Trieste Film Festival 2018: il diario di bordo [CINEMA]
Alla scoperta di opere, sezioni e premiati del più importante appuntamento italiano col cinema dell’Europa centro orientale, dove i vincitori sono votati dal pubblico.
di Luca Taiuti
Dal 18 al 28 Gennaio abbiamo il privilegio di partecipare alla 29esima edizione del Trieste Film Festival. Giunti nell’elegante cornice triestina, accolti da un’articolata e impeccabile Organizzazione, il festival (diretto da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo), ci sembra più di tutto un’occasione rara e preziosa di assistere a opere dal valore notevole di autori semi-sconosciuti a molti, “un ponte”, come lo definiscono gli stessi organizzatori, “che mette in contatto le diverse latitudini dell’Europa del cinema, scoprendo in anticipo nomi e tendenze destinate ad imporsi nel panorama internazionale”. Il pubblico, leggittimato a votare, decreta i vincitori, una formula più unica che rara. Oltre a una serie di numerosi eventi legati alle arti visive e alla musica, e alle tante iniziative per grandi e piccoli (a cui è dedicato un minifestival, sezione che con rammarico non seguiremo), il festival propone film, documentari e cortometraggi in concorso provenienti da oltre 30 Paesi, molti dei quali presentati in anteprima assoluta. Tre le varie sezioni principali in cui si struttura il festival, poi ci sono la sezione “animazione”, fuoriconcorso; “Art&Sound”, promossa in collaborazione con Sky Arte che premia uno dei film della sezione attraverso l’acquisizione e la diffusione sul canale; la sezione “PremioCorso Salani”, che presenta cinque film italiani completati nel corso del 2017 e ancora in attesa di distribuzione; infine, tra i protagonisti assoluti del festival vi è il Rock, rappresentato dalla sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution”, una retrospettiva per i cinquant’anni del ’68 che conta grandi classici. Luoghi delle proiezioni sono il funzionale Teatro Miela e lo splendido Politeama Rossetti.
Di seguito, giorno per giorno, rammaricati di non poter partecipare a tutte le proiezioni per questioni meramente logistiche, vi raccontiamo le tappe principali di questo meraviglio viaggio cinefilo.
GIORNO 1: Evento inaugurale del festival e della sua vena rock nella sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution” è Sympathy for the Devil (1968) di Jean-Luc Godard, la cui rivoluzionaria provocazione parte, per chi non lo ricordasse, da uno dei pezzi più celebri e celebrati dei Rolling Stones raccontato dalla genesi alle evoluzioni della registrazione del brano. 10 piani sequenza folli, tra realtà e finzione, che rivelano il genio del suo autore e che rappresentano un manifesto politico di un’intera fase.
GIORNO 2: Fuori concorso, nella sezione documentaristica “Art&sound”, prodotto e distribuito da Sky, HANSA STUDIOS: Da Bowie agli U2 – La Musica ai Tempi del Muro (2017) di Mike Christie, un lavoro che raccoglie interviste inedite ad artisti e guida alla scoperta dei mitici studi di registrazione berlinesi che videro nascere i capolavori di David Bowie, Iggy Pop, Depeche Mode, Nick Cave, U2, Einstürzende Neubauten, Nina Hagen.
Ancora nella sezione dedicata alla musica, nell’arco della stessa giornata, assistiamo a Soviet Hippies (2017) dell’estone Terje Toomistu, audace racconto sul movimento hippie sovietico che sfidò il regime dell’Urss. e a Ja Gagarin (2017) della russa Olga Darfy, che ricostruisce la scena techno della Mosca dei primi anni ’90.
Per la sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution” abbiamo Generacija ‘68 (2016) di Nenad Pulhovski, dove l’autore rende un commuovente omaggio alla sua generazione ambientando il suo racconto in una cornice autobiografica di rivolte studentesche a cui lega ricordi, sogni, ambizioni, ma anche enormi disillusioni.
Nella stessa sezione ancora Rani Radovi (1969), esordio di Želimir Žilnik (di cui assistiamo anche al cortometraggio Lipanjska Gibanja del medesimo anno) in cui quattro studenti jugoslavi dopo le ribellioni del ’68, intraprendono un viaggio per visitare villaggi rurali e parlare con contadini di socialismo ed emancipazione. Una pellicola di forte impatto politico, che ha nel coraggio e nella spregiudicatezza dell’immagine il suo punto di forza, oltre che nella forte ironia, elementi che lo portano a stretto contatto con la nouvelle vague e con uno dei suoi maggiori esponenti: il Godard di La cinese (1967).
