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Teatro, cinema e letteratura le sezioni a cui è dedicato il premio della città di Sirolo, che quest’anno premia la drammaturga napoletana i cui testi, sottolinea la motivazione, aprono “la strada verso l’inconscio, portando luce là dove alberga il buio più segreto e profondo dell’animo umano”.

di Ileana Bonadies

Angela Di Maso

Angela Di Maso

Questa sera  al Teatro Comunale Cortesi di Sirolo, ad Ancona, sarà assegnato il Premio nazionale Franco Enriquez 2018 – giunto alla sua XIV edizione – per la sezione Drammaturgia e Letteratura Teatrale al volume “Teatro” (ed. Guida) di Angela Di Maso, autrice e regista teatrale, musicista polistrumentista, e giornalista presso diverse testate.
Omaggio al regista scomparso prematuramente nel 1980, il Premio intende da sempre mettere in luce chi coniuga qualità artistiche e impegno civile e coloro che saranno premiati quest’anno – precisa il presidente della Fondazione omonima, il M° Paolo Larici, «saranno l’avanguardia esemplificativa di una folta schiera, linfa per fortuna inesauribile di un mondo fatto da persone profonde e interiormente ricche di grandi valori».
Alla viglia della consegna del riconoscimento, abbiamo dunque raggiunto la drammaturga napoletana, impegnata nella scorsa stagione a teatro con il suo ultimo lavoro, Ecce virgo, con Gianni Lamagna e Francesca Rondinella e questo è quanto abbiamo conosciuto meglio di lei, esempio di gentilezza, tenacia, passione e costante dedizione allo studio.
Musica e teatro sono le direttrici lungo le quali la sua formazione e ora la sua professione si muovono da sempre, senza che una demarcazione netta si evidenzi tra i due mondi. Come coniuga l’immensità di entrambi, in sé e nel suo lavoro, con così perfetto equilibrio?
Un tempo avrei risposto che la musica viene prima di me stessa. Quando mi sono avvicinata al teatro è stato grazie alla musica stessa poiché capitò una cosa strana: ero in fase di concerto quando ad un certo punto al posto delle note sulla partitura vedevo le parole. Stava avvenendo il processo di transcodificazione in maniera molto naturale. Allora un giorno, di più di vent’anni fa, scrissi sul pentagramma la storia che vi vedevo narrata. Ora, siccome il mondo del musicista è fatto di tecnica, metodo e regole – e non di improvvisazione – capii che dovevo imparare anche quello teatrale e così mi iscrissi all’Università del Sacro Cuore di Milano per apprendere la tecnica recitativa e registica di stampo russo dedicata agli insegnamenti di Jerzy Marian Grotowski. Nacque così il mio primo testo teatrale “Ecce virgo, storia di una monaca di clausura”, in realtà una partitura. Ancora tutt’oggi scrivo in questo modo: compongo e poi codifico i suoni in parole lasciando a esse il suono dalle quali provengono. La partitura diventa drammaturgia, e viceversa. Le battute sono regolate da un ritmo ben preciso che dona all’attore la giusta tonalità interpretativa.
La musica e il teatro (e la filosofia) sono il mio equilibrio.

