“Le rane”, una storia dell’antica Grecia che parla all’oggi
La trasposizione diretta da Giorgio Barberio Corsetti, con Ficarra e Picone protagonisti riporta in scena un classico di Aristofane di grande attualità.
di Irene Bonadies
I puristi dell’opera classica probabilmente storceranno il naso davanti a questa edizione della commedia greca “Le Rane” di Aristofane risalente al 405 a.C. firmata dal regista Giorgio Barberio Corsetti e affidata, per il ruolo dei due protagonisti, al duo Ficarra e Picone.
Al centro del plot originale – con cui si è inaugurata la stagione 2018-19 del Teatro san Ferdinando di Napoli dove sarà in scena fino al 18 novembre – le vicende di Dioniso, il dio del teatro, dal momento in cui si reca nell’oltretomba per riportare alla vita Euripide, uno dei grandi poeti dell’antica Grecia, per salvare Atene dalla situazione disastrosa in cui si trova. Questi però è assorto in un furioso litigio con Eschilo, altro grande nome dell’epoca, per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. Dioniso si fa giudice e, scegliendo di anteporre il senso della giustizia e il bene dei cittadini alle proprie preferenze personali, finisce per dare la palma della vittoria ad Eschilo il quale accetta di tornare tra i vivi lasciando a Sofocle il trono alla destra di Plutone, a patto che non lo ceda mai a Euripide.
Nella versione “riveduta e corretta”, invece, con Salvatore Ficarra nel ruolo di Dioniso e Valentino Picone in quello del suo servo Santia, non solo assistiamo ad un’ottima e riuscitissima trasposizione ai giorni nostri ma anche alla scelta di un registro il più possibile accessibile ad un pubblico vasto ed eterogeneo, senza per questo scontentare gli appassionati del genere classico in senso stretto che possono comunque trovare appagamento da questa rivisitazione. Se infatti cambiamento c’è stato, questo è da ricercare solo nell’aspetto esteriore che è stato reso più fruibile e contemporaneo, mentre tutti i contenuti – ovvero la trama, le principali figure come quella del coro, i dialoghi, le parole, i versi e tutti i riferimenti storiografici – sono rimasti invariati.
Lì dove invece si è maggiormente inciso – e la scelta dei due principali attori lo dimostra – è il risalto dell’aspetto comico dell’opera. Il risultato è un lavoro che sebbene scritto 2500 anni fa risulta attualissimo ancora oggi, in grado di far ridere (come era nelle intenzioni dello stesso Aristofane) ma al contempo riflettere gli antichi greci allora così come i nuovi italiani oggi.
E proprio questa capacità interpretativa e registica di far parlare al presente un testo classico, è senza dubbio da supportare perché permettono, come gli stessi Ficarra e Picone hanno dichiarato nell’intervista rilasciata al nostro giornale, di avvicinare e di trainare in storie apparentemente lontane, spettatori, più o meno giovani, che non avrebbero mai visto altrimenti un’opera di Aristofane.
Ciò che infatti non bisogna dimenticare è che spesso la Cultura spaventa e il teatro può essere sconosciuto ai più, mentre la declinazione di un’opera secondo un registro diverso da quello tradizionale o la presenza di attori che sembrano inusuali per un determinato genere (sebbene un bravo artista riteniamo debba essere in grado di calarsi in tutti i ruoli) possono fungere da inaspettati attrattori innestando quel necessario e salvifico barlume di curiosità verso qualcosa di estremamente lontano dal gusto personale o dalla moda dei tempi.
Alla luce di ciò, Salvatore Ficarra e Valentino Picone sono perfetti nei loro ruoli non tanto perché in grado di personificare dei personaggi risalenti al teatro greco ma perché assolutamente credibili nel portare i personaggi verso di loro con una semplicità tale da far risultare persona e personaggio in perfetta simbiosi: Ficarra è lo spavaldo e un po’ sbruffone dio del teatro Dionisio mentre Picone è la sua sottomessa spalla, sebbene incisiva e fondamentale, ovvero il servo Santia. La loro capacità di improvvisare e recitare con una naturalezza estrema è evidente anche quando si ritrovano ad entrare scena con un telefono ancora acceso, quando interagiscono con il pubblico, quando devono declamare versi.
