“Colette”, il film rivoluzionario sulla scrittrice bisessuale della Belle Époque [CINEMA]
Femminista e moderna, la pellicola dell’inglese Wash Westmoreland sfida il perbenismo al pari della sua protagonista: una donna di talento in un mondo a misura di uomini.
di Stefania Sarrubba
Colette. Tre sillabe per un un nome che racchiude la storia di una delle figure femminili più intriganti della Belle Époque e che rivive sul grande schermo con il volto di Keira Knightley.
Sidonie-Gabrielle Colette è stata una scrittrice francese tra le più prolifiche di inizio Novecento, candidata al premio Nobel nel 1948. Eppure, prima di arrivare a ottenere riconoscimenti, Colette è stata la moglie-oggetto di un altro, forse meno talentuoso, scrittore, Henry Gauthier-Villars, detto Willy.
Il film del regista inglese Wash Westmoreland si concentra su Colette ventenne e poi trentenne, seguendone l’evoluzione da giovane e ingenua ragazza di campagna a personaggio chiave della vita parigina.
Soprattutto, però, il film scritto e diretto dal regista di Still Alice (quello per cui Julianne Moore vinse l’Oscar) è un’ode, meritata, a questa donna di cui forse ancora poco conosciamo.
Scrittrice, giornalista, mimo e ballerina, Colette ha visto negata per anni la propria voce, soffocata da una società bigotta e fortemente maschilista, di cui il marito Willy era tra i più feroci esponenti, sebbene si trincerasse sotto un velo di finto progressismo.
La pellicola, in uscita a dicembre nelle sale italiane, ruota intorno all’esordio letterario di Colette, che scrisse quattro romanzi come ghost writer per Willy, interpretato da Dominic West.
Spesso in casa da sola mentre Willy è alle prese con amanti e debiti, Colette inizia a scrivere quasi per gioco. Accortosi del talento acerbo della compagna, Willy le chiede di scrivere per lui.
Ed è così che Colette pubblica con lo pseudonimo del marito la serie di romanzi su Claudine, una giovane di campagna ispirata alla sua stessa vita. I romanzi ottengono una fama incredibile, inaspettata. Fama di cui la donna non potrà godere se non di riflesso a causa dell’egoismo del marito, palesemente minacciato da quella bravura che a lui pare mancare.
Mentre Colette comincerà ad esplorare la sua sessualità, scoprendosi bisessuale, Willy diventerà sempre più avido di successo, obbligandola a scrivere per lui. Sembra non esserci via d’uscita finché Colette, stanca di quell’oppressione, reclamerà ciò che le spetta.
Non va dimenticato che Colette e Willy all’epoca erano una power couple, conosciuti, ammirati e imitati, a partire dal taglio di capelli di lei e dai baffi di lui. Si potrebbe azzardare il paragone con David e Victoria Beckham o ancora con Fedez e Chiara Ferragni.
Qualcuno potrebbe, a ragione, obiettare sulla differenza abissale tra le coppie citate, ma la loro bravura nel branding è innegabile. Tutte e tre – e molte altre, se pensiamo ai tempi in cui Brad Pitt e Angelina Jolie erano fusi in Brangelina – riescono a calvacare il successo con maestria, sfruttando l’affetto del pubblico per accrescere il loro valore commerciale congiunto.
Lo status sociale raggiunto dai due è tra le ragioni per cui Colette non riesce a spiegare le ali senza Willy, l’uomo che ama e che le ha aperto molte porte.
Sebbene si possa credere il contrario, Colette e Willy sono realmente innamorati l’uno dell’altra. Solo l’amore, infatti, può spingere Colette ad assecondare i desideri del marito fino al punto di rottura, la svolta in cui l’amor proprio si fa più pressante del sentimento per l’altro.
Questo è l’ennesimo ruolo in costume per Keira Knightley, che dà una delle sue performance migliori dai tempi di Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright.
Nei 111 minuti la vediamo crescere, diventare Colette. Asciutta e intensa, l’attrice interpreta con grazia ed energia un personaggio complicato in una fase della vita altrettanto difficile, quella del divenire.
Un divenire che si manifesta quando Colette esplode nello scontro finale con Willy. La scena, così potente, parla direttamente al cuore di molte donne il cui talento non viene riconosciuto.
Il film appare, inoltre, particolarmente interessante nella rappresentazione della bisessualità. Colette non vive la sua attrazione per entrambi i generi come una fase o un capriccio, bensì la abbraccia come parte integrante della propria esistenza.
La scrittrice avrà una relazione particolarmente significativa con Missy (Denise Gough): nata donna, Missy veste abiti da gentiluomo e utilizza pronomi maschili per riferirsi a sé. Una scena fondamentale è, appunto, quella dove Colette rimprovera Willy per l’uso dei pronomi sbagliati per parlare di Missy. Una lezione, questa, che tutti, media inclusi, dovrebbero tenere a mente nei riguardi della comunità transgender.
E Westmoreland fa di più, scegliendo due attori trans – Jake Graf e Rebecca Root – nel ruolo di due personaggi cisgender. Un monito per tutta l’industria cinematografica, che spesso esclude del tutto gli artisti trans, salvo poi relegarli in ruoli stereotipati ed esclusivamente transgender.
Questo piccolo film indipendente è rivoluzionario per diverse ragioni, a partire della scelta del personaggio protagonista. Colette, con la sua arte, la sua sessualità e la sua storia, è un’ispirazione per le donne di ogni epoca. Peccato solo, come dirà lei stessa alla fine della sua carriera, non averla scoperta prima.