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Alla scoperta di un edificio storico della città sulla cui controfacciata trionfa “La cacciata di Eliodoro dal tempio”, un affresco del 1725 opera di Francesco Solimena.

 di Riccardo Prencipe*

La Chiesa del Gesù Nuovo

La Chiesa del Gesù Nuovo

La chiesa del Gesù Nuovo (in Piazza del Gesù, a Napoli) è stata di recente oggetto di una di quelle notizie strappa click a cui molte testate hanno dato credito. Si è parlato di musica sulla sua facciata, si è parlato di note musicali sul bugnato.
La facciata presenta il cosiddetto “bugnato a punta di diamante”, è fatta cioè di pietre piramidali che sporgono dalla superficie piana. Un tipo di bugnato piuttosto raro; un altro esempio celebre è quello del Palazzo dei diamanti di Ferrara.
Ebbene ogni pietra piramidale presenta un simbolo intagliato su uno dei lati.
Secondo la teoria in questione i simboli sarebbero note musicali e sulla facciata sarebbe stata incisa una sinfonia nascosta, a cui è stato dato il titolo di “Enigma”.
Si tratta di una fantasiosa invenzione, basta fare altri 200 metri a piedi, recarsi a Piazza Bellini, e si possono vedere sulle mura greche altri simboli simili. Basta passeggiare per i cardi di Pompei per vedere sui blocchi del marciapiede altri marchi dalla analoga funzione. Ebbene tutti questi simboli, o marchi, assolvono al medesimo scopo: si tratta di contrassegni lapicidi. La ragione è semplice: per ottenere in poco tempo centinaia, o migliaia di pietre di piperno modellate allo stesso modo, ci si dovette servire di più botteghe di scalpellini in simultanea. Gli scalpellini di ogni bottega marchiavano ogni singola pietra da essi modellata con un simbolo, in modo da evitare fraintendimenti, e – soprattutto – fornire una prova, una ricevuta, per assicurarsi il dovuto pagamento. Non dimentichiamo che lo stabile, in origine palazzo privato del Principe Sanseverino (trasformato in chiesa solo successivamente), era isolato da altre costruzioni. Il bugnato infatti correva tutt’intorno. E il numero di bugne a punta di diamante doveva essere maggiore rispetto a quelle che oggi restano sulla facciata e (in minima parte) sull’ingresso laterale della chiesa.
Come semplice prova circa l’impossibilità di parlare di note musicali, di melodia, o di sinfonia, basti fare una semplice considerazione tecnica: anche se a ogni simbolo corrispondesse una nota, non vi è alcuna traccia della durata delle note stesse. Avremmo quindi una sfilata casuale di sette suoni “sospesi” senza durata, né ritmo, il che non darebbe vita a nessuna musica, esistente o inedita che sia. Con una scala diatonica si potrebbero comporre – idealisticamente – un numero infinito di melodie.
Per non parlare del fatto che, nel XV secolo, esisteva un sistema di notazione ben definito, e non avrebbe avuto senso camuffarlo e complicarlo in questa maniera, senza alcuno scopo.
La vera sinfonia di questa chiesa è a nostro parere, quella dipinta nella controfacciata (cioè nel lato interno della facciata). Entrando in chiesa e voltandosi si può vedere, al di sopra della porta di ingresso, uno dei capolavori della pittura tardobarocca napoletana, firmato F(rancesco) Solimena P(inxit) 1725.

La Cacciata di Eliodoro

La Cacciata di Eliodoro dal tempio

Partiamo dal soggetto: la Cacciata di Eliodoro è un episodio biblico. Eliodoro, in nome di un ordine impartitogli dal suo Re, cerca di rubare il tesoro del Tempio di Gerusalemme; il tempio era infatti ricco di tesori donati grazie all’apprezzatissimo operato del gran sacerdote Onia (raffigurato in preghiera nella parte alta del nostro affresco). Riporto il passo dell’antico testamento relativo alla punizione, cioè al momento dipinto dal nostro pittore:
Accompagnato dalla guardia del corpo (Eliodoro) era ormai vicino alle casse del tempio, quando il Signore dell’universo, l’Onnipotente, si manifestò in modo sorprendente. La potenza di Dio colpì quelli che avevano osato entrare in quel luogo: essi rimasero tutti senza forze e pieni di spavento. Ad essi apparve un cavallo, bardato con ricchi finimenti e montato da un cavaliere terribile. Procedeva con impeto e tirava calci a Eliodoro con le zampe anteriori. Le armi del cavaliere sfavillavano come l’oro. Davanti a lui apparvero ancora due giovani straordinariamente forti, eccezionalmente belli e rivestiti di abiti favolosi. Uno da una parte e uno dall’altra, colpirono ripetutamente Eliodoro finché, pieno di ferite, stramazzò a terra e fu avvolto da un’ombra scura. Alcuni uomini lo presero, lo misero su una barella e lo portarono fuori. Così quell’uomo, che prima era entrato nella camera del tesoro con un grande seguito e con la guardia del corpo, ora veniva portato via, incapace di aiutarsi da solo. 
La scena viene meravigliosamente trasformata da Solimena in qualcosa di altamente corale: il cavaliere viene ripreso alla lettera, mentre i “due giovani” del testo biblico vengono dipinti nei due angeli, Eliodoro è il giovane con la verde corazza che giace al centro nella parte bassa dell’affresco, sugli ampi gradini.