GIORNO 3: In apertura di una giornata tutta dedicata alla sezione “Premio Corso Salani” troviamo Karenina & I (2017) dell’italiano Tommaso Mottola (di origini napoletane), che vede un’attrice norvegese, la straordinaria Gørild Mauseth, chiamata a interpretare Anna Karenina in una lingua che non ha mai parlato e nel paese d’origine di Lev Tolstoj, un cammeo Liam Neeson, autore sulle cui tracce si proietta il film, cercando i motivi per i quali scrisse il romanzo, in un lungo viaggio alla scoperta di sublimi paesaggi transiberiani.
In anteprima assoluta, il documentario Country for old men (2017) di Pietro Jona e Stefano Cravero, racconta l’espatrio di un gruppo di anziani statunitensi a Cotacachi, Ecuador, in un autentico paradiso minacciato tuttavia dall’arrivo di connazionali che si portano dietro le nevrosi del loro Paese. Un’opera illuminante, che riesce con grande spessore narrativo a raccontare le ansie e le paure di una comunità e una classe sociale allo sbando, entrando nella vita dei suoi soggetti e riuscendo a scavare nella loro psicologia.
A seguire e sempre in anteprima, Uno sguardo alla terra (2018) di Peter Marcias, un documentario che parte lavoro del quasi dimenticato regista sardo Fiorenzo Serra, e che diventa una significativa riflessione sul documentario contemporaneo e ‘lo stato di salute’ della Terra, nutrendosi sia di testimonianze di noti registi e documentaristi internazionali come Claire Simon, Wang Bing, Vincenzo Marra, Brillante Mendoza, Constanza Quatriglio, che di immagini di rara e potente bellezza della Sardegna, punto di partenza per raccontare luoghi e volti.
In conclusione di giornata, presentato alla Settimana della Critica di Venezia, troviamo Il Cratere (2017) di Luca Bellino e Silvia Luzi, ambientato nella periferia napoletana, dove le ambizioni di un padre di rendere la figlia Sharon una stella della musica neomelodica sovrastano le crisi dell’adolescente, ancora troppo giovane per capire cosa fare della propria vita. Scegliendo di rendere i suoi personaggi interpreti di se stessi, il lavoro del duo Bellino-Luzi ad un inequivocabile stile filmico fatto di inquadrature claustrofobiche che quasi ci impediscono di renderci conto dove siamo, contrappone un meno netto registro narrativo, ed è in balia di un perpetuo gioco che lo vede, sotto stessa ammissione dei suoi due registi, volutamente tra il documentario e il film di finzione, in “un realismo talmente elevato che supera se stesso, e diviene messinscena, per creare emozioni forti nello spettatore”, più che forti, fuorvianti, aggiungiamo noi.
GIORNO 4: Premiato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) come miglior film italiano del 2017 e presentato nella sezione “Quizaine des Réalisateurs” al Festival di Cannes 2017, prodotto anche da Martin Scorsese, abbiamo l’opportunità di rivedere, qui come “evento speciale, uno delle opere più apprezzate dell’anno, A Ciambra (2017) dell’italoamericano Jonas Carpignano, film sul piccolo, si fa per dire, Pio Amato, in una comunità di Rom nei pressi di Gioia Tauro, una realtà a dir poco complessa. Un’opera che riesce a ridare respiro ad un genere che ha visto in diversi anni l’avvicendarsi di tanti titoli ma che non trovava un’espressione così alta da Bellas mariposas (2012) di Salvatore Mereu, adoperandosi di momenti onirici magnifici che ci sollevano dalla pesantezza di un realismo di cui il film si nutre, in un clima a metà tra il rapsodico cendrasiano e il dramma del bambino cresciuto oltre i confini di se stesso, che non può che portarci sempre a I 400 Colpi (1959) di François Truffaut.
