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Simone Amendola e Valerio Malorni raccontano attraverso il teatro – come ne “L’uomo nel diluvio” premio In-Box 2014 – la marginalità, dando voce alla storia di un uomo comune del nostro tempo.

di Antonella D’Arco

Valerio Malorni in scena

Valerio Malorni in scena

La nostalgica voce di Amy Winehouse, sulle note di Love is a losing game, accompagna l’ingresso in scena di Luciano Schiamone, detto Lucio, protagonista di Nessuno può tenere baby in un angolo andato in scena al TAN-Teatro Area Nord lo scorso 3 e 4 novembre. La scrittura di Simone Amendola è tradotta nella visione registica a quattro mani d’intesa con Valerio Malorni, quest’ultimo anche interprete dello spettacolo nato al termine di una residenza di Teatri Associati Napoli.
È una dichiarazione di sconfitta Love is a losing game, l’amore è un gioco in cui si perde, e a esser sconfitto in questo racconto, ispirato da una pagina di cronaca nera restituita al teatro, non è solo il trentottenne benzinaio di Roma accusato di aver compiuto un efferato delitto; a perdere è la verità. La verità di un uomo, di un uomo comune, un uomo del nostro tempo.
Lucio, uno che poteva fare qualcos’altro e fa il benzinaio “un po’ per caso e un po’ per colpa”, non è l’assassino di questo giallo psicologico, semmai la vittima. È vittima dei suoi sogni da bambino, quando credeva che suo padre fosse un supereroe, anche se era “l’unico supereroe che portava a spasso il cane e russava”; vittima della mistificazione di quei sogni, trasformati dalla società in colpe, aggravanti delle proprie debolezze.
Come un bambino, intimidito dall’interrogazione tra i banchi di scuola, Lucio si arrampica sulla sedia, enorme, al centro della scena. Inizia il suo processo. Mediatico, reale, mentale. È il primo atto di questo giallo alla ricerca della verità. In un’intervista l’autore, Simone Amendola, ricorda che: «Il giallo è un buon modo per dire delle cose». Non è forse cercare la risoluzione di un giallo provare a capire l’essere umano che si ha di fronte?
Lucio cerca di risolvere l’enigma, di capire se stesso nel ricordo, di rintracciare le ragioni e le cause della sua condizione; ma soprattutto cerca di capire cosa gli sta accadendo. Nel parcheggio della sua pompa di benzina è stato ritrovato il corpo di una donna, senza testa. Gli indizi, costruiti a suo carico, e le sue dichiarazioni, manipolate, lo fanno apparire come l’assassino.
A queste accuse Lucio comincia a smarrirsi. Nell’effluvio di parole in cui il personaggio vomita la rabbia, la frustrazione e la sofferenza, riaffiorano inaspettate coincidenze. L’uomo ripercorre nella mente la serata in cui è stato commesso l’omicidio. Ricostruisce, anche visivamente in scena usando del nastro segnaletico, il perimetro di un angolo, l’angusto spazio del suo mondo. È l’angolo entro il quale la voce off, che si erge a giudice, a organo di stampa, a communis opinio, e che risuona lapidaria nelle sue orecchie, sta cercando di rinchiuderlo. È l’angolo in cui la verità viene nascosta, viene fatta precipitare nel buio.
Valerio Malorni, che dà voce e corpo a Lucio, si muove tra le ombre e la luce che fende la scena trasversalmente. Un groviglio di sangue e nervi che tratteggia una disorientata presenza sul palco dai contorni, adesso, nebulosi. Il limite tra il bianco e il nero è sempre meno netto, insidiato dal dubbio.
Ancora una volta, così come ne L’uomo nel diluvio, Simone Amendola e Valerio Malorni affondano il loro teatro nei mali del contemporaneo: la marginalità, la precarietà e l’ingiustizia, in ogni forma, sottese nel quotidiano scorrere della vita, che minano i rapporti tra le persone.
Adesso quel bambino, intimidito davanti al mondo degli adulti, scende dall’enorme sedia. Inizia il suo percorso di crescita, suo malgrado. Accanto a lui un manichino, con uno smartphone in mano: è il suo avvocato, altro simbolo cercato dalla regia, che segna il secondo atto dello spettacolo.
Quel fantoccio è il simulacro dell’incomunicabilità e dell’indifferenza di chi dovrebbe aiutare Lucio e invece resta paralizzato nel suo pantano di menefreghismo, sordo a quella richiesta di soccorso.
Dal limbo di quell’immobilismo, il benzinaio risorge come cavaliere senza macchia e senza paura. Virando con un’immagine sopra le righe, che di primo acchito potrebbe apparire scollata dall’impianto visivo finora dato dalla regia, Lucio appare attraverso il mascheramento di sé, con tanto di stivali e cappello. Nella logica della falsificazione della verità nella quale è stato catapultato cerca, in questo modo, di farsi beffe dei suoi detrattori. Ma la falsa verità e le false notizie proseguono diritte per la loro strada. La sentenza è stata emessa: Luciano Schiamone è colpevole. La sua colpa è quella di esser stato “deluso come un bambino” da una donna; la sua paura è quella di aver tentato di cercare  un amore che potesse aiutarlo a “placare l’angoscia di fallire”.
Il ripetersi, ossessivo, del ricordo di quella serata, è un passaggio necessario all’interno della drammaturgia poiché l’iterazione delle parole determina, ogni volta, un momento nuovo su cui procede l’evoluzione psicologica del personaggio; ogni volta, nuova è la coscienza che lui percepisce di sé.
Così si ritrova adulto Lucio. Ha attraversato l’infanzia, in cui si sentiva protetto dalla possibilità di riuscire a sognare; ha percorso il terreno della disillusione, fino alla discesa verso il suo personale inferno, nel quale scoprire che  il disinganno è diventato consapevolezza della propria impotenza.
Ora la sedia su cui è fermo ha le dimensioni giuste; l’uomo riesce a star seduto, ma non così comodamente come avrebbe sperato. La luce illumina uno zaino sospeso a mezz’aria. Lì c’è la testa di Claudia, la donna che hanno ucciso nel parcheggio della sua pompa di benzina. La conosceva, l’ha incontrata all’ufficio postale; credeva di poter ballare con quella baby e invece lei, o lui per una ripicca infantile, l’aveva messa in un angolo. Su Lucio pesano i rimorsi e la disperazione. “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare / Il giorno volevo qualcuno da incontrare / La notte volevo qualcosa da sognare”, le parole di Luigi Tenco fanno eco all’epilogo della sua storia, la storia di uno sconfitto, colpevole di aver perso al gioco, la partita con l’amore.

 

Teatro Area Nord
via Nuova dietro la Vigna 20 (zona Piscinola) – Napoli
contatti: http://www.teatriassociatinapoli.it/

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