Se ‘na tazzulella ‘e café potesse parlare…
Secondo appuntamento con “Microstorie”, la rubrica a cura della scrittrice Marina Cuollo. Libri, cinema, storia e cultura al centro dei brevi racconti in esclusiva con cui andremo alla scoperta di Napoli e dei suoi protagonisti, tra seria ironia e irriverente sincerità.
Il sapore del caffè è più dolce di mille baci, diceva Bach. E aveva non una, ma mille ragioni.
Come lo so?
Lo so perché se c’è qualcuno che ne sa di caffè, quella sono io.
Il caffè è il mio lavoro, e pure la mia vita.
In più la mia è una città che ha fatto del caffè il suo patrimonio. Sono di Napoli: creata e fabbricata qui. E da qui non mi sono mai mossa. Non so dirvi da quanto sia al mondo, ma di acqua sotto ai portafiltri ne ho vista passare un bel po’.
Eppure sono ancora intatta, sembro quasi nuova. Tante non ci arrivano mica alla mia età così in forma. Certo quelle come me sono resistenti, ma non indistruttibili: molte mie colleghe se la sono vista brutta, finite in frantumi alla prima distrazione. Eh, non è facile fare questo lavoro, soprattutto in un posto prestigioso come questo.
Però che bella Napoli, quando finisco nei tavolini più esterni una sbirciatina a Piazza Plebiscito gliela do sempre, come si fa a non ammirarla, e poi piazza Trieste e Trento, quella fontana è un incanto. Il mio bar è circondato da tanta bellezza, ma anche lui non è da meno. È un posto storico questo, Il Gran Caffè Gambrinus, sembra una macchina del tempo, quando metti piede qui dentro il passato ti parla. Ogni parete profuma di storia, di arte e di meraviglia per gli occhi. Quanti scrittori si sono fermati a scrivere qui, quanti grandi registi hanno girato scene memorabili, io qualcuna l’ho vista pure. E che bellezza quando ci passano davanti le ballerine del San Carlo, sono così leggere, ci manca poco che si stacchino da terra come palloncini pieni di elio. Io le guardo e spero sempre che si fermino per ordinare qualcosa, sono sempre gentili con noi. Mica tutti i clienti lo sono, ci sono quelli che sbattono il cucchiaino talmente veloce che ti fanno venire il mal di testa, per non parlare di quelli che invece di girare lo zucchero come tutti i cristiani, si mettono a grattare sul fondo. Ma che c’avete da grattare? Vi volete bere pure la ceramica? A parte che lo zucchero… vabbuò, i gusti son gusti, come si dice.
Fatto sta che da quando faccio questo lavoro ho imparato a riconoscere le persone da come prendono il caffè. Per esempio, ci sta quello che va sempre di fretta, non si siede mai al tavolino, beve il suo caffè sempre al bancone e non ha il tempo neanche di guardarsi intorno. A me un po’ dispiace perché penso sempre che il caffè sia un pretesto per osservare le cose belle che ci capitano sotto il naso. Poi, ci sta quello che viene sempre di mattina presto, con la faccia mezza addormentata, e dice che se non prende il suo caffè non riesce a fare più niente e rimane intrattabile tutta la giornata. Ma posso capirlo, eh, per molte persone il caffè è un rito, un bisogno, una necessità dell’anima. E poi ci sta quello che prende sempre il caffè particolare, con la panna montata o la cremina di nocciola. Ah, questa gente moderna… quando ero giovane io un caffè era solo un caffè, o al massimo era un caffè con le tre “C”, comm’ cazz’ coce. Ora non si capisce più niente: caffè ristretto, caffè lungo, caffè freddo, caffè in tazza grande, caffè schiumato, caffè caldo in tazza fredda. Un vero manicomio!
Ma sapete chi sono quelli che mi stanno più simpatici di tutti? Quelli che hanno l’abitudine di offrire sempre il caffè. Che siano amici o perfetti sconosciuti, non importa, a loro piace fare questo gesto e a me piace guardarli mentre lo fanno. Li osservo mentre si affrettano a bloccare la mano della persona che gli sta accanto sorridendo, e con quel “faccio io” si sbrigano a tirare fuori i soldi dal portafogli. Mi piacciono quelle persone, hanno una bella luce negli occhi, una luce limpida e sincera
Ora però scusatemi, eh, ma devo proprio andare, sento una voce familiare.
“Un caffè al tavolo dieci!”
Voi mi capirete, una tazzina che si rispetti deve fare sempre il suo dovere, perché noi siamo come i poliziotti, siamo nate per proteggere e servire: proteggere le dita dal calore e servire il caffè più buono di Napoli.
[Marina Cuollo è nata a Napoli nel 1981. È laureata in Scienze biologiche e Dottore di ricerca in processi biologici e biomolecole. Grafica pubblicitaria per scelta e mestiere, ha collaborato come autrice con il portale Pianeta Donna. Finalista della IX edizione del Concorso artistico-letterario “Il Volo di Pegaso”, ha pubblicato con Sperling & Kupfer il suo libro d’esordio, “A Disabilandia si tromba” (2017, Premio della Critica al Premio Letterario Milano International). Ha partecipato alla nuova edizione dell’antologia “La Bibbia dei non credenti” (2018, Piemme) a cura di Francesco Antonioli]