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La cinica e tenera serie Netflix, in onda già su Channel 4, si guarda d’un fiato sospeso, rimettendo in discussione gli insegnamenti dell’adolescenza.

Una scena

Una scena

È una storia di non-amore in punta di coltello, questo gioiellino britannico che sarebbe passato sotto silenzio se Netflix non ci avesse messo lo zampino, rendendo disponibili gli otto episodi da venti minuti circa il 5 gennaio del nuovo anno, a due mesi e mezzo di distanza dalla prima messa in onda su Channel 4.
È un racconto di non-crescita, questa storia che ci catapulta nelle vite piatte di Alyssa e James, due diciassettenni che non vogliono saperne delle responsabilità e che si improvvisano Bonnie e Clyde della provincia inglese in fuga da famiglie sfasciate, lezioni poco stimolanti e cittadine soffocanti. Insieme, ma mai davvero insieme, nemmeno alla fine.
È un ibrido strano, questa serie che prende in prestito un primo amore impacciatamente cinico da un altro capolavoro minimal britannico, Submarine di Richard Ayoade. Lo fa proprio, aprendolo in pancia con la lama tesa e sempre pronta di Psyco. Perché, mentre Alyssa (Jessica Barden) fissa un appuntamento con James per un cunnilingus, James (Alex Lawther), convinto di essere uno psicopatico, sta pianificando di ucciderla. I piani vanno all’aria quando la vita si mette nel mezzo e spinge i due a scappare di casa, senza voltarsi.
The End of the F***ing World, tratto dalla serie a fumetti di Charles S. Forsman, tratteggia l’assurdità delle relazioni, la mancanza di aspirazioni, il sopravvento delle delusioni in maniera così onesta, delicata e grottesca da valicare l’adolescenza al punto che viene da chiedersi se questa finisca davvero allo scoccare dei vent’anni. Ovvio che no, l’adolescenza è uno stato mentale e se TEOTFW ci ha fatto sentire qualcosa, esiste la possibilità che nessuno di noi non ne sia mai uscito veramente. Questo, però, Alyssa e James ancora non lo sanno.
Tanto sboccata, sarcastica ed emotiva lei quanto tranquillo, silenzioso e riservato lui, sono una combinazione imperfetta che poggia su continui aggiustamenti ed esperimenti per capirsi e toccarsi, dentro e fuori. Il cliffhanger del primo episodio spinge a consumare con avidità gli altri, provando che il formato breve non giova soltanto alle sitcom.

Una scena

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Se quel coltello affilato a portata di mano sia un’allegoria, nemmeno tanto velata, di quanto l’amore possa fare male all’improvviso – a 17, 27, 37 anni e oltre – lo si capisce solo alla fine, quando, riposte le lame, la separazione avviene in maniera diversa, ma non per questo meno dolorosa. Proprio come Submarine, l’ultima sequenza si gioca su una spiaggia, seppur con un esito ben differente. Le promesse e i sussurri si sciolgono negli occhi di Alyssa che, immobile, vede James fuggire, per salvarla e per salvarsi. Alyssa è sconvolta da quello che percepisce come un tradimento perché, dopo aver invitato James all’azione più volte nel corso della storia, assiste inerme a questa prima, vera decisione, quella che paradossalmente li dividerà, quella che dimostra che forse insieme non ci sono mai stati.
Come Antoine Doinel ne I Quattrocento Colpi, James corre verso il mare abbandonando Alyssa, facendosi carico di responsabilità legali, ma voltando le spalle a quel sentimento, così acerbo e assurdo, che ha portato un altro tipo di impegno: il prendersi cura di un altro da sé, il diventare due che a questa stramba coppia non è mai riuscito a causa del tempo tiranno e delle circostanze avverse.

Una scena

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Tant’è che la regia asseconda questa difficoltà di essere sullo stesso piano e di guardarsi negli occhi in alcune inquadrature riuscite, come nella corsa tra i boschi in cui Alyssa segue James o in quella, meravigliosa, in cui James, sotto al letto, sfiora la mano penzolante di Alyssa addormentata, in un chiaroscuro che fa presagire la tragedia.
We Might Be Dead by Tomorrow, canta la voce eterea di Soko in uno degli episodi. Una lezione, questa, che Alyssa e James capiscono da subito, godendosi ogni attimo del viaggio, anche quelli più bui, passandovi attraverso con una inconsapevolezza che dovremmo tutti ritrovare, dopo averla riposta in fondo a un cassetto.
Volendo trovare un difetto a questa opera di Jonathan Entwistle, è proprio la troppa consapevolezza delle proprie potenzialità che rende alcuni momenti, particolarmente in fase iniziale, un tantino macchinosi, ipercostruiti e legnosi nel tentativo di rifarsi ad altri riferimenti. Quando poi The End of the F***ing World prende corpo – un corpo tutto suo, indipendente pur nell’omaggio ad altri titoli – avviene il piccolo miracolo.
Alyssa e James si trovano a dover fare i conti con la propria morale e con i propri sentimenti e noi con loro. E, su quella spiaggia, ci troviamo a sperare in un “dopo” che probabilmente non arriverà mai, in un finale tanto perfetto quanto improbabile, raramente compatibile con la realtà. Accettato l’assunto che il mondo sta finendo mentre lo stiamo attraversando, dovremmo tendere la mano a qualcuno, come Alyssa fa con James. “Non quella strana,” gli dice disgustata, riferendosi a quella che il ragazzo ha infilato nella friggitrice anni prima, la stessa mano repellente che però gli stringerà più avanti. Dovremmo tendere la mano a qualcuno. Chissà che non si riesca a sfiorarla, nella migliore delle ipotesi.

Stefania Sarrubba

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