Bye “Love”, l’addio a Gus e Mickey che ci hanno fatto ricredere sull’amore [SERIE TV]
La stramba love story di Netflix si chiude con la terza stagione, dopo aver riscritto tutte le regole del romanticismo seriale.
di Stefania Sarrubba
Tutto finisce prima o poi, anche l’amore. Così com’era arrivata, Love, la piccola serie rivoluzione/rivelazione di Judd Apatow, già tra le menti dietro Freaks and Geeks e Girls, ci ha detto addio con la terza e ultima stagione, disponibile in dodici episodi dal 9 marzo su Netflix.
Dopo che il colosso di streaming non ha ulteriormente rinnovato la serie, Apatow, insieme ai co-creatori e coppia nella vita vera Lesley Arfin e Paul Rust, ha deciso di congedarsi con un’ultima stagione, la più divertente, tenera e introspettiva.
Un commiato, questo, che è un cenno a un dopo che c’è sicuramente anche senza lo spettatore, alla storia d’amore che continua tra Gus (lo stesso Rust) e Mickey (Gillian Jacobs), le due metà improbabili di una coppia così strana, inadatta e alla deriva da essere terribilmente vera. Il tutto sullo sfondo della Los Angeles che non si vede nei film patinati, a un passo da Hollywood.
I fan della serie conosceranno già benissimo i due. Mickey, spregiudicata, fragile produttrice radiofonica ex alcolista e con una dipendenza da sesso e amore, incontra Gus, insegnante sui set cinematografici, imbranato e desideroso di piacere a tutti i costi. Li avevamo lasciati alla fine della seconda stagione a prendere la clamorosa decisione di stare insieme, di provare, contro tutti i segnali che gridavano di lasciar perdere, a essere una coppia. Che nel mondo delle relazioni contemporanee significa esclusività, non vedere altre persone, cercare di non mandare tutto all’aria con atteggiamenti senza senso dettati dalla paura di impegnarsi.
Love, insieme a poche altre serie, tratteggia una storia d’amore in cui finalmente è possibile riconoscersi. Nessuna aspettativa irreale né ruoli da coppia stereotipata, la serie di Apatow reinventa il codice del neo-romanticismo sul piccolo schermo. Infatti, è solo quando cercano di giocare secondo le regole dell’amore perfetto che Gus e Mickey falliscono, mentre si ritrovano inconsapevoli e increduli vincitori quando quelle stesse regole le riscrivono da soli.
Verrebbe da pensare alle iperboli fantasiose di Man Seeking Woman e al cinismo di You’re The Worst, altri due esempi che funzionano bene in termini di amore contemporaneo in forma seriale, sebbene entrambi molto più estremizzati di Love, che invece mantiene un’onestà tragicomica in tutte le stagioni senza ricorrere a esagerazioni di sorta.
Stabilito nelle precedenti che Mickey è la metà marcia della mela con la sua dipendenza, dobbiamo ricrederci in questa stagione, che indaga più a fondo il disagio di Gus e la sua difficoltà nello gestire la rabbia. Love ci spiega che le relazioni sono un castello di carte che entrambe le parti coinvolte possono far crollare e lo fa con umorismo caustico, situazioni al limite dell’improbabilità e momenti di sorprendente dolcezza, che mai sconfina nello sdolcinato.
Forse Mickey e Gus non sono giusti l’una per l’altro, ma imparano ad aggiustarsi, a fatica, sulle esigenze, i tic, le manie della persona amata, perché la semplicità è un risultato finale che richiede paradossalmente un impegno certosino e nascosto.
Seguiamo il progredire di questa storia su cui nessuno avrebbe scommesso un dollaro, così come parallelamente seguiamo i due protagonisti in maniera indipendente, nelle loro sfide professionali e personali perché mai, in nessun momento, Love ne annienta l’individualità.
Facciamo il tifo per loro insieme a un corollario di amici e personaggi secondari stravagantemente reali. Su tutti la Bertie di Claudia O’Doherty, di cui finalmente vediamo di più, addirittura protagonista del suo episodio “Il compleanno di Bertie”, un inno delicato alla solitudine, un braccio speranzoso teso verso chi è pronto ad afferrarlo.
Essere diretti è la chiave per aprire uno spiraglio in quella solitudine che è un po’ il bagaglio a mano che ci viene dato di default. Lo confermano le due scene più intense della stagione. La prima è la dichiarazione d’amore urlata durante l’influenza intestinale – perché cos’è l’amore se non un temporaneo stato di infermità? – nell’episodio “Sto male”, diretto da Alex Karpovsky, il Ray di Girls, uno che di scoppi di rabbia se ne intende. La seconda è il coming out emozionale di Gus di fronte a tutta la sua tradizionalissima famiglia in South Dakota al 40esimo anniversario dei genitori (“Festa di anniversario”). Un’ammissione così candidamente coraggiosa da lasciare Micky a bocca aperta e da essere il punto di partenza per il cambiamento di Gus.
Impeccabile anche la colonna sonora, con un brano in particolare alla fine del settimo episodio “La Sarah del college” che riassume in pochi versi tutto ciò che c’è da sapere sull’amore millennial, se mai quest’etichetta abbia significato qualcosa.
Gus ha appena salutato, per l’ultima volta, la sua ex Sarah (Vanessa Bayer) incontrata a un matrimonio, lasciandola dormire, ubriaca, dopo averla accompagnata in albergo. «Sono contenta di averti rivisto perché so che almeno uno di noi due è felice» dice lei, fresca di divorzio. «Troppo giovane per essere divorziata, troppo vecchia per andare agli appuntamenti» si definisce.
Gus guida verso casa, verso Mickey, con Karen O in sottofondo che ci ricorda che il tempo passa, che non si ferma mai e che non esiste Modern Romance che tenga. Non bisogna aggrapparsi a nulla, solo provare ad andare avanti a tentoni, come fanno Mickey e Gus.
Un po’ dispiace che, dopo soli sei mesi di relazione, i due decidano impulsivamente di sposarsi nel series finale “Catalina”. Il dispiacere passa subito, però. Apatow poteva rovinare tutto con un happy ending tanto tradizionale, un finale che mai ci si sarebbe aspettati da una serie irriverente. Eppure, complice la regia di Lynn Shelton (già dietro la macchina da presa di Laggies con Keira Knightley e Sam Rockwell), riesce a rendere le nozze improvvisate di Gus e Mickey un momento tanto spontaneo, privato e semplicemente bello da apparire, per un secondo, anche perfettamente sensato.
Vogliamo immaginarceli sempre così, Gus e Mickey, che ridono, stagliandosi contro la skyline illuminata di notte, ma sappiamo che non sarebbe reale. Dopo un giorno, una settimana o un mese litigheranno, forse si lasceranno, torneranno insieme, adotteranno un cane, prenderanno casa, faranno un figlio, divorzieranno. Ma tutto questo, tutto quello che di solito i film e le serie sull’amore ci mostrano, Apatow ha il buon gusto di tenerlo nascosto, di lasciarcelo immaginare come più ci piace. Perché questo di Love è un addio che sembra un arrivederci pieno di possibilità e va benissimo così.