Il valore (sconosciuto) dell’arte
Perché nonostante un contratto a tempo indeterminato gli orchestrali italiani sono in perenne condizione di precariato? Con uno sguardo all’Italia e uno agli States, il punto sullo stato dei fatti.
di Luca Signorini*
È brutto parlare di cose che non si conoscono, e io non voglio fare brutte figure. Voglio parlare del pochissimo che so e tacere sul molto che ignoro. Al massimo potrò trarre da questo misto di competenza e di ignoranza qualche deduzione.
Quello che so è che negli Stati Uniti c’è (o c’era) un sistema fiscale formidabile. Lo dico perché tanti anni fa suonavo spesso negli States e, fermandomi con la macchina in qualche supermercato per comprare due mele e un panino, conservavo lo scontrino; poi, prima di rientrare in Italia, lo spedivo all’ufficio delle imposte e pochi mesi dopo ricevevo a casa mia un bell’assegno di rimborso tasse. Questo lo so per certo, avendolo vissuto in prima persona.
Un’altra cosa che so per certo è che i contratti di lavoro nelle italiane Fondazioni Lirico Sinfoniche sono a tempo indeterminato, per buona parte delle maestranze, e che invece negli States (ma questo lo so solamente per averlo ascoltato direttamente da alcuni orchestrali americani) sono a tempo determinato, quadriennali per la precisione. Cioè, il violoncellista americano e i suoi colleghi sono precari.
Un’altra cosa che so è che loro, gli orchestrali americani, dopo quattro anni di contratto sono in condizioni (quasi) di acquistare una bella casa, per quanti soldi hanno guadagnato. Mentre so che io, avendo contratto un mutuo nel 1989, ho pagato interessi all’11,50 per cento per molti anni e che se non mi avesse aiutato papà non sarei diventato proprietario di immobile nemmeno dopo otto, e nemmeno dopo sedici anni, con lo stipendio che avevo e con le tasse che pagavo. Però avevo un contratto a tempo indeterminato.
Ho assistito all’incontro del Governatore De Luca con i lavoratori del Teatro di San Carlo. Non c’ero ma l’ho visto registrato. Il Governatore, tra le molte cose, ha detto chiaramente che la regione Campania paga un sacco di soldi per sostenere il Teatro di San Carlo, cosa che altre regioni non fanno, e che il Comune di Napoli paga, per sostenere il Massimo napoletano, un tozzo di pane, cosa che altri comuni non fanno, scucendo anzi belle somme. E che, insomma, è bene saperlo. È bene sapere quali sono i fatti.
Ora lo abbiamo saputo e la mia gratitudine va alla Regione Campania come, so per certo, la Regione Campania mi è grata (come è grata a tutti coloro che lavorano in teatro) per l’impegno, la qualità e lo spirito di servizio espressi.
Un’altra cosa che so è che c’è un problema (ma questo lo so solo perché lo leggo su un quotidiano) tra la Camera di Commercio e il Teatro San Carlo, per una questione di soldi: li do a te, no li do a lui, a loro, a te non li do più, insomma cose di questo tipo. Chiedo scusa per l’approssimazione.
L’ultima cosa che so è che da quando mi sono diplomato in Violoncello, nel lontano 1980, si parla di Enti Lirici (ora Fondazioni lirico-sinfoniche) in crisi. Da sempre, senza interruzioni.
Per concludere.
Accertato che negli States il lavoro è precario e quelli che fanno il mio mestiere se la passano molto bene. Assodato che da noi il lavoro è diciamo “stabile” e i lavoratori del mio settore stanno sempre e da sempre sulle spine.
La domanda è: i nostri politici e gli italiani di cui essi sono portavoce e rappresentanti, quale valore danno al mio lavoro? anzi, andiamo a monte: considerano la musica classica un valore? da Giuseppe Verdi all’ultimo violino di fila di un’orchestra lirica essi, politici e rappresentati, apprezzano, colgono, sentono nella loro pancia e nel loro cuore la tangibile ricchezza che si esprime in queste partiture e nella loro realizzazione? sanno che non si ascolta Tosca per passare una serata ma che tanto Tosca quanto una sonata di Brahms per clarinetto e pianoforte sono enti portatori di valori superiori, diciamo proprio “indipendenti” da noi tutti, musicisti e operai, medici e fruttivendoli, ingegneri e negozianti, che possiamo e dobbiamo cibarcene per non immeschinire le nostre vite più di quanto esse già non siano decadute nelle anguste strettoie delle necessità primarie ossia mangiare, bere e quel che ne consegue?
Io spero di si, che loro lo sappiano. Perché è tutto lì, quello è il punto. So che apparirà come un retorico e vuoto appello e che la realtà del far di conto e dell’amministrare grandi numeri di danari e di persone è assai complesso, io non riuscirei nemmeno a pensare di amministrare cose simili, sono ignorante e all’oscuro di quasi tutto ma una cosa voglio dirla ugualmente: o si riconosce la maestosità dei valori espressi dall’arte, o ogni dialogo e progetto sarà asfittico. Con o senza capacità amministrative. Con o senza un buon sistema fiscale. Con o senza contenziosi istituzionali. Con o senza precariato.
*Luca Signorini, scrittore, musicista e compositore, è Primo violoncello del Teatro San Carlo di Napoli e docente al Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento