“Stracci della memoria”: in un libro il lavoro di Instabili Vaganti [INTERVISTA]
Edito da Cue Press, il volume a cura di Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola racconta attraverso immagini e parole l’esperienza lavorativa della compagnia teatrale itinerante impegnata da anni in progetti sociali, spettacoli e laboratori in giro per il mondo.
di Gabriella Galbiati
«Un viaggio che parte dalla memoria individuale per arrivare a quella universale, antropologica e dell’umanità»: è racchiuso tutto qui il senso di Stracci della memoria, il testo che la compagnia Instabili Vaganti ha recentemente pubblicato con la casa editrice Cue Press. Al suo interno si narra di Rags of Memory International Performing Arts Project, il progetto di ricerca teatrale e di formazione nelle arti performative che ha attraversato diversi paesi e coinvolto attori, artisti visivi, musicisti e performer, provenienti da tutto il mondo. Gli autori, Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, fondatori di Instabili Vaganti, hanno deciso di ricucire alcuni momenti di questo articolato progetto, intessendo le pagine dei propri diari con le riflessioni teoriche e le testimonianze dei performer internazionali che hanno incontrato durante questi dodici anni di lavoro e ricerca.
Stracci della memoria: dal teatro al libro. Come cambia il modo di esprimersi?
Per una compagnia come la nostra, sempre in movimento, scrivere un libro è stato impegnativo soprattutto per la staticità che il processo di scrittura richiede. In realtà, il cambio di codice espressivo non è stato per noi difficile, abituati durante i nostri progetti a ricercare e quindi a teorizzare ma anche a scrivere le nostre esperienze di lavoro e di viaggio. Da anni curiamo infatti una nostra rubrica, Instabili Vaganti On tour, sul blog teatrale “fattiditeatro” e scriviamo regolarmente nella sezione Teatromondo su “Hystrio” i nostri resoconti su progetti, tournée e Festival, in cui lavoriamo in tutto il mondo. Scrivere un libro però è un lavoro molto impegnativo e complesso, ma che volevamo assolutamente fare. Abbiamo cercato perciò di mantenere il nostro carattere anche nella scrittura realizzando un’opera ibrida che racchiude in sé differenti linguaggi, dall’approccio teorico al racconto, dal manuale di pedagogia teatrale al diario di viaggio, cercando di rendere la complessità di un progetto come Stracci della memoria che esplora nuove modalità di espressione artistica e di comunicazione teatrale attraverso l’interazione con discipline quali l’antropologia culturale, le arti visive, i nuovi media, la danza, la musica e ogni altra forma ed espressione artistica di cui l’uomo possiede memoria.
Come e quando è nata l’idea di realizzare il testo?
Il pensiero di racchiudere in un libro la ricerca teorica, condotta per ben dodici anni all’interno di Stracci della memoria, ci affascinava molto. In occasione delle celebrazioni per i dieci anni del progetto, abbiamo cominciato a teorizzare la possibilità di una pubblicazione che contenesse la ricerca compiuta e le esperienze attraversate. Abbiamo sempre pensato che un progetto di sperimentazione e formazione debba poter essere diffuso in vari modi: attraverso i workshop, la condivisione del lavoro creativo, la visione dei materiali performativi ma anche e soprattutto tramite la lettura di un testo capace di raccontare l’intero percorso e le differenti fasi che hanno portato all’elaborazione e allo sviluppo del progetto. Il lavoro performativo, in generale, è caratterizzato dal suo carattere effimero, essere dentro un progetto significa viverlo in quel momento, condividere un percorso e una ricerca con i propri allievi, compagni di lavoro e con il pubblico nell’istante in cui si sta conducendo il lavoro. Tuttavia molte cose rimangono da dire, anche dopo l’attività pratica. Noi sentivamo la necessita di conservare, di “fissare nella memoria” il nostro percorso, anche per il tema che all’interno del progetto trattiamo. La scrittura, ancora oggi è forse uno degli strumenti più efficaci per raccontare il cammino compiuto e non solo per esprimere i risultati raggiunti.
Nell’introduzione Anna Dora Dorno scrive: «Il progetto ha rappresentato una scelta importante per il nostro lavoro. Ci ha fatto intraprendere un viaggio nel tempo, sperimentando le tecniche e i metodi teatrali appresi nei nostri anni di formazione, e nello spazio, partendo da Bologna per arrivare nei diversi paesi del mondo che lo hanno ospitato: Polonia, Romania, Kosovo, Svezia, Tunisia, Armenia, India, Cina, Corea, Messico, Cile». Quanto il viaggio e il lavorare in viaggio ha influito sulla vostra ricerca e sul vostro modo di fare teatro?
Il viaggiare è senza dubbio un modo per superare i limiti, spaziali, fisico-geografici ma anche culturali e socio-antropologici. Inoltre il viaggiatore, come noi lo intendiamo, non è solo colui che viaggia realmente ma anche virtualmente attraverso il sogno ad occhi aperti e l’immaginazione creativa. In poche parole anche quando siamo “fermi” in un posto possiamo viaggiare con la mente e la nostra arte. Questa, credo sia una nostra caratteristica innata. Superare i limiti che ci legano ad una situazione specifica, apprendere punti di vista differenti è stato ed è ancora essenziale alla definizione del nostro linguaggio artistico. Il confronto culturale è alla base del nostro metodo che mira al raggiungimento dell’universalità del linguaggio e del messaggio che vogliamo trasmettere. Essere in viaggio è una condizione della nostra mente e quindi per noi è naturale lavorare in spazi e luoghi così diversi tra loro. Possiamo dire che è il nostro stimolo maggiore.