Motivazione premio

Motivazione premio

Nella motivazione del premio Franco Enriquez 2018 che le è stato appena assegnato per la sua drammaturgia è racchiusa in breve la sua poetica che pone al centro di tutto l’animo umano e le sue molteplici sfaccettature. Da cosa è attratta? E come poi lo porta in scena?
Sono sempre stata un’attenta osservatrice de “l’altro”. Sono una esistenzialista e proprio in questa filosofia il valore dell’altro, inteso come il diverso da noi ma che grazie al quale è possibile ritrovare il divino che è in noi e fuori di noi, mi ha sempre molto affascinato. L’osservazione diventa analitica quando la natura umana si allontana dal principio di Bene che in essa è insito. Quando questo accade la bruttura – o disumanità – prende il sopravvento. Non esiste più gentilezza e questo trasforma le persone in mostri. Cinismo, sadismo, perversione, violenza fisica e verbale, invidia, di questo è composto l’animo umano quando non riesce a dare né a provare Bene. Io trascrivo allora quello che mi limito ad osservare che altro non è che ciò che la realtà stessa offre. Lo scopo è chiaro: mostrare all’altro come è diventato. Inorridendolo al punto tale da disprezzarsi fino a fargli venire desiderio di ritornare al bene. Unica sua salvezza possibile.
Dino Villatico nello scrivere di lei dice: «L’aspetto che colpisce del teatro della Di Maso è non solo la sua violenza verbale, ma la violenza reale dei fatti o rappresentati o narrati dai personaggi», in questo modo raccontando di una drammaturgia che non ha paura di affondare il suo sguardo nell’orrore esistente. Ma quanto le costa ogni volta, poi, risalire a galla e quanto tutto ciò condiziona nella quotidianità la sua visione del mondo?
Lettori e spettatori del mio libro e spettacoli quando mi conoscono mi dicono sempre quanto siano sconvolti dal fatto che la mia poetica teatrale sia totalmente lontana dal mio essere. Questa cosa mi fa sorridere molto perché indica quanto le persone tendono a fondere e confondere i personaggi col loro creatore. Qualche volta però rileggendo i testi resto io stessa ‘disturbata’. Vorrei allora cambiare, modificare, aggiustare, ma se lo facessi perderebbero di verità. Scandaglio la bruttura umana. Soffro dinanzi alla scortesia, a non volere tendere una mano all’altro, ma mi curo rispondendo e cercando di essere una persona gentile.
Solo in un corto, ad oggi, lei fa uso della lingua napoletana: si tratta di un caso o di una scelta a cui non intende derogare ulteriormente?
L’alluce fu un testo che mi venne commissionato. Fu scritto in italiano e poi tradotto in lingua napoletana. Non conosco questa lingua potente ma difficile perché anch’essa ha una sua musicalità. Per adesso l’italiano mi esprime.  Tenendo conto che anch’essa è ostica.

La copertina del libro "Teatro"

La copertina del libro “Teatro”

Nella storia teatrale così come in quella musicale, le donne sono decisamente in minoranza. A quale motivazione addebita ciò? E quale potrebbe essere la soluzione per un cambio di rotta?
Colpa di Aristotele che sintetizzava la donna a moglie devota! Ironizzo, naturalmente. Una volta quotati regista e giornalista, entrambi omosessuali, mi dissero che “non servivo a un cazzo perché ero donna ed etero”. Chiedo scusa per il francesismo ma edulcorando il periodo non avrebbe reso lo squallore. Io so che ci sono tante e tante e tante persone perbene animate solo dalla bellezza dell’Arte. La rotta è navigare verso e con loro. Tutto andrà bene – magari piano piano – se le cose sono fatte nel bene.
Se non fosse nata a Napoli, crede che il suo percorso di vita sarebbe stato diverso? E più in generale: l’identità conferita dai luoghi quanto crede incida sulla personalità di ciascuno?
Tutto è scritto. Le cose se devono essere sono e saranno. Non conta la provenienza. Tuttavia le mie origini sono Assisane e la filosofia e la spiritualità medievale sono radicate in me in maniera predominante e profondissima. E la musica e il teatro, così come la mia stessa conduzione di vita in usi e costumi, ne risuonano molto.
Per concludere: siamo alla vigilia di una nuova stagione teatrale pronta ad iniziare, da cosa vorrebbe lasciarsi stupire o salvarsi?
Non c’è più nulla che possa stupire. Tutto è stato inventato e praticato. Anzi, oggi sperimentazione è diventato sinonimo di confusione. Possiamo però salvarci lasciando le sale vuote a chi sta affossando il teatro per interessi che nulla c’entrano con la purezza del fare artistico.

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