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Al Piccolo Bellini il lavoro di Lucia Calamaro: un dramma di pensiero in tre atti che accoglie, sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante, gestione interiore dei defunti.

LA VITA FERMA

Fonte foto Ufficio stampa

“Mi dimenticherai?” chiede Simona a Riccardo, mentre sono intenti a fare il trasloco. O meglio, lui è impegnato a inscatolare la vita, quella che c’era fino alla morte di lei. Lei ora è uno spettro, che è qui a cercare di vivificare il suo ricordo e a capire quanto sia viva la sua esistenza da morta. Comincia così La vita ferma – Sguardo sul dolore del ricordo, il dramma di pensiero che Lucia Calamaro porta in scena al Piccolo Bellini di via Conte di Ruvo a Napoli fino a domenica 3 dicembre  “Non la morte dunque, e non il problema del morire e di chi muore […] Ma i morti” scrive nelle sue note di regia “il loro modo di esistenza in noi e fuori di noi, la loro frammentata frequentazione interiore e soprattutto il rammendo laborioso del loro ricordo sempre cosi poco all’altezza della persona morta, cosi poco fedele a lei e cosi profondamente reinventato da chi invece vive”.
Dove vanno a finire le persone quando muoiono? Dove va il dolore quello straziante, forte, quello provato durante la malattia di una persona cara e poi acuito dal suo andare via, per sempre?
Questo è il filo che attraversa i tre atti, senza mai appesantirli: il trasloco dopo che lei se n’è (fisicamente) andata, lo strazio del periodo della malattia dove viene fuori la fisionomia della famiglia e  infine, nell’ultimo atto, la gestione del ricordo, molti anni dopo. Tutto attraversato da un linguaggio intelligente, ironico e divertente che ruota intorno alla memoria, al ricordo, alla resistenza del ricordo. Tre atti, tre personaggi anzi tre persone: gli attori della Calamaro sono infatti in scena con i loro nomi reali.  “Quanto buona deve essere una memoria?”: confluisce sempre su questo punto il dramma, e lo fa con un linguaggio che inonda, abbonda, è denso e mai banale; un profluvio di parole che non stanca ma riesce per l’intera durata dello spettacolo a catturare e a mantenere viva l’attenzione dello spettatore. C’è anzi un escamotage: un’interazione continua col pubblico attraverso lo sguardo, le battute, i silenzi che sembrano attendere dallo spettatore una risposta e che hanno sicuramente lo scopo di suscitare delle domande. Spicca qui soprattutto la magistrale interpretazione di Riccardo Goretti, che sa anche immediatamente risolvere imprevisti inconvenienti tecnici inglobandoli immediatamente in scena. Questa bulimia linguistica sottolinea quante e quali domande invadono la mente di chi si trova ad affrontare il dolore, carico o sbiadito, per la perdita di chi non c’è più. “Che diventerà un essere morto? Quale esistenza è da morto?” aveva detto Simona, all’inizio.

LA VITA FERMA

Fonte foto Ufficio stampa

In lei una prepotenza nel voler restare viva, anche da morta, resa evidente nei costumi, nei gesti, nei movimenti scenici. Simona è in scena con abiti floreali, abiti bellissimi e diversi – per vivacità dei colori – da quelli indossati dal marito e dalla figlia. In lei una forte volontà di vita; un’eleganza vitale proprio del suo modo di muoversi, di parlare, di voler esserci e nel suo anelare continuamente alle stelle, alla luce. “A cosa servirà mai tutto questo sole?” si chiedevano continuamente gli altri mentre lei era lì sul terrazzo a prendere il sole come una lucertola. Nei suoi movimenti un perpetuo ergersi verso l’alto; una resistenza alla vita, all’essere, ad esserci, anche solo nel ricordo. Alla sua verticalità corrisponde l’orizzontalità della figlia: Alice, bambina intelligente con uno spiccato senso critico e una forte sensibilità, che passa il tempo a riempire quaderni disegnando mostri e a fare e farsi domande in cerca, ininterrottamente, di risposte. I suoi monologhi – quel suo parlare rotto dalle lacrime – li seguiamo quando lei è distesa, quasi affondata nel pavimento, o – come nella scena che descrive un suo incubo  – quando vuole prepotentemente entrare, riuscendoci, nella tomba della mamma.
Poi gli anni passano, e la ritroviamo adulta in attesa di un bambino. E quel sogno ricorrente è ancora lì, emblema di un ritorno alla madre, forse al suo ventre, a quello che di lei ricorda o le è mancato. Col tempo, Alice dimenticherà le fattezze della mamma, Riccardo non ricorderà più dove si trova la tomba della moglie nel cimitero. Dunque, dove fanno a finire i ricordi? Forse “tutte le cose importanti sono invisibili”. Nel proscenio, seduti su due sedie e avvolti in un’atmosfera soffusa che crea intimità col pubblico, Alice e Riccardo ci dicono “O ci pensi e ti sfaceli o non ci pensare più”. Poi ci chiedono: “Tu che dici?”

Maria Anna Foglia

Piccolo Bellini
Via Conte di Ruvo 14 – Napoli
contatti: www.teatrobellini.it

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