“Le braci”, per riflettere sul destino e l’incomunicabilità tra gli individui
Dall’opera di Sándor Márai, la trasposizione per la scena a cura di Laura Angiulli che ne firma la regia affidando a Renato Carpentieri e Stefano Jotti il ruolo dei protagonisti.
Cinque sedie, due attori e una storia. In questa essenziale struttura può essere racchiuso lo spettacolo in scena fino a questo pomeriggio 25 febbraio a Galleria Toledo, Le Braci, tratto dall’omonimo libro di Salvador Marai nell’adattamento di Fulvio Calise e con la drammaturgia e regia di Laura Angiulli, che vede protagonisti Renato Carpentieri e Stefano Jotti.
Le parole, i discorsi, le riflessioni, tenute in un arco temporale brevissimo, sono i protagonisti assoluti in questa storia: sulla carta riempiono le pagine e sul palco riempiono lo spazio grazie all’ adattemento teatrale che riesce a racchiudere nei circa 60 minuti di rappresentazione la storia di Henrik a Konrad dando spazio a tutte le considerazioni sull’amicizia, la vita e il destino che Marai dissemina nel manoscritto, alla regia essenziale al servizio del testo e ai due interpreti che incarnano con vigore la drammaturgia senza sbavature.
Siamo in Ungheria, la prima guerra mondiale ha travolto la società con la sua scia di morte, l’impero ormai si sta disgregando e con esso un’intera società di valori e regole, codici di comportamento e sentimenti, mentre un nuovo conflitto con il suo nuovo vento di morte e disumanità è alle porte. Due uomini, Henrik (Carpentieri) e Konrad (Jotti), si ritrovano dopo quarant’anni di silenzio e lontananza a parlare: erano due intimi amici con in comune tante cose ma soprattutto una donna, Krisztina, a cui erano legati per due diversi seppure ugualmente intensi rapporti. Ora sono poco più di due conoscenti, la maggior parte della vita l’hanno vissuta lontani ma la radice comune che li ha plasmati si è conservata nonostante lo spazio e il tempo, ed entrambi cercano con questo incontro di dare un senso proprio al tempo trascorso e a tutta la loro esistenza consumata da azioni non fatte e parole non dette.
Henrik, un vecchio militare dalla rigida morale, ha trascorso il tempo dalla separazione dall’amico elucubrando sugli eventi accaduti che hanno originato la frattura di quel rapporto e mantenendo al di fuori del suo mondo tutti i cambiamenti in atto all’esterno – “Esisteva un mondo per il quale valeva la pena di vivere e di morire. Quel mondo è morto, quello nuovo non fa più per me” -, dal canto suo Konrad, dall’animo più romantico e appassionato, come dimostra il suo profondo amore per la musica, dopo aver abbandonato di soppiatto la città, ha vissuto ai Tropici dove le “passioni covano sul fondo come il tornado dietro alle paludi, passioni di ogni genere”. L’incontro e il dialogo che ne scaturirà è fortemente atteso, soprattutto da Henrik che ha meditato continuamente sulle domande da porre all’amico, ma poi, quando si ritrovano occhi negli occhi, sono quasi più le parole non dette rispetto alle risposte di Konrad ad alimentare il ragionamento di Henrik e a condurre la conversazione.
Una persona che ha meditato per tanti anni sulla propria vita ha bisogno di solo qualche cenno per darsi delle risposte, è quasi una conferma ai suoi ragionamenti, ed è per questo che Henrik sembra quasi parlare a se stesso o all’amico che per tanto tempo ha immaginato di trovarsi davanti, piuttosto che alla persona fisicamente presente nella stanza. E sapientemente bilanciando il serrato dialogo con le pause, i due attori incarnano le peculiarità e le debolezze dei due protagonisti: Carpentieri, con il suo magistrale spessore scenico, rendendo non solo la stanchezza e la consapevolezza di tutti i cambiamenti avvenuti in quarant’anni di lontananza ma anche il barlume di passione che proprio come una brace che per tanti anni è stata coperto dalla cenere è ancora, però, pronta ad infammarsi se ossigenata (come nella rievocazione della scena topica della loro storia di amicizia, quella che segna l’inizio di una nuova era nel loro rapporto); Jotti con il suo essere altero e spavaldo, colui che ha preferito non fare e non esserci.
Se dunque Le braci è il testo che descrive con più attenzione di qualunque altro la psicologia e la poliedricità di un rapporto tra due essere umani e disvela le logiche dei comportamenti umani quando sono in gioco i sentimenti e le passioni che il vivere ci offre, questa versione firmata dalla Angiulli riesce non solo a dare corpo e voce a due intramontabili personaggi della letteratura europea, ma soprattutto ad amplificare il pathos che ogni lettore può aver provato ed immaginato davanti alla pagina scritta.
E la summa del dialogo e di tutto ciò che è stata la vita della coppia di protagonisti, diventa la domanda finale – con cui si chiude lo spettacolo – che Henrik pone a Konrad ricevendo in cambio una pleonastica risposta: è proprio la passione che riesce a tenere in vita ciascuno anche quando tutto intorno c’è solo distruzione e il proprio mondo si sta sgretolando, Henrik ne è consapevole anche se lo chiede a Konrad, così come è consapevole che alla passione, al suo essere soffio vitale, si resta sempre fedeli. Così come lo sono stati loro, del resto.