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Tra ricostruzione e immaginazione, al teatro Diana di Napoli si celebra la fisica, raccontata con le sue sfaccettate implicazioni filosofiche e morali da tre pilastri del teatro: Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojodice.

di Irene Bonadies

Copenaghen_Foto Marco Caselli

Foto Marco Caselli

Il punto non è tanto cosa si sono detti in quell’incontro a Copenaghen nell’autunno del 1941, quando la Seconda Guerra Mondiale era nel suo pieno sviluppo, Niels Bohr – fisico e matematico danese di origine ebrea e premio Nobel nel 1922 – e Werner Heisenberg – fisico tedesco premio Nobel nel 1932 -, ma quali erano e sono state tutte le implicazioni politiche, storiche, sociali e umane connesse a quell’incontro.
Infatti, sebbene il fatto storico da cui scaturisce Copenaghen, in scena al Teatro Diana di Napoli fino al 6 maggio, è proprio la visita di Heisenberg al suo mentore nonché amico Bohr – visita svoltasi in più giorni sia nell’Istituto di Fisica teorica da lui diretto, sia a casa dove viveva con la moglie Margrethe e i figli -, il dialogo, che possiamo solo immaginare e che viene ricostruito dallo scrittore Michael Frayn nella sua drammaturgia – con l’accuratezza di un ricercatore nello scandagliare la letteratura e le fonti e con il pathos e la liricità del romanziere nel farne testo teatrale -, considera diversi aspetti fondamentali come la storia, la politica e il ruolo che la fisica ricopriva in quegli anni sia per lo sviluppo del mondo e della società, sia perfino per le relazioni umane.
Considerare le scoperte scientifiche lontane dalle politica e dalle ricadute sociali è alquanto illusorio: durante il secondo conflitto bellico la fisica teorica assunse un ruolo fondamentale in quanto permetteva di fare calcoli utili per la definizione di una reazione nucleare in grado di liberare quantità enormi di energia – prodromica per la messa a punto di un’arma potentissima come la bomba atomica – e pertanto sia in Germania che negli Stati Uniti diversi erano i gruppi che lavoravano su questi esperimenti.

Copenaghen_Foto Marco Caselli

Foto Marco Caselli

In quel periodo, la fisica teorica, sebbene fosse stata sempre considerata di minor interesse perché poco applicativa e con scarse ricadute nell’industria, aveva avuto una svolta epocale grazie alle scoperte avvenute proprio per merito di fisici come Bohr e Heisenberg, che dimostravano la natura duale delle radiazioni elettromagnetiche come onda e particella (lungi da chi scrive andare nel dettaglio della meccanica quantistica, l’essenziale è capire che nella fisica classica la luce e l’energia sono descritte come nastri continui, successivamente con le teorie della meccanica quantistica vengono descritte anche come un insieme di palline). Ma le scoperte più interessanti per la politica e ai fini della guerra, riguardavano la produzione di una sostanza radioattiva a seguito del bombardamento di Uranio con neutroni (Fermi, 1934), la successiva liberazione di un’enorme quantità di energia (Meitner e Fritsch, 1939) e la possibilità di dare inizio ad una reazione a catena (Joliot, Fermi 1939) a partire da una certa massa critica di Uranio (Frisch e Peierls, 1940).
Queste e altre scoperte ebbero profonde ripercussioni etiche e morali anche su coloro che le facevano, quel senso di esaltazione che si può provare quando la mente umana riesce a visualizzare la strada che gli studi stanno delineando, si accompagna spesso a una specie di vertigine che probabilmente gli stessi Bohr, Heisenberg e altri scienziati come Majorana – altra emerita ed enigmatica figura di quel periodo – avranno provato davanti i loro calcoli quando si sono resi conto che quei numeri rendevano molto fattibile la realizzazione di una bomba atomica.

Copenaghen_Foto Marco Caselli

Foto Marco Caselli

Sarà proprio per questa vertigine che Heisenberg si reca a Copenaghen per parlare col suo mentore: condividendo con lui i suoi ultimi studi vuole forse l’appoggio morale di Bohr, vuole il suo supporto scientifico nella stesura dei calcoli, vuole carpire informazioni su quanto stanno facendo gli Alleati. Risulta quindi evidente che non solo il fisico, ma l’uomo si ritrova davanti a delle scelte fondamentali per la sua carriera e per la sua morale, scelte scaturenti dai propri studi che mettono in discussione i rapporti umani, il ruolo dell’uomo e le sue potenzialità nel modificare e intervenire sulla storia per modificarne gli eventi.
Fondamentale nello spettacolo diretto da Mauro Avogadro diventa, pertanto, questo dualismo uomo-scienziato e la vertigine ad esso connessa che la scenografia – una sorta di aula studio con una grande lavagna su cui sono proiettate le formule e immagini di scoppi di bomba – di Giacomo Andrico, i dialoghi serrati di Frayn – inframezzati solo dalle proiezioni suddette – e la prova magistrale dei tre attori – Umberto Orsini nei panni di Bohr, Massimo Popolizio in quelli di Heisenberg e Giuliana Lojodice come Margrethe maestosi nella loro perfetta interpretazione – riescono trasformarli in materia viva, maggiormente percettibile e comprensibile

Copenaghen_Foto Marco Caselli

Foto Marco Caselli

Sia di Bohr che Heisenberg, notoriamente poco empatico e comunicativo, e Margrethe, dalla abituale cortesia, in Copenaghen sono rappresentati mettendo a nudo idee e sentimenti, e soprattutto le loro intenzioni, per andare oltre il semplice resoconto dei fatti, provando a entrare nella testa dei protagonisti attraverso l’uso dell’immaginazione. Questa è la chiave che l’autore usa e a cui tiene molto per distaccarsi dalla documentazione pedissequa che uno storico della scienza avrebbe seguito; ed è questa che arricchisce il lavoro di quel pathos che lo stesso Bohr – come riportato in una conversazione registrata con il suo collega statunitense Oppenheimer – reputa necessario per rendere la meccanica quantistica parte integrante della cultura e che oggi diventa necessaria per trasformare, davanti agli occhi degli spettatori, la fisica teorica che permea la nostra vita in un qualcosa di affascinante seppur inafferrabile.
Longevo come pochi – ha debuttato a Udine nel 1999 per poi girare l’Italia accolto sempre da grandi favori del pubblico ed ottima critica -, lo spettacolo è portato in tournèe ancora oggi dallo stesso gruppo che per la prima volta lo ha messo in scena, e per quanto ostico possa apparire il tema su cui è incentrato, per l’equilibrata commistione di tutti gli elementi che lo compongono, risulta perfetto, assolutamente imperdibile per chi è più affine ad un ambiente scientifico ma anche per chi è semplicemente appassionato della cultura in senso ampio. E ha ancora adesso la possibilità di assistere in versione originale a quello che è già un classico intramontabile del teatro contemporaneo.

Teatro Diana
via Luca Giordano, 64 – Napoli
contatti: 081 5567527 – 081 5784978 – http://www.teatrodiana.it

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