Il pastore Cuciniello

Particolare dell’affresco

Francesco Solimena inserisce una spasmodica moltitudine di corpi e dettagli architettonici. Osserviamo l’angolo in basso a sinistra: a fianco alla firma uno spettatore di spalle e un cane volgono il loro sguardo verso il centro del dipinto, stessa cosa fa quella monumentale e possente donna con bambino in piedi, sono molte le donne in questa zona dell’affresco, altra citazione alla lettera del passo biblico:
“Anche le donne affollavano le strade, vestite di sacco. Le ragazze, che di solito erano in casa, accorrevano alcune alle porte, altre sulle mura della città, altre ancora si affacciavano alle finestre. Con le mani protese verso il cielo, tutte innalzavano preghiere”
Nell’angolo in alto a sinistra un uomo ci aiuta a mettere a fuoco il soggetto indicandolo, sporgendo da una colonna drappeggiata come fossimo a teatro. In alto un’esplosione di angeli nel giallo, un guizzo di melodia luminosa, mentre al centro, lievemente decentrati sulla sinistra, il gruppo principale: Eliodoro con la sua verde corazza, spada ed elmo a terra, cerca maldestramente di difendersi dai colpi del cavaliere e dei due angeli. Nel frattempo tutti riportano il prezioso vasellame e il resto del tesoro nel tempio di Gerusalemme. Al di sopra di queste figure il sacerdote Onia in preghiera di fronte a un altare coperto da uno spettacolare panneggio scenografico, e immerso in una sontuosa architettura che si moltiplica all’infinito. Se non fosse per la scritta ebraica sulla balaustra ci sembrerebbe di essere in una rissa tumultuosa della Napoli del Settecento, in un ricco palazzo.
A chiudere l’affresco un vero e proprio pastore, scappato dal presepe Cuciniello della Certosa di San Martino, posto nell’angolo in basso a destra, che guarda una figura tagliata sgattaiolare via.

Giuseppe Sanmartino , "Angelo", New York, MET

Giuseppe Sanmartino , “Angelo”, New York, MET

Veniamo ora ad un’altra questione: perché mai i gesuiti avrebbero voluto proprio questa scena? E perché mai nella controfacciata della chiesa? La risposta è semplice: immaginiamoci uno degli ordini più ricchi e potenti della penisola colonizzare questo palazzo napoletano, trasformarlo in chiesa e riempirlo di reliquie, reliquiari busti in legno dorato e in argento, e una quantità immane di ex voto di materiali preziosi, oggi in parte ancora presenti.
Al termine della messa, e subito prima di tornare al mondo reale, le persone dovevano aver un monito guardando questo grande affresco, di cui la posizione strategica: in controfacciata, cioè subito prima di uscire dalla chiesa. In questo modo e con questo messaggio essi dovettero provare a fugare ipotetici pensieri di furto e tentazioni: rubare il tesoro dei Gesuiti sarebbe stato come rubare il tesoro del tempio di Gerusalemme, e la punizione altrettanto terribile.
D’altronde era in piena coerenza con la politica visiva della chiesa. L’uso delle immagini in contofacciata assolvevano spesso a questa funzione di monito prima di tornare al mondo reale: basti pensare alle tante controfacciate con temi analoghi: la Cacciata dei mercanti dal tempio dipinta da Luca Giordano ai Girolomini, il Giudizio universale nella chiesa di Sant’Angelo in Formis, o a quello della chiesa di Sant’Agata a Sant’Agata dei Goti.

