogino, padre separato di due bambine, direttore di un importante museo d’arte contemporanea di Stoccolma. Tutto sembra filare per il verso giusto e nel museo c’è grande fermento per il debutto dell’esposizione chiamata “The Square”, che invita i visitatori a riflettere su concetti come l’altruismo e la condivisione, ma quando a Christian verrà rubato il cellulare per strada, inizieranno a innescarsi una serie di eventi che lo porteranno a vivere le situazioni più assurde.
Attraverso quel suo stile che si nutre di una fotografia impeccabile (di Fredrik Wenzel), di simmetrie maniacali, e di campi lunghi fissi di discreta durata, suo vero marchio di fabbrica sin dai tempi di Play (2011), Ruben Östlund per insinuare i suoi dubbi sulla società moderna parte da un “argomento” come l’arte contemporanea. All’inizio, in una surreale conversazione tra Christian, interpretrato dalla vera scoperta di questo film ossia l’impeccabile Claes Bang, e la giornalista americana Anne, una fredda e sadica Elizabeth Moss, si riflette subito sulla ricorrente questione dell’opera d’arte nella contemporaneità e sulla possibilità che anche una semplice borsa messa a terra in un certo modo possa rappresentare una forma d’arte. Il dubbio poi cresce quando assistiamo a tutto il processo di preparazione per l’installazione “The Square”, un quadrato della piazza antistante al museo che, delimitato da materiale luminescente e ottenuto dallo smantellamento di un vecchio monumento monarchico, diventa “un santuario di fiducia e altruismo, al cui interno tutti condividiamo uguali diritti e doveri”, una sorta di concettuale invito al rispetto delle regole della democrazia. Questo potrebbe indurre a pensare che il bersaglio del film sia nel diffidare, attraverso un’ironia sagace e tagliente come una lama ben affilata, delle potenziali contraddizioni e incoerenze degli ambienti artistici. Invece Östlund punta molto più in alto, e mira alle ipocrisie della società, raccontate attraverso il rigidismo, la freddezza, l’incomunicabilità e la diffidenza del mondo svedese, una realtà alienante e paradossale.

The Square

Una scena del film

Una serie di eventi illogici che Christian si trova a vivere, uno su tutti aiutare una donna perché messo alle strette dalle circostanze e subire un furto proprio mentre opera del bene, diventano la traduzione più efficace dell’assurdità concettuale iniziale. Un gorilla che entra in casa, un uomo affetto dalla sindrome di Tourette che interrompe la presentazione di un artista, l’esibizione a una cena di gala di un uomo primitivo (interpretato dall’impressionante Terry Notary, coreografo de Il Pianeta delle Scimmie): sono solo alcuni degli elementi distopici di una realtà irrazionale, dove è imperante un’aggressività incosciente e classista. Di fatti il protagonista, scosso da quello che gli accade, travolto dalle conseguenze del suo altruismo, prepara una soluzione contraria alla buona azione che aveva commesso, accusando del furto ricevuto un’intera classe sociale d’immigrati che abita un dormitorio di periferia, in cui viene localizzato il telefono che gli è stato rubato. Nelle contraddizioni di Christian ci sono tutte le controversie del nostro mondo moraleggiante, che agisce nell’ambito del “politically correct” ma con la crudeltà di un obiettivo fisso: il tornaconto.
Öslund imbastisce una critica geniale, dissacrante, raffinata, complessa come il valore delle scene che plasma. Le sequenze grottesche e dilatate lasciano meditare a un omaggio diretto a uno dei massimi esponenti dell’intera cinematografia svedese come Roy Andersson, o al maestro finlandese Aki Kaurismäki, seppur trattando sentimenti opposti, o ancora al cinema cinico e disturbante del danese Lars von Trier. The Square è un’opera che ha un innegabile valore politico e che non trascende mai nella banalità per evidenziare un processo sociale che, in virtù di un preciso momento storico, viviamo quotidianamente: la tolleranza, elemento così scontato e a portata di mano, è diventata una vera utopia in certi ambienti e in molte circostanze; progressivamente ci stiamo allontanando, e la via del ritorno non è più tanto chiara.

Luca Taiuti

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