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Giuseppe Battiston porta in scena il Primo Ministro inglese, e tra cinica ironia, brandy e sigari racconta l’uomo che si nasconde dietro il personaggio pubblico, in tutta la sua possente vulnerabilità.

di Irene Bonadies

Foto di Noemi Ardesi

Foto di Noemi Ardesi

La compiutezza di un lavoro teatrale è un incastro di vari elementi – testo, interpretazione, scenografia, musica, luci – che sinergicamente operano per creare in scena quella dimensione parallela in cui il teatro trasporta lo spettatore.
“Winston vs Churchill” è un esempio di tale perfetta armonia tra le diverse componenti che costituiscono una messinscena che regala non solo un’ora e più di affascinante prosa ma anche quella sensazione di appagante benessere che si prova contemplando qualcosa di bello.
Al centro della pièce, andata in scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 31 gennaio al 3 febbraio, la possente figura di Churchill: un politico che in realtà potrebbe essere un personaggio letterario ante litteram, per il suo crogiolarsi tra vizi e battute pungenti, e per la vita condotta, senza dubbio in grado di farlo ricordare come un pilastro nel XX secolo. Eppure Winston è innanzitutto un uomo, pieno di fragilità, dubbi e tormenti.
E proprio questa contrapposizione tra l’essere e l’apparire, tra l’ostentata sicurezza mostrata in pubblico e la debolezza che connotava invece la sfera privata, è sapientemente messa in luce nel lavoro diretto da Paola Rota che, ispirandosi al libro “Winston Churchill, il vizio della democrazia” di Carlo G. Gabardini, alterna l’eco dei discorsi pubblici ai ricordi personali, fino a dare voce alle più intime riflessioni dell’ex Primo Ministro a cui regala l’anima e l’impeccabile presenza scenica un Giuseppe Battiston magistrale nel trasferire al suo personaggio ormai anziano, affaticato e sempre più scontroso, la veemenza che sempre lo ha contraddistinto, curandone ogni minima inflessione e movenza.

Foto di Noemi Ardesi

Foto di Noemi Ardesi

Seduto su una imponente poltrona di pelle a volte, in moto peripatetico altre, con accanto una radio che fungerà da espediente per far irrompere il passato nella narrazione presente, e un minibar pronto a soddisfare il suo amore per il brandy, Battiston/Churchill veste ora i panni del politico-stratega che è stato, al fianco dei più grandi potenti del pianeta, ora quello dell’uomo le cui decisioni e assunzioni di responsabilità non lo privano adesso di postumi rimorsi. Tutt’intorno, a delimitare lo spazio di azione il cui perimetro è costellato di piccole luci, terra scura quasi a ricordare un campo di guerra (quello del secondo conflitto mondiale durante il quale il Regno Unito guidato appunto da Churchill si schierò contro la minaccia nazista) e i percorsi instabili su cui ogni essere umano si muove, ma anche l’ovale luminoso tipico di un circo in cui si muovono le fiere nella loro più superba superiorità.
A enfatizzare i passaggi cruciali di una storia-carriera personale inscindibilmente legata a quella di uno Stato, governato durante anni decisivi, le musiche degli Iron Maden che irrompono e scuotono – alla stessa maniera della guerra, dell’avanza nazista, dei morti in battaglia -, il rumore del bastone che batte più volte sul pavimento a riportare alla mente il suono del timpano che preannunciava l’inizio delle trasmissioni di Radio Londra, e il disegno luce di Andrea Violato che per contrasto conferisce all’insieme una atmosfera rassicurante; rassicurante come appunto l’immagine di Churchill politico, colto, consapevole del suo ruolo e dell’impatto delle sue scelte. Lungimirante, visionario, dal grande carisma e dalla forte determinazione, che ha vissuto pienamente la propria vita facendo in modo di lasciare un segno nella Storia, senza temerla ma dominandola.

Foto di Noemi Ardesi

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Eppure non è stato foriero solo di vittorie, ma anche di sconfitte, così come di dolori familiari è stata anche costellata la sua esistenza; ma forse è proprio l’aver conosciuto l’uno e l’altro aspetto della medaglia ad averlo reso in grado di leggere gli avvenimenti, di intercettare i pericoli prima degli altri, di imprimere evoluzioni che hanno poi determinato il futuro. E tutto questo “Winston vs Churchill” lo racconta con grande stile, sottolineando già nel titolo la dicotomia lungo la quale il tratteggio del personaggio avverrà, affidando alla seconda protagonista in scena – l’infermiera chiamata ad assisterlo, una brava Maria Roveran – il compito di  ricoprire con grande rigore non privo di sana fragilità il ruolo di “voce della coscienza” del risoluto ottantenne. Che grazie a lei uscirà alla scoperto, anche nelle sue contraddizioni. Mentre come in un film tutto quanto accaduto fino a quel momento gli scorrerà davanti agli occhi. E scorrerà dinanzi ai nostri occhi, che rapiti siamo con lui in quella stanza. E con lui facciamo avanti e dietro nel Tempo, non mancando di fare inevitabili raffronti con il modo di fare politica oggi, e ancor di più con l’essere politico oggi. Sorridendo delle battute pronunciate, emozionandoci per la magnificenza della prova attoriale, applaudendo per ciò a cui abbiamo assistito: una pagina della grande Storia dello scorso secolo, a cui il teatro – spogliandola dell’aspetto freddamente cronachistico – ha regalato la ricchezza ineguagliabile del valore sentimentale.

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