Ma torniamo al Gesù Nuovo.
È proprio a partire da quest’affresco che, a mio parere si potrebbe comprendere meglio quello che è stato già definito “il secolo della galanteria”, ovvero il Settecento napoletano, in musica, in arte e nel teatro.
Iniziamo dalla data: 1725.
Siamo durante il trentennio di dominazione austriaca della città, i Borbone non sono ancora entrati in gioco. Il 1725 è, inoltre, l’anno di morte, a Napoli, di uno dai padri della scuola musicale barocca napoletana, Alessandro Scarlatti. Il grande compositore era amico di Solimena stesso, a dircelo è un biografo contemporaneo dei due, nonché il principale biografo degli artisti napoletani: Bernardo De Dominici. Negli stessi anni il figlio di Alessandro, Domenico Scarlatti, era in giro tra Napoli, Roma e Parigi, nei suoi anni d’oro.
Domenico, in una prova di abilità al clavicembalo con Haendel, venne giudicato addirittura superiore a quest’ultimo.
Sono inoltre gli stessi anni di un compositore di grande talento, ma ancora oggi poco considerato: Francesco Durante, che nel 1725, a 40 anni, si insediava sulla cattedra del Conservatorio napoletano di Sant’Onofrio (prima dell’unificazione dei quattro conservatori nell’odierno San Pietro a Majella). Durante è forse tra i più sottovalutati compositori napoletani di quel momento storico. Tra i pochi ad accorgersi del suo talento fu Jean Jacques Rosseau, definendolo “tra i migliori compositori italiani”.

Particolare dell'affresco

Particolare dell’affresco

Il rapporto tra l’affresco e la musica napoletana del ‘700 ci pare strettissimo, soprattutto in senso stilistico: un uso incredibile del contrappunto ed una sovrabbondanza di note generano quello che viene definito Horror Vacui (il terrore del vuoto), sia esso inteso come volontà di riempire qualsiasi spazio dell’affresco, che volontà di riempire qualsiasi spazio della partitura musicale. La vena malinconico/teatrale è inoltre prepotente sia nell’espressioni e nei gesti dei personaggi, che nelle partiture di Francesco Durante e compagni.
Allo steso tempo i guizzi di luminosità prepotente non mancano affatto in entrambi i casi. I momenti che brillano nella musica di Durante sono il corrispettivo visivo del guizzo di giallo nel gruppo di angeli in alto, immersi nel turbinio generale. I rapporti più stringenti con questo grande romanzo figurato li cercherei nel Requiem di Durante e nei concerti per arco (che proponiamo come ascolto in riferimento a quest’opera), in particolar modo il concerto n 6 in Mi Bemolle Maggiore mi sembra un ascolto ad hoc.
Lo stesso de Dominici non parla in toni entusiasti del nostro affresco, ed in particolar modo pare che a molti “dispiaceva non vedervi ciò che desiderava il pubblico”. Sembra infatti che i contemporanei non avessero gradito l’opera.
Il motivo non è difficile da comprendere: si tratta di qualcosa di estremamente innovativo rispetto agli illustri precedenti (Raffaello in primis).
La matrice pittorica di partenza non può che rintracciarsi nella grande pittura veneta del 500, in particolar modo queste scene affollate altro non sono che una versione ingentilita ed aggiornata delle grandi invenzioni di Paolo Veronese. Il Campanile sullo sfondo del nostro affresco sembra ripreso quasi ad litteram dal campanile delle nozze di Cana oggi al Louvre, idem per l’uomo che sporge dalla colonna indicando, d’altronde il nostro pittore non era nuovo a citazioni fortissime della pittura veneta, e non lo erano gli altri pittori operanti in città, in particolar modo Luca Giordano (suo maestro) e Mattia Preti.

L'Incendio di Borgo di Raffaello

L’Incendio di Borgo di Raffaello

Solimena non era mai stato indifferente al Cinquecento. I popolani e le donne pilastro mirabilmente dipinti nell’affresco del Gesù hanno illustri antenati in quelli dell’Incendio di Borgo di Raffaello, nelle stanze Vaticane.
Una citazione ad litteram dallo stesso soggetto di Raffaello è inoltre la preghiera del sacerdote posta nella parte più alta dell’affresco. Il Sacerdote in preghiera di fronte a quella stessa tipologia di candelabro sembra infatti ritagliato del celebre affresco in Vaticano.
Un secondo aspetto di non poco conto è la teatralità dell’opera. Non dimentichiamo che nel 1723 venne costruito il Teatro Nuovo, progettato proprio da un allievo di Solimena, Domenico Antonio Vaccaro. Nel settembre del 1723, a poca distanza dal Gesù, avviene la prima assoluta di “La Locinna” di Antonio Orefice, e nel 1724 di “Lo Simmele” dello stesso autore.
Altro teatro allora in voga era il Teatro dei fiorentini, sempre a poche centinaia di metri dalla chiesa del Gesù, più tardi distrutto dalle aberranti architetture fasciste nel rione carità ed oggi trasformato in sala scommesse. Era il teatro più antico della città. Esso visse una stagione d’oro tra il 1713 e il 1745. Quel drappo rialzato sulle colonne pare un vero e proprio allestimento teatrale, la scena stessa fa della teatralità il suo forte, addirittura anteponendo l’importanza scenografica anche a discapito del tema principale.