Come si può raccontare la memoria a teatro?
Per noi il teatro è memoria, non riusciremmo a pensare ad un modo di fare teatro che non implichi l’utilizzo dei ricordi individuali degli attori ma anche che non tenga presente gli insegnamenti del passato, sia dal punto di vista prettamente performativo che storico vero e proprio. Quello che però rende unica la rappresentazione teatrale è l’agire in scena che rende viva la memoria.
In Stracci della memoria la maggior parte del percorso di ricerca ha riguardato l’attualizzazione delle forme performative tradizionali, e quindi appartenenti al passato, talvolta custodite nella memoria viva dei performer, altre, appunto, attraverso testi, archivi, etc. Attualizzare è in fondo un “far rivivere” sotto una forma attuale qualcosa che appare ormai morto. Credo che nel nostro caso più che raccontare la memoria si possa parlare quindi di studiarne i processi e i meccanismi per utilizzarli nelle arti performative per riscoprire tecniche e forme e ricombinarli in base a nuovi codici espressivi.
Nel vostro lavoro di ricerca, quanto è importante il ruolo del performer?
Tutto il nostro lavoro è basato sul performer e sulla sua unicità. Lavoriamo con attori, danzatori, cantanti cercando di sviluppare al massimo le capacità individuali di ognuno in un’ottica però di organicità del gruppo. Nel nostro lavoro in generale, e nel progetto Stracci della memoria in particolare, siamo partiti dall’individualità del performer per raggiungere l’universalità dell’essere umano. Il teatro per noi ha senso perché esprime l’unicità dei singoli individui e la loro prossimità agli altri, e quindi anche al pubblico, composto anch’esso di singole individualità.
Che differenza c’è, se per voi esiste, tra il performer e l’attore?
Per noi il performer è un attore/danzatore/cantante e quindi artista “creativo”. Non un semplice strumento nelle mani di un regista ma colui che crea partendo dalle proprie esperienze e le proprie emozioni. In realtà la differenza tra i due termini, pensiamo sia più che altro un eredità storica portata dalle avanguardie artistiche e che nel nostro caso svanisce nella comunione tra le due cose. Certamente laddove, come attore si intende solo ed unicamente qualcuno che recita un testo, allora possiamo dire che il termine, in questo caso, ci sta un po’ stretto. Stessa cosa vale per il termine performer che, talvolta è legato solo ed esclusivamente a chi si occupa di arti visive. Noi percepiamo poco tali differenze terminologiche. Per noi un bravo attore e anche artista, cantante e danzatore o comunque possiede una tecnica con tale padronanza da poter essere definito performer.
C’è un autore o un teatrante a cui vi ispirate particolarmente?
In passato sono stati molti i nostri maestri, a cominciare da Grotowski e dai suoi allievi, da cui abbiamo appreso innanzitutto un’etica del lavoro molto rigorosa e poi la nostra attitudine alla ricerca e al lavoro fisico. Chiaramente dopo quasi quindici anni di lavoro quello che più ci preme è l’affinamento e l’espressione del nostro personale linguaggio. Le nostre ispirazioni sono sempre state più nella metodologia di lavoro che nell’estetica. Gli autori classici ci hanno affascinato molto, soprattutto attraverso la poesia, sempre presente nei nostri lavori, e il confronto con questi è servito molto per la nostra crescita e per l’elaborazione di una nostra identità artistica. Possiamo dire che al momento siamo molto più interessati ad esprimere il nostro linguaggio performativo e la nostra autorialità in tutti i suoi aspetti.
Qual è secondo voi il futuro del teatro?
Crediamo che il futuro del teatro sia nella contaminazione. È difficile parlare di un unico futuro in un mondo in cui tutto ormai possiede più facce come in un poliedro infinito. Nei differenti paesi del mondo in cui abbiamo lavorato, abbiamo potuto vedere sviluppi e funzioni diverse del teatro. In alcuni contesti, appare ancora “necessario”, in altri sembra ormai aver perso completamente la sua funzione, a volte ingaggia una lotta per la sopravvivenza, altre appare l’unico modo per contraste una perdita del senso di collettività. Siamo ancora lontani dalla globalizzazione che investe completamente altri campi e quindi forse la “resistenza” può essere sicuramente uno dei caratteri del teatro futuro. Resistenza che non è chiusura ma apertura totale dei linguaggi e delle esperienze che possono trovare un contenitore ideale nel contesto teatrale.
Instabili Vaganti: il nome della vostra compagnia rappresenta la vostra filosofia? Non è proprio dell’attore essere un instabile vagante?
Quando abbiamo scelto il nostro nome il riferimento era più che altro ad un immaginario e quindi anche alla figura storica dell’attore inteso nella sua itineranza e precarietà. Col tempo, il nostro nome è diventato identificativo anche del nostro modo di essere. Per comprendere la nostra visione, pensiamo sia utile citare Gilles Clément: “Lo spostamento degli animali corrisponde a un viaggio, quello dei vegetali a un vagabondaggio. Lo spostamento degli esseri umani corrisponde all’irrequietezza”. La nostra irrequietezza e curiosità ci ha spinti a cercare in altri paesi quello che spesso non avevamo qui in Italia e ci ha portato a trasformarci da cittadini locali in cittadini planetari, avendo il mondo intero come palcoscenico sul quale agire.
Info libro: http://www.cuepress.com/prodotto/stracci-della-memoria/
Sito compagnia: http://www.instabilivaganti.com