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Il prossimo 29 gennaio partirà il suo tour nazionale per promuovere “Mia madre odia tutti gli uomini”, ma intanto toglie l’armatura con cui si è sempre protetto e si racconta.

di Ileana Bonadies

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Poeta nel cuore, “maldestro” nell’animo: se dovessimo descrivere Antonio Prestieri, in arte appunto “Maldestro, in poche parole, forse queste sarebbero le più giuste.
De resto ce lo confessa lui stesso quando lo raggiungiamo telefonicamente alla vigilia della prima tappa del suo tour che dopo Napoli, dove sarà in concerto il 29 gennaio al Teatro Sannazaro, toccherà molte altre città tra cui Roma, Firenze, Bologna, Bari per promuovere il suo nuovo album “Mia Madre Odia Tutti Gli Uomini”.
Affidato alla produzione artistica di Taketo Gohara, sound designer che ha lavorato tra gli altri con artisti del calibro di Vinicio Capossela e  Negramaro, il disco arriva a tre anni dall’esordio, avvenuto nel 2015, e segna una svolta, sul piano professionale ma anche umano, nel percorso del cantautore nato a Napoli, e nel 2017 vincitore al Festival di Sanremo tra le nuove proposte con il brano “Canzone per Federica”.
Sfidando la riservatezza che lo contraddistingue, che trova però nella musica il suo contraltare più empatico ed estroverso, abbiamo percorso insieme la sua breve ma già intensa e premiata carriera che lo ha portato ad oggi, forte di una madre adorata che lo ha avviato alla musica, di un piano da cui tutto ha avuto inizio e della capacità davvero salvifica di trarre anche dal dolore energia positiva senza mai smettere di “cercare dentro il mondo la felicità”.
Sin da giovanissimo hai intrapreso lo studio del piano, ma i tuoi esordi non sono legati in verità alla musica bensì al teatro dove hai lavorato come attore, regista e drammaturgo. Che ricordi ne hai e cosa hai portato di questa esperienza nella svolta cantautoriale?
I ricordi sono tantissimi perché il teatro è stato il posto dove trovare le cose belle della vita e purtroppo oggi mi manca moltissimo perchè forse l’unica colpa che do alla musica è di avermi tolto il tempo di stare a teatro. Il teatro è tutto e nella musica mi ha aiutato molto perché dopo 16 anni di teatro quando poi sali sul palco e prendi la chitarra ti sembra tutto più facile perché la  costruzione di uno spettacolo è molto più complessa rispetto a quella di un live musicale, e quello che cerco di fare oggi e far convivere queste due arti bellissime portando a teatro non solo canzoni ma anche monologhi.
I tuoi testi sono brevi racconti intrisi di poesia, dolcezza e un costante ottimismo e invito alla resistenza anche quando si attraversa “il buio della notte”, eppure il tuo nome d’arte sembra voglia far intendere tutt’altro: volontà di separare l’apparenza dalla realtà?
No, in realtà sono maldestro realmente, non ho scelto questo nome per fare il personaggio e credo che anche le mie canzoni sono un po’ maldestre: a volte sono più riflessivo a volte meno e forse nelle canzoni viene più fuori la parte più intima, introversa, pensierosa, ma dentro di me ci sono momenti in cui me la rido abbastanza, e queste due parti convivono a volte facendo a cazzotti a volte trovando un punto di incontro ma ne giovano sempre le canzoni chè risucchiano tutta questa roba che ho dentro.