Molto convincenti e in armonia con il testo anche gli altri attori, uno tra tutti colui che impersona un morto/un servo/Plutone, in grado di conferire semplicemente estrema comicità ai suoi personaggi attraverso le movenze e la parlata. Di notevole rilievo anche l’interpretazione del coro (i coreuti sono i SeiOttavi, un gruppo di cantanti a cappella, e gli attori-ballerini dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico della Scuola di Teatro “Giusto Monaco”) il cui ruolo di unicuum collettivo che racconta e denuncia quanto avviene ad Atene è pressoché immutato rispetto all’originale.
Di fatto, pur conservando le caratteristiche fondamentali presenti nel teatro greco – dove è l’elemento che dialoga con il protagonista attraverso un canto-recitazione accompagnato da gestualità, dalla danza e dal suono prodotto da strumenti musicali, la voce in questo caso -, è qui tratteggiato con maggiore originalità attraverso interventi che a tratti sono dei veri e propri intervalli musicali che ricordano un musical, o in altri casi, come quello delle rane, l’ironia dei siparietti tipici di un varietà. E proprio da come il coro è stato inteso dal regista, in particolare quello delle rane che dà il titolo alla commedia come spesso accade in quelle di Aristofane, si evince l’importanza che esso assume nella versione attuale così come in quella originale dell’opera e dunque lo spirito con cui l’adattamento è stato immaginato e realizzato.
È il coro a rimarcare l’attualità della storia narrata, descrivendo una città in crisi per la forte instabilità sociale, politica e culturale che la attanaglia: i politici sono imbroglioni e non illuminati, la cultura è calpestata e svilita, i cittadini si comportano da ignavi e ottusi.
“Tempo è dunque che si cambi tal sistema, o gente stolta,
e s’adoprin galantuomini, come l’uso era una volta.
La va bene? È vostro il merito. La sbagliate, e nasce un danno?
Che patiste a nobil croce quei che intendono diranno.”
Ed è esattamente questa caratteristica che induce a riflettere su quanto in realtà il mondo sia solo apparentemente in evoluzione esistendo una matrice comune che caratterizza i comportamenti umani in modo costante, facendo sì che situazioni e pensieri di migliaia di anni fa possano essere concepiti e condivisi ancora adesso: non solo la società attuale è afflitta dagli stessi problemi, ma anche il pubblico è in grado di ridere e sorridere con le stesse battute che facevano ridere gli ateniesi pur se recitate con un linguaggio desueto.
Infine, c’è da sottolineare la chiosa che prima del sipario aggiunge un altro tassello, piccolo ma di grande valore, allo spettacolo già ricco di suggestioni e stimoli fino a quel momento: il patto di amicizia tra Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound stretto nel 1967. L’evidenziazione dell’incontro tra il giovane scrittore e un ormai anziano poeta, intende suggellare l’unione tra due mondi antitetici ma che hanno in comune più di quanto si possa immaginare: “Abbiamo un solo stelo e una sola radice” declama lo stesso Pasolini citando una poesia di Pound. E se questa pace tra due giganti della letteratura è ricordata proprio in questa versione de “Le rane” è, forse, non solo per sottolineare la pace tra i due mondi opposti della poesia, quello di Eschilo e quello di Euripide, ma anche per rimarcare che questa pace può ugualmente aversi anche tra due modi diversi di approcciare e rappresentare la cultura – il teatro in questo caso.
Se di cultura si tratta, infatti, lo stelo e la radice sono gli stessi sempre. E questo lavoro ne è la prova.
Teatro San Ferdinando
piazza Eduardo de Filippo, 20 – Napoli
contatti: www. teatrostabilenapoli.it | biglietteria: 081.292030 – 081.291878 – biglietteria@ teatrostabilenapoli.it