Nevrotika vol. 4- 5 -6
Esilarante ma quanto mai veritiero, il secondo volume del Progetto Nevrotika di Fabiana Fazio misura la realtà sociale nell’incontro tra le singole nevrosi.
di Anna Fiorile
Le avevamo incontrate l’anno scorso a Napoli, le incontriamo di nuovo quest’anno al Teatro Civico 14 di Caserta che le ha ospitate il 7 e l’8 aprile: Fabiana Fazio, Valeria Frallicciardi e Giulia Musciacco, per il secondo volume del Progetto Nevrotika. Ancora al grido di “Disadattati di tutto il mondo unitevi!” la Fazio dirige infatti Nevrotika 4-5-6, che vede stavolta l’incontro delle singole nevrosi esposte nella prima pièce.
L’annuncio della voce registrata fuori campo: “Cosa accadrebbe se la comunicazione avvenisse tra tre soggetti affetti da una patologia?” rende chiaro che al centro dello spettacolo campeggia la difficoltà di comunicazione, causata da ogni piccola ansia, nevrosi, mania e fobia di ciascuna delle tre protagoniste.
Il terreno di incontro/scontro è una festa di compleanno: una situazione in apparenza assolutamente comune se, già dal principio, non esplodessero le sfumature patologiche caratteriali di ciascuna delle amiche.
Le tre attrici con energia incarnano le nevrosi del proprio personaggio volutamente senza nome, perché in quel personaggio possiamo riconoscere noi stessi o, almeno, una parte di noi.
Entrano in scena vestite di nero, con le cuffie alle orecchie e solo una volta sul palco indossano gli abiti della festa, con il bianco e il nero a fare da colori dominanti. Le nevrosi emergono poco a poco, con il tono di voce più acuto e il gesticolare più intenso della millantatrice, con l’incessante mettere tutto a posto della maniaca del controllo, con il continuo tentativo di mediare di colei che fa più fatica a schierarsi, a prendere una posizione, a mostrare la sua reale personalità.
E crescono d’intensità gradualmente fino al momento culminante della confessione: ognuna delle attrici prende il microfono e si fa testimone di se stessa mentre le luci si abbassano lasciando spazio ad una atmosfera onirica che spezza l’ipocrisia della festa nell’ammissione dei veri sentimenti di ostilità verso le presunte amiche ma anche della necessità di compagnia in una condizione di solitudine.
Nessuno sa stare solo con le proprie debolezze del resto, e proprio per distogliersi dal vero nemico, ovvero se stessi, si cerca compagnia, casuale, più o meno irritante, ma che spinge a non pensare o, forse, a pensare che non si è i soli a stare male. Quasi un “mal comune, mezzo gaudio”.
Momento irreale, si diceva, e infatti il microfono viene presto chiuso in una scatola a forma di bara e la festa riprende, ballando per fingere di non pensare, sorridendo per fingere di non essere infelici. In una escalation di autodistruzione.
Una voragine esistenziale mai trascurata da Fabiana Fazio, che, per questo secondo volume del progetto, si lascia ancora ispirare dagli scritti dello psicologo e filosofo Paul Watzlawick e a quelli dello psichiatra, psicologo e antropologo cileno Claudio Naranjo, e sceglie ancora di concludere con la retorica domanda: “Cosa farsene della felicità?”.
Il pubblico applaude divertito mentre le risposte iniziano a cercare intimamente strada in ciascuno.