Momento di prime premiazioni prima di proseguire, che vedono conferire, oltre al suddetto “premio dell’SNCCI al miglior film italiano”, sempre dagli stessi anche quello come “miglior film internazionale” a Elle (2016) di Paul Verhoeven. “Premio Sky Arte Hd” a Soviet Hippies (di cui sopra). Si prosegue con la presentazione dei vincitori del “Last stopTrieste”, una sezione work in progress dedicata ai documentari in versione roughcut precedentemente sviluppati e presentati in una delle piattaforme partner del progetto a My unknown soldier di Anna Kryvenko. Tra i documentari scelti, visionati da un esclusivo e ristretto pubblico di circa 40 sales agents, programmatori di festival e commissioning editors televisivi con l’obiettivo di essere selezionati dai festival internazionali più importanti ed aumentare le loro probabilità di venire distribuiti, il premio HBO a Kentannos di Victor Cruz, argentino che ci tiene a ringraziare per il sostegno al progetto soprattutto la Film Commission Regione Sardegna, che ci sembra, a buon merito, una delle presenze italiane predominanti e più proficue del festival. Ed infatti ad un altro progetto sardo va il “Premio Corso Salani”: L’uomo con la lanterna (2017) di Francesca Lixi; a Country For Old Men (di cui sopra) va invece la menzione speciale.
Finite le premiazioni, si torna a un “evento speciale” con Djam (2017) del Tony Gatlif, una delle opere più forti di questo festival. In un racconto che mescola lingue, culture, nazionalità e ritmi, attraverso la storia di una giovane greca dallo spirito libero, Djam per l’appunto, mandata dallo zio a Istanbul per recuperare un pezzo del motore della loro barca. Viene raccontata, attraverso una verità fuori dal comune, l’Europa della multiculturalità, delle migrazione e delle speranze e della crisi economica. Un lungometraggio straordinario, dalla drammaturgia matura e il linguaggio filmico fresco (nonostante il suo fenomenale regista
francese abbia quasi 70 anni, ma questo non vuol dire nulla), che trova il faro del suo splendore nel talento, l’irriverenza, l’ironia, il temperamento e la seducente bellezza della sua protagonista Daphne Patakia, che delizia gli spettatori anche con un simpatico siparietto prima del film.
GIORNO 5: Si comincia con due opere nella sezione “evento speciale” con Western (2017) della tedesca Valeska Grisebach, presentato in anteprima all’ultima edizione di del festival di Cannes nella sezione “Un Certain Regard”. Il film racconta di un gruppo di muratori tedesco che viene mandato in una campagna bulgara, luogo che risveglierà negli uomini un senso di avventura e di costrizione a confrontarsi con pregiudizi e diffidenze. La regia, attraverso un notevole impatto psicologico sui suoi personaggi e una direzione corale, riesce a costruire un racconto che potremmo definire di impianto teatrale.
A seguire, nella medesima sezione, The prince and the Dybbuk (2017) di Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski, vincitore del “Premio Venezia Classici” per il miglior documentario sul cinema, un appassionante viaggio cinematografico alla scoperta di Moshe Waks, figlio di un umile fabbro ebreo originario dell’Ucraina che morì in Italia come principe Michaeł Waszyński, un regista e sceneggiatore che cambiava continuamente nome, religione, titolo e paese per scrivere la storia della sua vita come se fosse quella di un film.
Sul finire di giornata, tra i lungometraggi in concorso, Out (2017) di György Kristóf, applaudito anche lui al “Certain Regard” di Cannes, con il protagonista Ágoston che, tra incontri bizzarri e inattesi, attraversa l’Europa dell’Est nella speranza di trovare un lavoro e realizzare il sogno di tutta la vita. Un gioiello di espressione visiva e dotato di un stringato minimalismo espressivo.
GIORNO 6: Una delle giornate più importanti per il prestigio delle sue opere, si apre con un “evento speciale”: Jupiter holdja (Jupiter’s moon, 2017), firmato da uno dei fenomeni della nuova scuola ungherese Kornél Mundruczó, un thriller sulla disillusione e la fede attraverso storia di un giovane profugo clandestino succube del suo potere di levitare. Vite di tutti i giorni miste a elementi paranormali, in un film dove vige su tutto un uso a dir poco mostruoso della macchina da presa. Una storia frutto, come dichiarato dallo stesso regista, delle influenze di tante letture sci-fi. Ovunque voi possiate recuperarlo, vi consigliamo vivamente di non lasciarvelo scappare per nessuna ragione al mondo.
A seguire, tra i lungometraggi in concorso, Breaking news (2017) della regista rumena Iulia Rugină, opera in cui, dopo la tragica morte del suo cameraman, il reporter Alex Mazilu deve realizzare un servizio sulla vita dell’uomo, attraverso gli occhi inquieti di sua figlia. Una pellicola che scava nei sentimenti di una adolescente il cui odio per il ricordo di un padre mai molto presente diventa lo scudo che si infrange al tentativo di Alex di rendere giustizia alla memoria del suo amico, in un elevatissimo livello di empatia e ottima fluidità di scrittura ‘asciutta’ della sceneggiatura.
