Luigi De Filippo nel ricordo di Giulio Baffi
Figlio di Peppino e nipote di Eduardo, con la sua scomparsa si estingue la storica famiglia, riferimento teatrale di ieri, oggi e domani.
di Giulio Baffi
«Noi De Filippo abbiamo portato sulla scena l’amore, la gelosia, l’invidia, la voglia di potere, l’abbiamo fatto con ironia e riflessione, ne abbiamo fatto il nostro Teatro insieme alla lotta quotidiana per dare un senso alla propria esistenza» diceva Luigi De Filippo andando con la memoria all’insegnamento grande che suo padre Peppino gli aveva impartito fin dalla sua giovinezza. Giovinezza di un ragazzo timido, con un padre famoso, sempre in giro per i teatri d’Italia, con uno zio, Eduardo, molto amato, con la dolce Titina a fargli da madre. Così Luigi temprava in famiglia il suo carattere di giovane “figlio d’arte” che, ancora ragazzo, salì sul palcoscenico del Teatro Quirino di Roma per vincere la scommessa con il padre. Aveva dodici anni «se questa sera entri in scena con gli altri attori, ti regalo cinque lire» gli aveva detto una sera Peppino preoccupato della timidezza di questo suo unico figlio. «Cinque lire di allora erano una discreta cifra per un ragazzo, ci pensai su e accettai. Così entrai in scena con gli altri attori e mio padre, soddisfatto, mantenne la promessa». Gli fu assegnata una piccola parte de La fortuna con la effe maiuscola e così iniziò la “carriera” di questo attore gentile, volto familiare per tanti, sorriso gioviale, gesto misurato, erede ultimo di una tradizione che ha nome illustre e passione grande. La tradizione da rispettare e tenere viva sui palcoscenici italiani è stato il suo imperativo. Eredità onorata per tutta la vita, con sacrificio forse, perché forse avrebbe preferito vivere scrivendo commedie piuttosto che facendo l’attore. Di commedie ne ha firmate e messe in scena dieci. «Mi è sempre piaciuto scrivere e sono un autore per passione e un attore per necessità» mi disse una volta. Sembrava sincero. Ma il suo essere attore è stato impegno portato avanti con entusiasmo per tutta la vita, giorno dopo giorno, convinto che «anche il giorno di riposo per il teatro è un giorno perso, perché un attore in scena ci suole stare ogni giorno».
Il debutto “ufficiale” a ventuno anni, nella compagnia paterna. A gennaio di quest’anno era in scena, protagonista di quel Natale in Casa Cupiello tanto amato dallo zio Eduardo. Un successo, e lui a ottantasette anni, mai stanco. Questo era Luigi De Filippo, stakanovista instancabile del teatro “di famiglia”.
Era nato a Napoli il 10 agosto 1930. Il cinema lo chiamò presto, era un bel giovanotto dai capelli lucidi e neri, lo sguardo seducente e onesto che allora faceva innamorare le ragazze. Ma il teatro vinceva la sfida. Da autore firmò commedie come La commedia de re buffone e del buffone re, Storia strana su di una terrazza napoletana, Buffo napoletano, Come e perché crollò il Colosseo, La fortuna di nascere a Napoli. Chi le ha viste in scena le ricorda con piacere. Storie semplici per lo più, perché «è la nostra vita quella che portiamo in palcoscenico» diceva, dichiarandosi «incantato e affascinato dal mondo del teatro», e non deve essere stato facile essere un “erede” sempre in concorso con gli altri De Filippo. Ma la sua vita era ricca di ricordi, a chi gli chiedeva il racconto di qualche momento emozionante diceva di quando «ebbi la fortuna di essere il primo spettatore dilla più famosa commedia di mio zio Eduardo. Credo fosse il ’45. Eduardo abitava al Bertolini, sopra Parco Margherita. Andai a salutarlo un pomeriggio, lui mi fece accomodare e mi disse se volevo ascoltare quello che aveva appena finito di scrivere. Ero curioso. Lui mi lesse la storia di una prostituta che voleva farsi sposare per dare una casa ai suoi figli. Zio Eduardo leggeva senza fermarsi un attimo, dando voce a tutti i personaggi. Mi sembrò una commedia bellissima. Ero emozionato, commosso. Mi chiese che ne pensavo, mi disse che voleva chiamarla Filumena Maisto, ma siccome a Napoli c’erano molti Maisto forse era meglio se la chiamava Filumena Marturano…». È passata una vita da quel giorno, e certo sarà un caso se per l’ultima volta Luigi proprio alle battute scritte da Eduardo ha dato voce, anima e corpo. Ultimo di una dinastia del nostro teatro, che si è fatto attore per ripeterci sempre di una grandezza che non si dimentica.