“The Miseducation of Cameron Post”, ovvero come ti spiego sul grande schermo la conversion therapy [CINEMA]
Il film con Chloë Grace Moretz racconta la terapia che vorrebbe cambiare l’orientamento sessuale di giovani gay e bisessuali, e che sorprendentemente è ancora legale in molti stati.
di Stefania Sarrubba
La regista americano-iraniana Desiree Akhavan è tornata a raccontarci un’altra storia con una protagonista femminile, indagandone la sessualità come solo una donna (bisessuale) saprebbe fare.
E lo ha fatto con un’accortezza e un’accuratezza tali da far impallidire qualunque regista maschio ed etero ci abbia provato prima. Fatta eccezione, forse, per Todd Haynes e il suo Carol.
Dopo Appropriate Behavior del 2014, suo debutto dietro la macchina da presa in cui interpreta una versione di sé stessa, Akhavan ha adattato The Miseducation of Cameron Post, romanzo del 2012. Il risultato è una delicata pellicola presentata al Sundance Film Festival lo scorso gennaio.
Se il film ha vinto il Grand Jury Prize for US Drama al festival di Robert Redford, è certamente anche merito dello sguardo della regista, aiutata nell’impresa dalla produttrice e co-sceneggiatrice italiana Cecilia Frugiuele.
The Miseducation of Cameron Post vede Chloë Grace Moretz nel ruolo di Cameron, sedicenne beccata a fare sesso con la sua migliore amica durante il ballo della scuola. Le due avevano una relazione da mesi.
Il film, così come il libro, è ambientato nel 1993, quando era sicuramente più difficile esternare il proprio orientamento sessuale.
Cameron viene mandata dagli zii con cui vive in un campo di conversione per giovani gay, lesbiche e bisessuali. Lo scopo di God’s Promise – la promessa di Dio, questo il nome del campo – è “pray the gay away”, ossia scacciare l’omosessualità a suon di preghiere.
Se questa vi sembra una cosa del passato, dovrete ricredervi. La terapia di conversione, effettuata con ogni metodo dalla psicoanalisi alla preghiera di gruppo, è ancora legale in diversi paesi.
Solo in anni recenti, l’Ordine nazionale degli psicologi italiani si è schierato contro la visione dell’omosessualità e della bisessualità come di malattie che andrebbero curate con una terapia.
La gay and bi conversion therapy è, ad esempio, ancora legale in Regno Unito, sebbene il governo britannico si sia impegnato a metterla fuorilegge.
Negli Stati Uniti, la situazione è ancora più drammatica. In molti stati non c’è un divieto formale, specialmente in quelli più conservatori.
La pellicola mostra tutti gli aspetti più grotteschi e drammatici della conversion therapy, alternandoli a momenti di sconfinata dolcezza e gioia. Memorabile la scena in cui Cameron canta a squarciagola What’s Up delle 4 Non Blondes di Linda Perry mentre sbuccia le patate insieme ai suoi nuovi amici, tra cui Jane Fonda (Sasha Lane di American Honey).
Non è un film di grandi eventi, The Miseducation of Cameron Post. Questa mancanza di sconvolgimenti non fa che amplificare l’odiosa routine del campo, scandita da una colonna sonora inquietante.
Le scene di sesso, che Cameron rivive attraverso numerosi flashback mentre è a God’s Promise, sono assolutamente credibili.
Niente a che vedere con i sette minuti di Blue Is The Warmest Colour, quella scena tra Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos ormai entrata nell’immaginario collettivo, ma bocciata dalle spettatrici lesbiche e bisessuali come inautentica.
Moretz è naturale e tormentata nel ruolo di Cameron, ancora in cerca della sua identità in un mondo che vorrebbe etichettarla.
“I don’t see myself as a homosexual, I don’t see myself as anything,” dirà alla direttrice del campo. “Non penso di essere omosessuale, non penso di essere un bel niente,” una frase che racchiude il rifiuto per le definizioni in un’età complessa.
Akhavan, insieme alla protagonista Moretz, per cui già si parla di una possibile nomination all’Oscar, ha ribadito la necessità di avere registi e sceneggiatori appartenenti alla comunità LGBTI in film del genere.
In effetti, The Miseducation of Cameron Post, che ancora non ha una data di uscita italiana, è una boccata d’aria fresca per la rappresentazione sul grande schermo.
Un coming-of-age che è anche un po’ un coming out, ma è soprattutto una feroce affermazione di sé, di tutto quello che l’identità può comprendere e di cui la sessualità è solo una piccola parte.