“GLOW 2″: il ritorno delle bellissime ladies del wrestling [SERIE TV]
Il nuovo capitolo della serie Netflix conferma il suo successo e conquista dieci nomination ai prossimi Emmy 2018.
di Stefania Sarrubba
Raramente un sequel o una seconda stagione di un prodotto audiovisivo di relativo successo sono all’altezza del primo film o della prima serie. Ancora più raramente, poi, il derivato supera le aspettative e le premesse di ciò da cui ha avuto origine.
La seconda serie di GLOW, disponibile su Netflix dallo scorso 29 giugno, rientra in quest’ultima categoria.
Avevamo lasciato le bellissime signore del wrestling coi loro outfit spettacolari e i loro drammi dentro e fuori dal ring in una stagione che poteva anche dirsi autoconclusiva. Invece, le creatrici Liz Flahive e Carly Mensch ci hanno regalato altre dieci puntate e non in un disperato tentativo di riscaldare e annacquare la minestra.
Chiunque abbia amato le storie di Ruth (Alison Brie) e delle altre ragazze, nonché dei loro alter ego costretti in costumi di spandex, non potrà restare indifferente a questa nuova avventura, che getta luce su personaggi vecchi e nuovi e ne approfondisce le dinamiche. Se infatti la prima stagione di GLOW – ispirata all’omonimo reality show degli anni ‘80 su cui Netflix ha pubblicato un bellissimo, commovente documentario – era entrata nel ring in punta di piedi, questa seconda ci dà giù pesante e ha mosse migliori con cui stupire il pubblico.
Seguite da un sempre più nutrito numero di fan, Ruth, l’amica-nemica Debbie (Betty Gilpin) e le altre tornano allo squallido motel e alla polverosa palestra dove viene girato il wrestling show per lavorare ai nuovi episodi.
A causa di un dirigente TV, però, GLOW finisce diritto in terza serata. Ed ecco che le cotonature delle nostre antieroine restano altissime, a differenza degli ascolti.
Mentre le tensioni personali e professionali crescono, potrebbe, tuttavia, esserci un modo per salvare lo show e, con esso, i sogni di gloria delle ragazze, del cinico regista Sam Sylvia (Marc Maron) e dell’infantile produttore Bash Howard (Chris Lowell).
Il lavoro incessante che GLOW fa sulla fisicità femminile di qualsiasi forma e colore continua in questo secondo capitolo. Le signore del wrestling ci danno una lezione sull’essere uniche padrone del proprio corpo, sull’accettarsi e sull’accettare che è cosa rara in TV, fatta eccezione forse per Orange Is The New Black, con cui GLOW condivide la produttrice esecutiva Jenji Kohan.
Inoltre, la seconda stagione approfondisce lo studio dei personaggi maschili.
Allo stesso modo di Girls di Lena Dunham, anche GLOW segnala la preponderanza dell’elemento femminile già fin dal titolo, scoraggiando chi a quello si ferma.
Entrambe le serie, in realtà, presentano dei caratteri maschili complessi e lontani dall’idea di mascolinità tossica e problematica che pareva padroneggiare in molte serie dello scorso decennio. Sam e Bash sono tutt’altro che uomini perfetti pronti a salvare le damigelle in pericolo. Ancora meglio, sono uomini veri, in una gamma di difetti ampia quanto lo spettro dei colori Pantone.
Tornando alle ragazze del ring, è assolutamente liberatorio vedere tanti tipi di femminilità rappresentati sullo schermo in modo così violento e provocatorio.
In effetti, la monodimensionalità dei personaggi tra le corde, dove le ragazze sono ridotte a mero archetipo, fa da contraltare a delle personalità reali che sono multisfaccettate e che si arricchiscono di nuovi lati nel corso dei nuovi dieci episodi.
In questa seconda stagione che scava sotto la superficie di lustrini e glitter, Debbie diventa produttrice dello show e Ruth scopre di avere talento da regista. Entrambe si propongono di imporsi, tra mille difficoltà, in un mondo prevalentemente maschile dove non sono esattamente le benvenute, neppure tra i loro colleghi e amici Sam e Bash.
Eppure, questo è soltanto uno degli aspetti di GLOW 2. Tutti gli argomenti “caldi”, ancora e di nuovo, vengono toccati e mai in modo delicato o banale.
L’essere genitori single, le molestie sessuali, lo spettro dell’AIDS nei favolosi anni ’80… GLOW inserisce tutto nella trama in modo perfettamente naturale, mai forzato e fornendo più di uno spunto di riflessione sul presente.
Si fa davvero fatica a scegliere un momento che spicchi sull’altro. Questo GLOW, infatti, vanta frangenti di assoluta onestà che giocano con le corde più intime dello spettatore.
Viene da pensare a Tammé aka Welfare Queen che guida per ore di notte solo per poter rivedere il figlio e a Debbie che svuota casa di mobili e ricordi in un raptus, entrambe facce della stessa medaglia di madri sole.
E, inoltre, l’episodio in stile #MeToo che fa accapponare la pelle e le sue ancor più tristi conseguenze, il magico passo a due alla La La Land tra Arthie e Yolanda e il tragico epilogo di Florian e Bash, con quest’ultimo che, testa tra le mani, piange seduto fuori dalla sua magione milionaria.
Impossibile non citare, poi, The Good Twin (2×08), un vero mock-episode dello show che trasporta il pubblico a bordo ring per trenta spettacolari minuti e fa conoscere al mondo la gemella buona di Zoya, Olga.
Ancora, la frattura di Ruth nel ring, momento potentissimo in cui le tensioni con Debbie raggiungono il punto di rottura, letteralmente.
Soltanto gli ultimi istanti sembrano non convincere. Non è questo l’epilogo che ci aspettavamo e stavolta, a differenza della prima stagione, c’è la necessità di sapere cosa succederà dopo un finale tanto aperto.
Le creatrici lo hanno confermato in un’intervista a Hollywood Reporter: non si tratta di un happy ending. Lo sguardo smarrito di Ruth, in viaggio verso una nuova località, lontana da un nuovo possibile amore, dice tutto a chi è dall’altra parte dello schermo.
Mentre Netflix non ha ancora confermato il rinnovo per un’altra stagione, GLOW ha ricevuto ben dieci nomination ai prossimi Emmy: l’incredibile Alison Brie snobbata a torto, la straordinaria Betty Gilpin nominata a ragione e la serie in lizza per Best Comedy.
Come ai tempi di Girls o dello stesso OITNB, ci sarebbe da fare polemica sul perché serie del genere, con evidenti risvolti drammatici, vengano annoverate tra le commedie, concetto a cui ancora e, forse sbagliando, l’immaginario associa la sit-com con le risate finte in sottofondo.
Farsi prendere sul serio dalla Television Academy è un’altra battaglia che non è detto le ragazze di GLOW non possano vincere in futuro, a cominciare dal prossimo 17 settembre, data della cerimonia dei premi dorati della TV.
Intanto, in un panorama televisivo dove quasi tutto sembra una versione peggiore di qualcosa di già visto, GLOW resta necessario. Dateci una terza stagione, dateci ancora una dose di questo femminismo ingenuo, combattivo, radicale e gioioso di cui abbiamo disperatamente bisogno.