Manlio Boutique

In un meridione con la neve, la confessione di un figlio a una madre che ha sempre capito pur senza parlare, tra memorie e coscienze che risalgono a galla con la voglia di essere liberi di dire e di essere.

di Enrica del Rosso

Foto Masiar Pasquali

Foto Masiar Pasquali

«Risvegliatemi in un mondo più gentile». Con questa speranza, tipica di un cuore puro e addolorato si chiude lo spettacolo monologante Masculu e Fiammina di e con Saverio La Ruina (produzione Scena Verticale), andato in scena il 23 marzo presso le Vecchie Segherie Mastrototaro nell’ambito della stagione del Teatro Garibaldi di Bisceglie.
In questo racconto-confessione, La Ruina – più volte Premio Ubu e Premio Hystrio – continua nel solco del teatro d’ispirazione dialettale, un sincero sentire (e scrivere) che arriva direttamente dalla sua terra di Calabria. E se altri autori propongono una lingua locale che sfocia nel grottesco e nella ferocia, La Ruina porta sul palcoscenico una parola carica di calore e allo stesso tempo amarezza. Un miscuglio di nostalgia e malessere che pienamente rappresenta lo stato d’animo della provincia(lità) dimenticata.
Ci troviamo ad osservare (forse un po’ spiare) la visita di un figlio alla tomba di sua madre. Ha nevicato di fresco e ciò conferisce un tocco soave e allo stesso tempo gelido a questo microcosmo familiare.
Peppino però non è solo lì per rendere omaggio a colei che lo ha sempre protetto e guidato. È lì perché è giunto il momento di parlare con franchezza: «Sono un masculu a cui piacciono li masculi». Niente definizioni secche o etichette predefinite, che finirebbero per fare troppo male.
Le parole infatti sono lo strumento ultimo di derisione e sofferenza che per tutta la vita ha cercato di fuggire, senza mai poterle curare. Ed è proprio quella sua lingua, così logorroica e frenetica, a trascinare e coinvolgere. La Ruina destreggia il dialetto calabrese come uno chef utilizza un coltello affilato: è veloce, preciso, ma con naturalezza. Questa conversazione a senso unico si presenta come una delle solite chiacchiere tra comari di paese, ma in questo caso i ricordi divertenti, leggeri, stupidi si tramutano sul finale in tremendi incubi del passato non troppo passato.

Foto Tommaso Le Pera

Foto Tommaso Le Pera

Questi “ricordi mezzi belli”, come li definisce lui stesso, spaziano da una pubertà di scoperte, a un’adolescenza di ribellione e centri sociali fino a una giovinezza di emozioni afferrate sul mare di Riccione. Cosa c’è in fondo di diverso rispetto alla vita di ogni di noi? Ah già, ci sono le parole, soprattutto una, ricchione, che per ossessiva ripetizione viene svuotata di senso e resta solo come eco. Quelle parole marce e mediocri saranno quelle che macchieranno di sangue una storia d’amore e libertà. Questo è certamente il grande merito di La Ruina: riuscire a far coesistere nello stesso flusso narrativo l’imbarazzo di un ragazzo che trascorre le vacanze sulla spiaggia libera (con un ombrellone di dubbio gusto) e l’agonia e lo strazio di un giovane uomo, costretto a trascinare il cadavere del suo amato, ucciso in un omicidio a sfondo omofobico.
Masculu e Fiammina non racconta solo le difficoltà storiche (e spesso moderne) degli omosessuali, ma più nello specifico il bilancio conclusivo di una vita passata nella ricerca di una gentilezza, di un affetto sicuro da stringere forte senza vergogna e senza paura. E quindi inevitabilmente in questo ciclo masochistico di gioia e buio, l’unico faro e l’unica certezza è quella madre silente, comprensiva e apprensiva, consapevole ma senza mai ammetterlo, che si ammalava “strategicamente” per riavere il figlio con sé.
Ecco che sul finale la neve torna protagonista: un desiderio di ibernazione che anestetizzi ogni male e lo proietti direttamente nel futuro. E noi speriamo davvero di non aspettare troppo per vedere questo mondo più gentile.

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