Francesco Solimena, bozzetto per "La Cacciata di Eliodoro". Torino. Pinacoteca Sabauda

Francesco Solimena, bozzetto per “La Cacciata di Eliodoro”. Torino, Pinacoteca Sabauda

– Fortuna visiva e citazioni –
Di sicuro possiamo rintracciare una vera e propria citazione ad litteram da parte di Ludovico Mazzanti, nell’omonima scena affrescata sulla porta di accesso a uno dei due campanili (sempre in controfacciata) nella chiesa dei Girolomini a Napoli.
A poco più i 10 anni di distanza il pittore romano si concentra sulla scena principale, evitando le dispersioni che poco erano piaciute ai contemporanei, e inserendo sullo sfondo la preghiera del Sacerdote Onia, che in un primo momento invoca la protezione del signore, e dopo che Eliodoro verrà punito, pregherà, ed otterrà , la sua salvezza.
Un altro aspetto che mi pare non sia mai stato sottolineato è il rapporto tra questa sinfonia visiva e il presepe napoletano del ‘700. Molti scultori iniziarono infatti a cimentarsi con la manifattura di pastori, il caso più celebre è quello di Giuseppe Sanmartino. L’autore del Cristo Velato non si sottrasse alla produzione di meravigliosi pastori in terracotta, oggi al museo Nazionale di Sanmartino. Ma in particolare, alcuni angeli del Sanmartino al MET di New York, sembrano versioni tridimensionali degli angeli sulla controfacciata del Gesù nuovo.
La distinzione tra arti minori ed arti maggiori è un pregiudizio nostrano, i pittori guardavano anche i figurari, ascoltavano musica, frequentavano altri artisti e andavano a teatro. La storia dell’arte non è che un frammento dell’arte globale del proprio tempo, che viene meglio compreso se messo insieme agli altri anelli della catena.
Un ultimo riferimento sulla fortuna visiva di Solimena va fatto con il bozzetto dell’affresco in esame. Tra i più celebri bozzetti, quello della Pinacoteca Sabauda di Torino, svela che doveva esservi una bellissima idea che venne poi troncata, nella versione definitiva, dalla porta di ingresso alla chiesa.
Nella parte bassa infatti doveva spiccare una figura riversa, con le gambe leggermente divaricate e un panneggio a coprire l’inguine. L’uomo ha con sé un vaso, si tratta probabilmente di un complice di Eliodoro in fase moribonda per aver contribuito al tentativo di furto.
Nella celebre Zattera della Medusa di Théodore Géricault, oggi al Louvre, si ritrova una figura in posizione analoga, ovviamente con con un imprinting romantico, a toni forti. Di certo Non possiamo dimostrare che Gericault abbia visto e citato Solimena, ma l’idea che possa esserci un germe di pittura napoletana in quel manifesto rivoluzionario mi ha sempre sedotto.

 

Riccardo Prencipe si è laureato con Ferdinando Bologna all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, ha poi conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in scienze Storico-Artistiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Insegna Storia dell’Arte presso il Liceo Classico Giordano Bruno di Maddaloni (CE).
Compositore e chitarrista, si è diplomato in chitarra presso il conservatorio di Napoli San Pietro a Majella ed ha poi proseguito lo studio dello strumento con il maestro Aniello Desiderio.
Ha all’attivo diversi saggi e articoli di storia dell’arte, oltre ad una nutrita produzione discografica. Ha già svolto numerose conferenze sui rapporti tra arte e musica all’Università degli Studi di Firenze, all’Auditorium di Capodimonte, al Teatro Tempio di Modena, alla Biblioteca di Villa Bruno a San Giorgio a Cremano.
Dal 2005 fonda e dirige l’ensemble Corde Oblique in cui riveste il ruolo di compositore, autore e chitarrista. Ha licenziato sei album distribuiti da case discografiche francesi, inglesi, portoghesi, tedesche, russe e cinesi ed ha all’attivo decine di concerti in Italia, Europa, Albania ed Cina, oltre a collaborazioni con artisti del calibro di Milo Manara e Franco Fontana.

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