L'album

L’album

Mia madre odia tutti gli uomini” è il tuo quarto lavoro discografico: cosa è cambiato da “Non trovo le parole” del 2015 ad oggi, nella tua musica e nella tua percezione della musica in generale?
Sono passati tre anni e mezzo, un tempo breve durante il quale, però, per me è cambiato molto. Soprattutto negli ultimi due anni, infatti, questo percorso artistico non solo mi ha insegnato tanto ma mi ha evoluto anche come uomo e questo disco è arrivato nel momento in cui ho scelto di mettermi completamente a nudo e di non farmi più fottere da alcune barriere mentali che mi portavo dentro. Tutto ciò è merito di quanto accaduto in questi anni e di quanto io sono cambiato e cambierò ancora in futuro anche perché se ciò non accadesse ci sarebbe qualche problema.
Lo stesso dicasi per la mia musica e la musica in generale che sono frutto di questo tempo che può piacere oppure no ma da cui credo non bisogna mai distaccarsi completamente.
Io ho iniziato quando ormai la musica era già solo carburante per i telefonini, prima invece la si ascoltava in modo diverso: ci si metteva a casa davanti ad uno stereo buono e quella musica poteva farti sognare, crescere, sperare, immaginare. Ora, invece, è tutto più veloce forse anche è più veloce di tre anni fa e a volte la musica rischia di essere solo un sottofondo e non più un qualcosa con cui combattere, per cui battersi così come quando si legge un libro, ma questo purtroppo è il diktat delle radio: quello di non fermare mai il ritmo e dentro questo ritmo ci cadiamo anche noi senza accorgerci di quello che sta succedendo attorno.
Nel 2017 hai partecipato a Sanremo conquistando il secondo posto nella categoria Nuove proposte e vincendo il premio della critica Mia Martini: cosa ti ha lasciato quell’avventura? La ripeteresti?
È stata un’avventura bellissima che mi ha lasciato molto; io l’ho vissuta come un gioco, distaccato di quel centimetro giusto per non entrare nel vortice però è stato veramente bello. Sanremo è una settimana, una settimana che ti permette di farti conoscere da più persone ma è solo una settimana, la costruzione arriva dopo.
Adesso non so se ci tornerei, ora sto pensando a fare altro. La mia testa è impegnata a costruire nuove cose ma se mi ricapitasse l’occasione con un brano che credo che debba essere ascoltato in quel modo, in quella vetrina, allora ci ripenserei.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Da chi o da cosa ti lasci ispirare nel comporre le tue canzoni?
Da tutto quello che succede e si muove intorno a me: dalle persone, dalle situazioni, dalle cose che mi accadano, dalle donne che incontro nella vita, le muse più ispiranti per qualsiasi cosa: è sempre più interessante discutere con una donna che fare una cena a tavola con tutti uomini (rischio di addormentarmi quando ci sono solo uomini!). Quindi credo dalla vita, o almeno io ci provo a raccontare quello che avverto. La verità a volte è mia, a volte l’abbellisco, a volte la rubo dagli occhi degli altri facendola mia.
In merito al tuo ultimo album hai detto: “Con il dolore bisogna cooperare, solo in questo modo la ricerca della felicita non porta stanchezza”. E allora, come ti senti a questo punto della tua vita?
Mi sento consapevole di molte cose mentre altre ho bisogno ancora di risolvere ma credo fortemente che il dolore va accarezzato e curato allo stesso modo di una gioia perché proprio il dolore ti permette di capire che esiste la felicità, la serenità e scacciarlo, rimuoverlo non serve a niente; anestetizzarlo non serve a nulla, quello lo fanno le droghe e a me le droghe non piacciono, allora cerco di scendere giù nella mia grotta e di parlarci: solo così puoi capire veramente chi sei, dove stai andando, cosa vuoi consapevole che l’unico modo per risolvere il dolore è accettarlo attraversandolo.

***

Tappe tour (calendario in aggiornamento)
19/01/2019 Sorrento (NA) – Teatro Tasso (ore 19.00; ingresso libero fino ad esaurimento posti)
29/01/2019 Napoli – Teatro Sannazaro (ore 21.00; ingresso euro 12 + prevendita)
01/02/2019 Roma – Auditorium Parco della Musica (ore 21.00; ingresso euro 12 + prevendita)
02/02/2019 Mestre (VE) – Centro Culturale Candiani (ore 21.00; ingresso euro 15)
07/02/2019 Firenze – Sala Vanni (ore 21.00; ingresso euro 12 + prevendita)
08/02/2019 Bologna – Oratorio Filippo Neri (ore 21.00; ingresso euro 12 + prevendita)
23/02/2019 Conversano (BA) – Casa delle Arti (ore 22.30; ingresso euro 10 in prevendita, 12 al botteghino)
28/02/2019 Salerno – Modo Club (ore 21.00; ingresso euro 14 inclusa prevendita)
01/03/2019 Aversa (CE) – Magazzini Fermi (ore 22.00)
06/04/2019 Pesaro – Teatro Sperimentale (ore 21.00)

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