Dulcis in fundo, altro “evento speciale” e presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes, Krotkaja (A gentle creature, 2017) dell’ucraino Sergej Loznica, ispirato da un racconto breve di Dostoevskij, un viaggio nell’abisso da parte di una donna che vive da sola alla periferia di un villaggio in Russia e che si reca nel carcere dove è recluso il marito, in cerca di una spiegazione al pacco mandato all’uomo e recapitatole indietro. In una battaglia contro l’istituzione e la prigione, il film è un lungo racconto di una figura fragile ma dallo sguardo austero e imprescrutabile, e il racconto vive di momenti fuori dal tempo che lo catapultano da una dimensione realistica ad una seconda onirica felliniana, e ad una piccola terza dell’orrore. Uno dei film più interessanti e provocatori a cui abbiamo assistito a questa manifestazione.
GIORNO 7: Giornata di lungometraggi in concorso Frost (2017) del maestro lituano Sharunas Bartas, con i suoi due protagonisti, Rokas e Inga, impegnati a guidare un furgone di aiuti umanitari da Vilnius all’Ucraina, salvo ritrovarsi abbandonati a se stessi, in cerca di un rifugio tra le terre innevate del Donbass, circondati da un’umanità distrutta dalla guerra. Un racconto che assume i toni dell’inchiesta, in un finale struggente.
A seguire, dopo l’annuncio del “Premio CEI (Central European Initiative) ” conferito alla produttrice Ada Solomon, assistiamo ad Aritmija (Arrhytmia, 2017) del russo Boris Khlebnikov, uno dei film più divertenti della manifestazione, che con una brillante ironia racconta storia di una giovane coppia di paramedici che, fra interventi d’emergenza, pause lavorative ad alto tasso alcolico e un sistema sanitario in continua evoluzione, lotta per trovare la forza di rimanere insieme, con esiti altalenanti.
Candidato dall’Albania all’Oscar, Dita Zë Fill (Daybreak, 2017) di Gentian Koçi, l’intenso ritratto di Leta, interpretata dalla straordinaria Ornela Kapetani, sfrattata e costretta a trasferirsi con il figlio neonato nell’appartamento di Sophie, un’anziana signora ormai immobile a letto, a cui la donna deve fare da badante. Per difendere il lavoro e la nuova casa, Leta deve mantenere in vita a tutti i costi la vecchia signora. Il ritratto di una donna su cui si riversa un peso cosmico si riflette sulle doti attoriali di un’attrice brillante, il cui volto diventa una maschera.
GIORNO 8: Torniamo alla sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution” per assistere a due grandi classici. A fare da contraltare all’apertura godardiana ci pensa Baisers Volés (1968) di François Truffaut, una storia intrisa di malinconica dolcezza, in cui il protagonista, l’Antoine Doinelle interpretato dall’attore feticcio Jean-Pierre Leaud, è alla disperata ricerca di un posto nel mondo, affronta un percorso di crescita e di maturazione interiore.
A seguire La cicatrice intérieure (1972) di Philippe Garrel, un film, come a suo tempo spiegò Garrel, da guardare solo per piacere, come può essere piacevole avventurarsi nel deserto, ascoltare Nico (in Desertshore), ammirare una carrellata circolare, gli strani paesaggi, il silenzio angosciante, le grida addolorate, la ricerca di un assoluto improbabile e incerto.
GIORNO 9: Ancora apertura di giornata nella sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution” per assistere a un grande classico: I pugni in tasca (1965) capolavoro di Marco Bellocchio, in cui la casa-labirinto, opprimente simbolo di ogni istituzione repressiva, rispecchia con sconvolgente precisione le tensioni del periodo pre-sessantottino.
Seguono due lungometraggi in concorso. Il primo è Zgoda (The Reconciliation, 2017) del regista polacco Maciej Sobieszczański. La pellicola è ambientata in Slesia nel 1945. Sul sito dell’ex campo nazista di Auschwitz Birkenau, i servizi dell’ufficio di sicurezza comunista creano un campo di lavoro per tedeschi, slesiani e polacchi. Nel tentativo di salvare Anna, la ragazza polacca che ama, Franek va a lavorare nel campo in cui è imprigionata. Non è a conoscenza del fatto che il suo amico tedesco Erwin, anch’egli prigioniero, sia innamorato di Anna da anni. Un film dalle forti immagini, virate tra il grigio e il marrone, tonalità umorale del racconto.
