“Cous Cous Klan”: c’è ancora speranza nel marcio
Carrozzeria Orfeo in scena al Teatro Bellini di Napoli, ancora fino a domenica 16 dicembre, con la storia tragicomica di una piccola comunità di senzatetto, in lotta per la sopravvivenza.
di Antonella D’Arco
Un parcheggio dismesso nella periferia di una qualche città, due roulotte avvolte nel marciume, il vecchio modello di una Panda arrugginita: rappresentano lo spazio vitale di un gruppo di derelitti, una piccola comunità di senzatetto, gli eroi sporchi e malmessi di Cous Cous Klan, l’ultimo spettacolo di Carrozzeria Orfeo, in scena al Teatro Bellini di Napoli fino a domenica 16 dicembre.
Tre fratelli: Caio (Massimiliano Setti), ex prete nichilista che ha lasciato il Vaticano dopo aver scoperto il suo coinvolgimento in alcuni affari poco leciti, Achille (Aleph Viola) sordomuto e gay represso, e Olga (Beatrice Schiros) obesa e senza un occhio, col dolore di aver abortito e l’ossessione di voler un figlio a tutti i costi adesso che ha più di cinquant’anni, vivono oltre la recinzione, imposta dal governo, in quella discarica, scarto di terra per scarti di uomini. Al di là di quel limbo, da un lato ci sono i ricchi, i potenti che ancora possono godere del bene primario: l’acqua, le cui sorgenti sono state militarizzate; dall’altro il cimitero e la fossa comune degli zingari, luogo di oblio e di morte. La voce fuori campo (Andrea Di Casa) di Radio Clandestina ricorda – come se ce ne fosse bisogno – che la condizione di miseria, a cui la privatizzazione dell’acqua ha costretto i più, peggiora di giorno in giorno.
I tre personaggi condividono la scena con Mezzaluna (Pier Luigi Pasino), compagno saltuario della donna, un musulmano da dieci anni in Italia, vergogna per la sua famiglia e la sua religione perché incapace di compiere un attentato terroristico. Per campare i fratelli trafugano bare, depredando i cadaveri di tutto quello che hanno addosso per poterlo rivendere, mentre Mezzaluna sotterra rifiuti tossici per un’associazione criminale e fa l’ambulante.
Razzismo, intolleranza, marginalità, rassegnazione a quel degrado dettano le parole alla drammaturgia, cinica, urticante, politicamente scorretta, fortemente ironica di Gabriele Di Luca. Un elenco delle brutture del mondo, una summa delle sconfitte e delle tragedie del viver quotidiano che si scaglia con violenza e rimbalza dalla scena (curata da Maria Spazzi) fino alla platea. La regia condivisa di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi impartisce un montaggio veloce alla narrazione, sorretto dal ritmo degli attori, dalla loro caratterizzazione come maschere contemporanee (nei costumi di Erika Carretta), dal taglio delle luci (di Giovanni Berti) e dalle musiche (di Massimiliano Setti) che accompagnano le atmosfere di un futuro non così difficile da percepire nel nostro presente, e le sfumature del cambiamento di questo gruppo di reietti nella lotta per la sopravvivenza.
È tutto paradossale, esagerato, eccessivo. Un’iperbole di argomenti accresce il flusso della scrittura. La scansione scenica sostenuta sembra non lasciare il giusto spazio per affondare nella dimensione del pensiero, ma non è così. Si ride tanto, si riflette di più. Le parole taglienti, precise, affilate della drammaturgia trovano respiro per la riflessione in Caio, coscienza collettiva di quella piccola comunità. È lui il leader, l’interlocutore con il quale si trova a trattare Aldo (Alessandro Federico), ex pubblicitario in disgrazia, sbattuto fuori casa dalla moglie e sbattuto fuori dal confine protetto, borghese e perbenista della recinzione. A Caio che è “stanco di combattere” si contrappone la mentalità del vincente di Aldo, non ancora pronto a rassegnarsi, ma con la voglia e con la necessità di mantenere il proprio lavoro e di recuperare il rapporto con il figlio.
Il precario equilibrio di convivenza, minato in un primo momento da questo incontro, resta solido, aggiungendo al gruppo un nuovo elemento. La crisi si abbatte quando irrompe, in quell’universo di decadente umanità, Nina (Angela Ciaburri).
Chi è Nina? O meglio “cosa” è Nina, si domanda Caio, e non soltanto lui. È una dei ribelli? Coloro che smerciano acqua illegalmente? Di lei si sa che è scappata dalla fossa comune degli zingari e che non ricorda nulla degli ultimi giorni vissuti. Nina è la visione lunare che la regia ha restituito negli occhi degli spettatori a inizio spettacolo, una visione fugace che scivola via dal tetto di una delle due roulotte per immergersi nel buio di questa storia nera. Nina è la prefigurazione di qualcosa che deve avvenire. È una presenza, un’eterea entità, un’anima. Nonostante le sue visibili psicosi e i racconti confusi è un magnete che esercita la sua forza d’attrazione sul gruppo e in particolar modo su Caio che finisce per innamorarsene.
Nina è la speranza, il coraggio, la sostanza – in una certa maniera – spirituale, che manca a ognuno di loro e che ognuna di quelle cinque esistenze cerca.
La giovane donna li convince a organizzare un improbabile furto e un ricatto ai danni del cardinale Gutierrez invischiato, insieme al magnate russo dell’acqua Jurij Danchenko, nel traffico di reliquie sacre. È stata violentata dai due e adesso cerca il riscatto per il suo corpo vilipeso e offeso. Così, spinto dalla persuasione di quella ragazza, il gruppo si costituisce come Cous Cous Klan e mette a segno il colpo. È il momento della rivalsa del popolo al di qua della recinzione; è il segno che è possibile intravedere una speranza, nonostante il marcio di quell’ “eterno fallimento” che è diventato il mondo.
Si va verso l’epilogo e in mente torna una battuta pronunciata, in precedenza, da Caio: “L’incontro con noi stessi è la cosa più sgradevole che ci possa capitare”. L’incontro è avvenuto; Nina è stata lo specchio nel quale la piccola comunità di senzatetto ha visto il proprio riflesso. Tocca al Cous Cous Klan doversi fare custode di quella bellezza intravista, di quella forza che gli è stata restituita; al clan, adesso, è affidato il compito di trasformare quel cimitero per vivi coperto di ruggine in nuova terra fertile, bagnata dall’acqua.
Teatro Bellini di Napoli
Via Conte di Ruvo, 14 – Napoli
Contatti: http://www.teatrobellini.it/