“L’archivio delle anime, Amleto”
L’originale messinscena dell’opera del Bardo di Naira Gonzalez e Massimiliano Donato, trasforma la tragedia shakespiriana in un gioco metateatrale fatto di maghi, burattinai, principi e fantasmi, in cui è un becchino a tirare le fila della narrazione, tra dubbi, domande e disincanto. Ma forse una speranza ancora c’è.
di Irene Bonadies
Amleto, una serie di calcoli sbagliati ricaduti sulla testa di chi li ha fatti.
Così lo stesso protagonista di L’archivio delle anime. Amleto, che ci accoglie e accompagna durante lo spettacolo, definisce la storia che ci sta per raccontare.
È un uomo, nascosto tra i suoi cimeli, che si palesa quando la sala è piena e calano le luci; è il guardiano di un particolare cimitero, quello dove ha raccolto i protagonisti della tragedia shakespeariana, Amleto. E in questo cimitero pieno di cimeli, dove nel silenzio e nella solitudine ha deciso di chiudersi per conoscere le parti più nascoste di se stesso, gioca la tragedia del disincanto – come lui stesso dichiara -, quello che come un vortice inghiotte Amleto e la sua famiglia fino alla distruzione.
Il disincanto è quello che il giovane principe prova quando il padre gli rivela che la verità non è quella che appare; il disincanto è ciò che dà origine alla sequenza di azioni che porteranno al tragico epilogo, e disincanto è ancora quello che nella vita di tutti noi squarcia il velo dietro il quale a volte i nostri occhi si celano, facendoci crollare addosso tutta la meschinità e la miseria che ci circondano e soprattutto rendendoci consapevoli della nostra finitezza davanti all’infinito in cui siamo calati.
E proprio per contrastare questo disincanto che come una fitta nube coprirebbe ogni cosa, per dare un nuovo afflato di vita a un cumulo di ossa, il becchino diventa un capocomico, e il cimitero che ha creato con resti e simulacri della famiglia danese diventa un archivio di ricordi dove porta in vita di nuovo ogni componente di quella maledetta famiglia – Amleto, Ofelia, Claudio, Gertrude e altri ancora – perché solo attraverso i ricordi, attraverso i sogni ciò che amiamo rimane nel tempo.
L’archivio delle anime. Amleto, andato in scena lo scorso weekend al Nuovo Teatro Sanità, è un progetto di Naira Gonzalez e Massimiliano Donato fondatori del Centro Teatrale Umbro con sede nella pieve di S. Giovanni Battista di Goregge. Un progetto teatrale che come si legge nella descrizione che i fondatori stesso danno è “finalizzato allo sviluppo di un teatro d’innovazione che si pone come arte autonoma non sussidiaria della letteratura drammatica, in cui la scrittura scenica trova nell’attore il suo creatore principale, in osmosi con il regista. Un teatro che partendo dalla preparazione fisica e vocale dell’attore ricerca nuove forme d’espressione, nuove contaminazioni nei linguaggi artistici, che valorizza le diversità”.
E infatti ruolo centrale della messinscena, il cui nocciolo appartiene alla letteratura drammatica inglese ma da cui si sviluppa una creazione del tutto originale, è l’attore – che da solo ricopre il ruolo di tanti personaggi – che non si risparmia in parole, gestualità, mimica e movimenti, occupando l’intero palcoscenico, cambiando costumi, voce e registro, ballando, coprendosi di sudore, acqua e polvere per quasi due ore.
Amleto, la celebre storia del principe di Danimarca a cui il fantasma del padre chiede la vendetta della propria morte per mano del fratello Claudio, viene in questo lavoro stravolto, scomposto e ricomposto in una nuova storia che nasce nel momento più tragico: quello della morte del nobile protagonista. Restano però i personaggi, restano le storie, restano i drammi e le emozioni. Alle più note figure nate dalla celebre penna inglese, presenti sia in carne e ossa che nella versione marionetta – sempre animati da Massimiliano Donato –, si aggiungono nuove figure, come appunto lo stesso Bardo o ancora la nonna di Amleto o il guardiano del cimitero che mette su questo spettacolo per noi, i suoi spettatori. E ad unire tra loro i personaggi, e loro a noi, c’è la morte, protagonista silenziosa non solo della storia di Amleto, Ofelia e gli altri, ma dell’esistenza di tutti.
Quella morte che viene però vinta con il certosino lavoro di conservazione e ricostruzione che gli autori affidano al guardiano di questo fantastico cimitero che ha proprio il compito di prendersi cura dei personaggi e dei loro sogni dopo che hanno compiuto il loro tragico destino e il sipario è calato. E compiendo lo stesso lavoro di alimentazione e conservazione dei sogni, ognuno, pur consapevole dell’ineluttabilità della fine e della tragicità della vita, può ripristinare quel velo effimero che copre di magia e mistero la nostra esistenza.
Nuovo Teatro Sanità
piazzetta San Vincenzo, Rione Sanità – Napoli
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