Secondo film in concorso è Soldaţii. Poveste din Ferentari (Soldiers. Story from Ferentari, 2017) della serba Ivana Mladenović, ambientato nel ghetto disagiato di Bucarest, Ferentari, dove sboccia l’inaspettato rapporto omosessule tra Adi, un giovane antropologo e il giovane rom Alberto, ex detenuto e senza fissa dimora. Un film che rompe tabù e frontiere attraverso un ritratto d’amore e tenerezza nel duro ambiente delle comunità Rom emarginate, rappresentate con difficoltà al cinema.
A concludere questa penultima giornata, nella sezione “Rebels 68. East ‘n’ West Revolution”, abbiamo Les deus amis (2015) di Louis Garrel, l’enfant prodige del cinema francese contemporaneo e figlio della nouvelle vague, legato al ’68 anche dalla recente interprazione di Godard in Il mio Godard (2017) di Michel Hazanavicius. Louis Garrel fa da trait-d’union a nevrosi e capricci, indisciplina e rivoluzione, erotismo espanso e bellezza del cinema pre e post sessantottino. Un ménage à trois tragicomico, governato dai sentimenti e dal bisogno di appartenere a qualcuno, tra una donna, un uomo e un amico, ricorda molto quel The Dreamers di Bertolucci (di cui diremo dopo) o addirittura qualcosa di Jules and Jim di Truffaut, tentativi nobili che sfociano in un’opera interessante, a tratti acerba e parzialmente priva di un reale spessore autoriale, che finisce per divenire espressione di autocompiacimento di Louis Garrel, rischiando di rovinare la sua buona prova interpretazione. Notevole, inoltre, la prova attoriale dell’iraniana Golshifteh Farahani.
GIORNO 10: L’ultimo giorno di festival è all’insegna di classici più e meno recenti, a cominciare da The Dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci, tratto dal romanzo di Gilbert Adair in cui, rimasti soli a Parigi mentre i genitori sono in vacanza, Isabelle e suo fratello Theo invitano nel loro appartamento Matthew, un giovane americano incontrato alla Cinémathéque. Sullo sfondo del turbolento panorama politico che portò al Maggio ’68 in Francia, i tre ragazzi si chiudono in casa stabilendo delle regole di comportamento ed esplorando emozioni, erotismo in un crescendo di giochi mentali sempre più estremi.
A seguire Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni, capolavoro che non necessita di presentazioni particolari, storia di un fotografo che si trova suo malgrado ad essere spettatore di un omicidio in un vortice tra illusioni e verità, e Blow Up di “Blow up” (2016) di Valentina Agostinis, documentario in cui, a cinquant’anni dall’uscita del film-capolavoro di Antonioni, ricostruisce attraverso alcuni testimoni l’esperienza del regista nella swinging London del 1966.
In chiusura, prima delle premiazioni, L’Altrove Più Vicino. Un viaggio in Slovenia (2017) di Elisabetta Sgarbi, che vede la Slovenia nelle parole e negli occhi di Paolo Rumiz, nei versi del poeta Alojz Rebula, nei ricordi di Claudio Magris: un viaggio attraverso un paese vicino, nella sua lingua, nei suoi paesaggi, nelle sue somiglianze con l’Italia.
TUTTI I PREMI:
- Premio Trieste: ARITMIJA di Boris Chlebnikov
- Premio Alpe Adria: WONDERFUL LOSERS: A DIFFERENT WORLD di Arūnas Matelis
- Premio TSFF Corti: 60 KILO NICZEGO di Piotr Domalewski
- Premio Corso Salani: L’UOMO CON LA LANTERNA di Francesca Lixi
- Premio Eastern Star: RADE ŠERBEDŽIJA
- Premio Cinema Warrior: PIERA PATAT e LIVIO JACOB
- Premio CEI: ADA SOLOMON
- Premio Sky Arte: SOVIET HIPPIES di Terje Toomistu
- Premio Balcani Caucaso-Transeuropa: ȚARA MOARTĂ di Radu Jude
- Premio SNCCI al Miglior Film: ELLE di Paul Verhoeven
- Premio SNCCI al Miglior Film italiano: A CIAMBRA di Jonas Carpignano
- Premio Cineuropa: SOLDAȚII. POVESTE DIN FERENTARI di Ivana Mladenović
- Premio This is it: STORIES FROM THE CHESTNUT WOODS di Gregor Božič
- Premio LST Award: 100 TRIPS AROUND THE SUN di Víctor Cruz
- Premio Giuria Pag: RUDAR di Hanna Slak