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Attenzione: la serie spagnola, recentemente inserita nel catalogo Netflix, crea dipendenza.

di Stefania Sarrubba

La casa de papel

La casa de papel

È indubbiamente la serie di cui tutti parlano. Sì, è La Casa de Papel, ovvero La Casa di Carta, una produzione spagnola disponibile su Netflix di diversi paesi, ora che il colosso di streaming si è aperto anche ad audiovisivi non esclusivamente in lingua inglese.
Già trasmessa da Antena 3 dal maggio al novembre 2017, La Casa de Papel ha poi fatto il giro del mondo, subendo un taglio di formato. L’unica stagione divisa in due parti è stata ulteriormente suddivisa da Netflix, che ne ha modificato la durata degli episodi per adattarla alle esigenze del binge watching.
In effetti, una serie come questa, un heist – così viene definito il genere cinematografico, quello dove, per intenderci, i protagonisti sono ladri che organizzano il colpo del secolo – si presta particolarmente bene ad essere consumata in fretta. Ruota intorno a una banda di otto ladri assoldata dall’enigmatico, misterioso e pacato Professore. Questi personaggi potenzialmente pericolosi e antisociali non si conoscono, assumono degli pseudonimi per non rivelare troppo di sé e assaltano la zecca spagnola, tenendo in ostaggio dipendenti e visitatori, con un piano studiato nei minimi dettagli.
Perché piace così tanto? Innanzitutto, abusa del più antico, semplice ed efficace espediente narrativo del mondo: il cliffhanger. Ogni puntata termina con un interrogativo a cui c’è bisogno di trovare risposta subito o una trovata, talvolta forzata, per cui non si può aspettare di conoscere l’esito. E Netflix lo sa bene, avendo appena chiuso un accordo per una terza stagione con Atresmedia, sebbene le prime due formino un tutt’uno perfettamente autoconclusivo. Se qualcosa funziona, ne vogliamo di più.
Ancora, i personaggi – Tokyo, Nairobi, Berlino, Oslo, Helsinki, Mosca, Denver e Rio, che già ricordarne i nomi e associarli ai volti ci fa sentire parte della banda – sono minacciosi, ma non fino in fondo. Vogliamo conoscere le loro storie personali, cosa li ha spinti a passare al lato oscuro. Perché ne La Casa de Papel i cattivi hanno un background toccante e strappalacrime che è piuttosto rassicurante dal punto di vista spettatoriale, al contrario del laconico, inquietante, puro fascino del male. E amano. La Casa de Papel sarà anche un crime, ma è anche una storia d’amore. Come dice la “cattiva” Tokyo, “L’amore è un buon motivo per far crollare tutto”. Un buon motivo per far crollare il castello di carte così faticosamente costruito da quelli bollati come cattivi, che poi cattivi non sono.

Il cast

Il cast

I personaggi femminili de La Casa de Papel sono forti, sebbene un tantino archetipici. Le ladre pericolose e affascinanti, la poliziotta tosta con una situazione familiare disastrosa, l’adolescente vittima di bullismo, la segretaria-amante incinta e abbandonata… sono loro a tirare le fila di questo complicato intreccio. Si tratta, tuttavia, di personaggi la cui bidimensionalità appare in alcuni frangenti piuttosto sconcertante. Difetto di fabbrica, questo, applicabile anche ai personaggi maschili, ma poco importa. Sono tutti funzionali allo sviluppo e tanto basta per apprezzarli senza pretendere uno sforzo di realismo che striderebbe con l’intera vicenda.
Come tutti i criminali di grande e piccolo schermo, i ladri della serie spagnola hanno un fascino magnetico. Gli otto de La Casa de Papel ricordano un po’ gli undici di Ocean’s Eleven, il film di Steven Soderbergh che sbancò il box office nel 2001, un franchise che ancora tira, considerato che a giugno uscirà nelle sale Ocean’s 8, heist tutto al femminile. E come la banda di George Clooney, anche quelli de La Casa de Papel ci attraggono e ci respingono, in un vortice di sindrome di Stoccolma, ma con una piccola differenza: le atmosfere madrilene sono incredibilmente più cupe del magico mondo dorato di Las Vegas.
La storia è puntellata di riferimenti alla contemporaneità. La banda indossa delle maschere del pittore spagnolo Salvador Dalí, i cui baffi ricordano tremendamente quelli dei volti di Anonymous, ispirati al personaggio di V per Vendetta, a sua volta ispirato al rivoluzionario Guy Fawkes. Come Anonymous, La Casa de Papel si nutre del desiderio sopito del pubblico di andare contro l’autorità costituita, fosse anche solo nello spazio di 45 minuti, comodamente seduti sul divano di casa. E Bella Ciao, l’inno partigiano così importante nella serie spagnola, ci ricorda ancora una volta da che parte stare, qualora l’avessimo scordato.
La Casa de Papel non fa la rivoluzione, bensì la tira per le lunghe, un pregio in questo caso, perché usato per attrarre il pubblico avvezzo al binge watching. Lo si guarda quasi per inerzia, sapendo che, se ci si addormenta tra un episodio e l’altro, al risveglio la banda di ladrones sarà ancora lì esattamente dove l’avevamo lasciata, ossia all’interno della zecca spagnola, ad aspettare e aspettarci. Certo, dopo un po’ persino i colpi di scena perdono mordente, ma agli irriducibili di Netflix piace così.

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