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A Sala Assoli in scena per il secondo fine settimana, dal 1 al 3 febbraio, il ritratto di Giulia Civita Franceschi e dei suoi “caracciolini”, protagonisti di un esperimento che agli inizi del ‘900 pose Napoli al centro dell’interesse pedagogico internazionale, e in grado di parlare ancora oggi al presente.

di Ileana Bonadies

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Dove sono? Dove sono andati?
Giulia Civita Franceschi  se lo ripete incessantemente mentre il suo sguardo è perso nel vuoto.
Per anni ha diretto la Nave-Asilo “Caracciolo”, salvando dal destino segnato di “scugnizzi” più di 700 piccoli napoletani al motto di “vitto, alloggio e civiltà”. Li accoglieva che erano malati, sporchi, incapaci di leggere e scrivere, abituati alla strada e più grandi, nella personalità e nei modi di fare, dell’età anagrafica vera. E lentamente, assecondando i tempi che la loro natura richiedeva, li faceva rinascere bambini, sfamandoli, insegnandogli a prendersi cura della nave in quanto loro nuova casa, ad assimilare le più basilari norme del benvivere come il lavarsi le mani prima di ogni pasto. Insomma, ad avere un’educazione che gli consentisse di diventare adulti autonomi, in grado di lavorare, pensare, “salvarsi”.
Per 15 anni, dal 1913 e il 1928, ha trasformato il mare nel porto più sicuro per anime perse in terra, agendo secondo una metodica senza premi o punizioni, affinché in ciascuno potesse svilupparsi quel senso di responsabilità e maturità che lo avrebbe poi accompagnato per tutta la vita da adulto.
E in effetti i risultati erano evidenti, le trasformazioni palesi. E non a caso il suo stile e l’impostazione che aveva dato alla scuola-comunità era stata molto apprezzata anche dalla Montessori.
Ma ora dove sono tutti? Dove sono andati?

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

La scena – all’interno di Sala Assoli che ospiterà “Mare Mater” ancora dal 1 al 3 febbraio – è buia, le vele ammainate e intorno c’è silenzio; un silenzio spezzato solo dalla voce addolorata di lei. La “signora” Franceschi, a cui conferisce il sigillo di veridicità autentica una straordinaria Manuela Mandracchia, dalla voce, le movenze, gli occhi comunicativi come poche volte accade. Come le sue lacrime, vere, a rigare il suo viso e la sua anima. Trafitta dal dolore per aver visto cancellare d’improvviso la sua “famiglia”. Aver visto portare via i suoi “figli”.
Perché così i fascisti avevano voluto. Perché così i numeri delle bocciature ottenute dai suoi allievi interpretavano gli insuccessi a lei imputati ignorando tutti gli altri parametri che si sarebbero dovuti invece contemplare. Perché così il regime aveva deciso che il suo progetto illuminato dovesse entrare nell’Opera Nazionale Balilla.
E allora ecco che il ricordo ritorna indietro nel tempo, mentre le foto sullo sfondo riproducono le immagini dei “caracciolini”, le vele tornano ad alzarsi, la luce si accende e sembra che tutti siamo ora sulla nave, insieme  a lei. Cullati dal mare, dal rumore dell’acqua che la scenografia di Carla Merone ed Enrico de Capoa porta in palcoscenico perché ne possiamo sentire lo sciabordare, dalle canzoncine che Giulia ha insegnato loro, in coro.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

A tenere tutto insieme – obiettivi, finalità, speranze – un amore incondizionato per il suo lavoro, la sua missione ma soprattutto per i suoi fanciulli. Quello stesso amore che se intercettato sarebbe servito ad evitare che il governo fascista le togliesse l’incarico, ma che ciò nonostante è riuscito a far crescere degli “uomini”: uno di loro ad esempio è ora professore e a dargli commovente vita è Luca Iervolino, mai fuori fuoco, ma sensibile ed empatico con il suo personaggio con estrema naturalezza; un altro, invece, vittima degli inganni della memoria e forse di quel senso di ingratitudine da mettere inevitabilmente in conto , e a cui restituisce la fragilità e la rabbia che lo contraddistingue un Giampiero Schiano credibilmente bravo a dare contezza alle emozioni che lo attraversano, ricorda poco e male quell’esperienza vissuta durante l’infanzia, e in salita e in percolo è rimasta la sua esistenza finita poi tragicamente.
Eppure ne è valsa la pena. Con lui come con gli altri.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

E se ora il vento è nuovamente fermo, le vele nuovamente ammainate, la piro-corvetta svuotata dei suoi occupanti, non sono però consumate dal tempo intanto trascorso le idee rivoluzionarie che hanno reso possibile un esperimento educativo unico nel suo genere. I cui principi basilari si confermano validi nella loro attualità e necessaria persecuzione, allora come oggi.
Quando il pensiero va – sorretto anche dalle suggestioni sollevate dal bel testo di Fabio Cocifoglia, scritto e diretto con grande cura  in collaborazione con Antonio Marfella e Alfonso Postiglione, e dal richiamo al mare, all’accoglienza, alla voglia di riscatto -, alle buone pratiche messe in piedi in questi anni da operatori illuminati – ora sindaci, ora medici, ora missionari – autori di modelli esemplari di nuove modalità di approccio e soluzione a certe ataviche problematiche, il cui operato però è stato vergognosamente calpestato e distrutto dai governi attuali.
In un corso e ricorso storico che se da un lato spaventa e avvilisce, dall’altro deve poter fungere da sprono  a riflettere sulla incisività possibile delle rivoluzioni più temerarie che mai andranno completamente disperse se sapranno essere raccolte, tramandate, condivise.
Imprimendo nel mare dell’indifferenza, a ciascuna goccia, il valore del cambiamento perseguibile e realizzabile.

