Manlio Boutique

Attrice di rara soavità e gentilezza il cui nome si lega ai più grandi autori e registi, tutt’oggi continua a conquistare il pubblico che l’applaude e a coltivare sogni, serbando forse in ciò il segreto della sua giovinezza.

di Ileana Bonadies

Foto Claudio Ammendola

Foto Claudio Ammendola

Lo scorso 6 settembre è stata protagonista di “Scenari Casamarciano” all’interno del Complesso Badiale di Santa Maria del Plesco con il testo di Eric Coble “Un autunno di fuoco” insieme a Maximilian Nisi, suo figlio sulla scena. Ora è pronta a ritornare in teatro per una nuova stagione che la vedrà impegnata in giro per l’Italia, mentre al vaglio ci sono già altri progetti per il futuro. Insomma, parafrasando il titolo del suo ultimo spettacolo è davvero un “anno di fuoco” quello che attende Milena Vukotic, la cui classe ed eleganza sono realmente le cifre distintive del suo essere, tanto da emergere anche semplicemente al telefono, mentre appunto ci prepariamo all’intervista.
Figlia d’arte – suo padre era un commediografo, sua madre una pianista – negli anni ’60 è stata il volto della commedia al cinema, diretta tra gli altri da Fellini, Scola, Monicelli, ma è soprattutto nel ruolo della mitica moglie del ragionier Fantozzi, Pina, che il suo nome ha acquistato popolarità oltre le aspettative, costruendo con Paolo Villaggio un rapporto giocoso e affettuoso al quale lei stessa ammette di dovere moltissimo avendole consentito di ricoprire una maschera universale.
Successivamente è la tv a consegnarle ancora un ruolo riconoscibile e amato, quello dell’altolocata nonna Enrica, in coppia con Lino Banfi, alias nonno Libero, nella serie di successo “Un medico in famiglia”, ma negli ultimi anni è di nuovo al teatro che torna ad essere dedicata la sua carriera; ed è proprio con riguardo al suo ultimissimo lavoro che inizia la nostra intervista:
Il regista Marcello Cotugno nel descrivere “Un autunno di fuoco” dice: «È uno spettacolo che prova a parlare con leggerezza della morte e con profondità del senso della vita». Quanto vi si riconosce in queste parole?
Sono molto d’accordo con questa definizione della vita, in generale, e di questo lavoro, in particolare, che vuole disegnare il percorso di due creature, madre e figlio, che non si sono frequentati per 20 anni ma si sono ritrovati perché c’è una vera e propria simbiosi tra loro pur essendoci stato un distacco. Alla fine si scoprono ancora più legati grazie proprio ai 20 anni trascorsi che hanno fatto maturare entrambi e resi più coscienti e consapevoli.
E in particolare l’affrontare con leggerezza la morte, credo sia una importante prova di vita, una prova di consapevolezza positiva che consente di approfondire il senso di questa nostra esistenza.
Zeffirelli, Branciaroli, Scaparro, Strehler, Poli sono alcuni dei registi e attori teatrali con cui ha lavorato: guardandosi indietro c’è un ricordo in particolare legato ad uno di loro o ad altri, che forse meno noti, le hanno però lasciato un indelebile segno?
In teatro, indubbiamente è stato Giorgio Strehler per le emozioni artistiche di cui mi ha fatto dono, come solo lui è riuscito a fare, da grande artista quale era, sia come spettatrice che come sua attrice: e poiché lì dove vi possono esserci delle emozioni siamo comunque salvi, gliene sono profondamente grata.
L’altra persona a cui sono profondamente legata è Terry D’Alfonso, regista che proveniva dalla scuola di Strehler, con cui ho collaborato molto in vari lavori ritrovando con lei una grande complicità da vere amiche-sorelle e, contemporaneamente, libertà, tale da poterci dire tutto senza paura di sbagliare, ferire o di essere feriti.

Foto Claudio Ammendola

Foto Claudio Ammendola

Due anni fa è stata protagonista di successo del testo di Manlio Santanelli “Regina madre”, ora nuovamente ricopre il ruolo di genitrice in questo lavoro di Coble: che differenze esistono tra queste due donne e a cosa si è ispirata per interpretare l’una e l’altra?
Sono due ruoli molto differenti. In “Autunno di fuoco”  la madre è una ex figlia dei fiori, ex sbandata, pittrice, madre amorevole che però ha preferito seguire l’arte e non la famiglia, mentre in “Regina madre” vi è una immagine autoritaria della stessa, come lo steso titolo fa evincere; una madre che vuole avere il potere assoluto sul figlio e che anziché lasciarlo andare preferisce metaforicamente ucciderlo.
Dal canto mio, da attrice, ho cercato di studiare e approfondire nel migliore dei modi  entrambe. Si tratta, del resto, di maschere che ogni volta costringono ad una ricerca interessante ed emozionante, come accade ai bambini che giocano credendo di interpretare ruoli diversi, di essere ogni volta persone diverse. Si tratta, alla fine, di andare oltre quello che si è nella propria piccola quotidianità.
“Scenari di Casamarciano” di cui è stata ospite pochi giorni fa porta il teatro in un luogo non convenzionale, così come sempre più di frequente sta accadendo al fine di intercettare un pubblico non solo di affezionati e contemporaneamente far scoprire nuovi luoghi: di questo uscire “del teatro dal teatro” cosa ne pensa?
Credo sia importante sedurre e dare nuovi pensieri ed emozioni al pubblico. Personalmente preferisco la cornice del teatro al chiuso, sono affezionata alla vecchia concezione di esso, ma al contempo mi piace l’idea di portarlo in luoghi nuovi e magici come si è dimostrato essere Casamarciano, una magnifica scoperta di cui serbo un ricordo bellissimo.
In quel cassetto che sta per aprirsi, quale sogno custodisce?
Ne ho tanti ancora di sogni. Mi piacerebbe poter continuare felicemente a fare quello che amo, in particolare vorrei riuscire a poter lavorare di più al cinema, che ho fatto in passato, ma per il quale mi piacerebbe ritornare a ricoprire nuovi ruoli, ad esempio con Gianni Amelio o Nanni Moretti.
Intanto porto in tournèe in tutta l’Italia “Un autunno di fuoco” e “Sorelle Materassi” per la regia di Geppy Gleijeses che ha riscosso un ottimo successo durante la scorsa stagione.

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