“Paddington 2” di Paul King [CINEMA]
Dopo il grande successo del primo capitolo dedicato all’orsetto parlante più famoso del grande schermo, arriva il secondo: una commuovente favola per grandi e piccini capace di incantare e far riflettere.
Sono passati circa tre anni dall’uscita del primo Paddington (2014), la storia di un tenero orsetto parlante che vive in Perù e che, coltivando da sempre il sogno di vedere una Londra che gli è stata descritta come ospitale e dai gusti raffinati, parte per la capitale britannica e si trova ad essere accolto temporaneamente presso la famiglia Brown, che si prenderà cura di lui con amore. Il regista Paul King torna a lavorare, stavolta cosceneggiando con Simon Farnaby, sulla storia che ha rappresentato non solo un autentico successo in tutto il mondo, ma una significativa favola che riflette sul valore universale di alcuni sentimenti in un Paese che sta attraversando una fase di cambiamento.
Definitivamente stanziatosi presso la casa della famiglia dei Brown, l’orsetto Paddington vuole spedire alla sua amata e lontana zia Lucy un libro pop-up su Londra. Ne combinerà di tutti i colori e lavorerà duro per racimolare il denaro che gli serve per comprare il raro volume, ma quest’ultimo nasconde dei segreti ed è oggetto dei desideri di Phoenix Buchanan (Hugh Grant), un vecchio attore narcisista ormai in balia della follia e della solitudine che sarà disposto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo.
Il continuo di una favola sul mito dell’Inghilterra cominciato prima e proseguito dopo la Brexit: così potremmo sintetizzare il geniale lavoro firmato da King e il significato più profondo di Paddington 2. Tra questo e il film precedente, infatti, intercorre qualcosa di tanto discusso, nuovo, e per certi versi assurdo, come il referendum che nel giugno 2016 ha portato il Regno Unito a scegliere di uscire dall’Unione Europea. Non racconta questo, almeno non direttamente, come del resto non faceva l’opera precedente, ma entrambi i capitoli trattano d’immigrazione, di emarginazione, di abbandono, di speranze e di scalate sociali nel mondo del lavoro. Paddington, che viene da lontano ed è animato da un sentimento nobile e assoluto come la sincerità, ha una capacità unica nel suo genere: riesce in un modo o nell’altro a conciliare l’animo di chi si relaziona a lui. È stato così per la famiglia Brown e per gli abitanti della comunità di Windsow Gardens, e sarà così perfino per i prigionieri del carcere in cui solo per sbaglio il protagonista finirà temporaneamente recluso. Il racconto, più o meno scherzosamente, riflette molto sugli errori di giudizio e sugli equivoci, condizione che in più di un’occasione coinvolge l’orso immigrato, la cui ancora di salvataggio resta sempre conquistare tutti con la sua benevolenza. La stessa di cui i due film si servono molto, puntando su un senso di tenerezza, usata anche con un pizzico di mestiere. L’eleganza, la maturità e l’intelligenza di un lavoro di cesellamento rendono altissimo il valore di ogni componente della messa in scena, ed è giusto usare un termine teatrale perché tale è lo straordinario lavoro che compie la regia. A comporne la bellezza ci sono la drammaturgia, le scenografie e la fotografia, oltre che una toccante colonna sonora, tasselli di una narrazione in cui colori, simmetrie, e atmosfere ricordano molto il cinema di Wes Anderson (e in particolar modo Fantastic Mr. Fox) e gli episodi di Wallace & Gromit di Nick Park.
Messo in condizioni di esprimersi al massimo della sua potenzialità è il cast in cui spiccano le presenze di un mutevole Hugh Grant, spesso legittimamente sopra le righe e vera guest del film, che interpreta il classico ambizioso cattivo della storia. Tra gli altri interpreti, una nota particolare va a Brendan Gleeson, nei panni del duro e temibile galeotto “Nocche”, e alla coppia Hugh Bonneville-Sally Hawkins nei panni dei coniugi Brown. L’ilarità delle gag più classiche (a volte citate, vedi la parte dell’orso in mezzo agli ingranaggi come Charlie Chaplin in Tempi moderni) viene accompagnata da una dolcezza e una delicatezza che contraddistinguono lo spirito di cui si nutre l’opera, ed emblematiche in tal senso sono le reminescenze che l’orso ha degli insegnamenti della zia Lucy come “con tenerezza e cordialità il mondo migliorerà” o “se cerchi il buono nelle persone, lo troverai”, omaggio probabilmente a quel mondo di bontà che animava i libri d’illustrazione in cui nacque l’orsetto creato da Michael Bond (scomparso nel giugno 2017 e a cui il film è dedicato).
Paddington 2 riesce ad andare oltre il primo episodio, pur replicando inevitabilmente alcuni meccanismi, senza diventare ripetitivo, ma tendendo anzi in certi momenti a superare il precedente in termini di coralità. Con le sue buone maniere, il Paddington che finisce per diventare importante per gli altri tanto quanto essi lo sono per lui, si trasforma nella metafora più o meno esplicita del messaggio di Paul King: poter trovare il buono delle cose e conquistare con esso la fiducia e lo stupore di tutti, spettatore compreso, intento che gli riesce grazie all’uso di sequenze sbalorditive, che regalano non solo il senso di quella magia di cui solo i sogni sono dotati ai più piccoli, ma che finiscono per incantare anche e soprattutto i più grandi.
Luca Taiuti