***

Intervista a Fabio Cocifoglia.

di Maria Anna Foglia

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Mare mater – la nave dei bambini: già dal titolo si evince evince immediatamente l’importanza del mare e la sua funzione educativa per bambini/scugnizzi che così venivano strappati alla strada per essere restituiti alla vita. Cosa imparavano a bordo i caracciolini?
Si preparavano ad affrontare un percorso complesso: imparavano a leggere e a scrivere, quindi i rudimenti della scuola elementare e poi i mestieri del mare, quel mare visto come redentore: la navigazione, i nodi, le corde; si imparava a tenere in ordine, a pulire. Si imparava la vita, la solidarietà, il sostenersi l’uno con l’altro: c’erano infatti momenti di lettura ad alta voce, dove i più grandi leggevano ai più piccoli. I ragazzi così scolarizzati venivano introdotti al mondo del lavoro. A bordo si ponevano le basi affinché divenissero uomini.
Siamo agli inizi del Novecento e Giulia Civita Franceschi è una antesignana della pedagogia: coraggiosa e determinata, attraverso il suo metodo educativo dà centralità al bambino. Il suo spettacolo, però, pone l’accento anche sulla centralità di questa donna, sul suo genio, sul ruolo che ricopriva ma non ufficialmente a causa del suo essere, appunto, donna…
La nave fu ufficialmente assegnata alla sua guida solo in qualità di “delegata” da David Levi Morenos – scienziato e filantropo, primo istitutore delle “Navi -Asilo” in Italia – perché all’epoca non era consentito ad una donna di poter dirigere un’istituzione educativa pubblica. Franceschi è stata effettivamente “la capitana” per tutti i quindici anni di attività della nave. Con grande piglio da organizzatrice, aveva un ruolo centrale anche sul piano decisionale; intratteneva rapporti con l’estero, come nel caso di commissioni che dal Giappone venivano a Napoli per studiare il suo metodo. Lo spettacolo le dà certamente centralità, si presenta anzi come una rievocazione della storia della Caracciolo da parte sua, un recupero della memoria attraverso la sua testimonianza autobiografica. Era solita fare delle foto ai bambini – che non amava chiamare scugnizzi bensì caracciolini – prima di salire a bordo e poi durante il periodo della loro educazione del mare, in modo da seguire il loro percorso e far emergere la loro identità. Grazie a lei, alla sua forza e al suo metodo, la nave era una famiglia, dava a questi fanciulli quello che la vita aveva loro negato: un equilibrio tra elemento paterno e materno, tra disciplina e amore.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Inclusione, accoglienza, asilo; nonché binomio bambini-mare. Sono termini che – in questo momento storico – fanno parte fortemente della nostra quotidianità. Quale forza ha il teatro di includere e trattare queste tematiche per riversarle, poi, nella società civile?
La storia della nave evoca situazioni molte contemporanee e nello specifico il teatro lo fa attraverso il sentimento, l’emozione. È questo è il linguaggio dei ragazzi, loro sentono attraverso il cuore; per cui si riconsegna a questi fanciulli un pezzo della loro storia. Per noi gli adulti l’approccio è diverso, è fatto di riflessione; emerge infatti dallo spettacolo un interrogativo: quanto giusti sono certi metodi? Questo ci domandiamo, quando scopriamo che la forza e la bellezza generate dalla Caracciolo vengono interrotte dal fascismo. Si crea così un’allerta massima all’ascolto, all’ascolto dell’altro.
Napoli: città di mare, città di cuore, città dell’accoglienza. Qual è il suo rapporto con questa tua città?
Proprio così: Napoli città di cuore. Cuore profondo. Ho abitato e lavorato in diverse città, ma ogni volta che ritorno a Napoli – anche a distanza di anni – noto che c’è qualcosa che mai cambia: una forte energia fattiva, un piacere profondo di realizzare, di creare, di fare arte che veramente non si riesce a trovare in nessun altro posto. Ecco: pare si trovi qui, a Napoli, l’essenza di creare qualcosa, ogni cosa, con un senso pieno.
Teatro e bambini. Quali progetti futuri?
Saremo impegnati anche il prossimo anno con Mare Mater – La nave dei bambini. Sta succedendo una cosa straordinaria: ogni volta che siamo in scena in un posto, si crea una connessione col territorio in cui portiamo il nostro spettacolo: i ragazzini delle scuole vicine entrano come coro dei caracciolini a far parte attivamente dello spettacolo; proprio come sta succedendo in questi giorni in Sala Assoli. Diventa così un discorso corale: tutti, adulti e bambini, sono impegnati a recuperare un pezzetto della memoria di una società, della propria società. C’è un risveglio di cose belle. D’altronde il teatro non fa altro che questo: creare un movimento di vite.

Sala Assoli
Vico Lungo Teatro Nuovo – Napoli
contatti: 345 467 9142 – www.casadelcontemporaneo.it

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