Se anche Bach è vittima di camorrìa…
La vita dentro e fuori Camorrialand nell’editoriale tragicomico a firma del M° Signorini.
di Luca Signorini
Camorrìa è una parola che mi è sempre piaciuta. Non camurria con la u, il cui significato si trova facilmente su wikipedia. Proprio camorrìa: «Lì è tutta una camorrìa!» «Ho parlato con quelle persone: Gesù, che camorrìa!» Non è camorra, è diverso. La camorrìa è meno solida della camorra, è semmai fangosa. La camorrìa puzza ma non di quelle puzze ben definite, semmai puzza d’una vecchia untuosità. La camorrìa è gente che ha croste di polvere sedimentate, di quella polvere mai tolta per anni che con l’umidità e lo sporco crea un sodalizio dall’aspetto indefinibile.
L’uomo intriso di camorrìa veste male. Se indossa un abito elegante lo indossa pieno di grinze, ma è difficile che il concetto di eleganza sia contemplato e riconosciuto dal soggetto che definisco, coniando qui uno sgradevole neologismo, camorrìo. Il camorrìo veste male anche se veste roba firmata. E spesso veste roba firmata perché si fida della firma senza sapere minimamente cosa stia acquistando. Il camorrìo non è illuminato da valori eticamente sani. Se è appena appena scaltro si serve dell’uomo onesto per nascondervisi dietro; se invece è un sottoposto, si serve del suo superiore come ci si serve della carta igienica. Ride comunque di tutti, ma non ride con una vera e propria risata perché la risata vera, quella che facciamo da bambini e che conserviamo da adulti (solo a condizione che si sia riusciti a passare indenni dalle orde di camorrìi che troviamo lungo il cammino della vita) il camorrìo non la conosce, forse non l’ha mai conosciuta. Alla fine, è un uomo profondamente solo. I suoi sodali ovviamente sono camorrìi anche loro e tra camorrìi non può esserci vera amicizia, e neanche vera inimicizia.
Impossibile ascoltare un discorso logico da un camorrìo, impossibile ascoltare un discorso sintatticamente corretto. L’errore fonetico o sintattico è necessario al camorrìo per dichiarare la propria avversione a qualunque esattezza.
A scuola il camorrìo scriveva temi orribili ed era profondamente disprezzato dall’insegnante di italiano. Ma lui non lo sapeva.
Il camorrìo è votato al male, e non sa neanche questo. Il male si annida nelle sue pieghe rugose e lo spinge ad agire in favore d’altro male per proteggersi dal bene, che teme più della morte.
Il camorrìo di solito vive una vita tranquilla quanto ignobile.
È il non-camorrìo a pagare il conto di questa ignobile tranquillità. Il non-camorrìo ha poche armi a disposizione per sopravvivere in un mondo ad alta densità camorrìesca. Il primo, la fede in Dio. Il secondo, gli psicofarmaci e la televisione. Il terzo, l’amore per gli animali e/o per le piante. Il quarto, le buone letture, a volte consumate compulsivamente: qualunque lettura lo porti lontano e gli faccia credere che il mondo non è abitato solo da camorrìi.
Un clamoroso episodio di camorrìa investì per esempio il povero Johann Sebastian Bach. Non sto a dilungarmi: ad Amburgo c’era un concorso per un posto di lavoro piuttosto ambito ma che aveva il difetto di venire assegnato in cambio di mazzette. Oh, non le mazzette come le conosciamo noi: si trattava di donazioni in busta chiusa per (apparentemente) sostenere la Chiesa. Bach si iscrisse ma non partecipò poi al concorso: pagare per un posto che gli spettava di diritto? – diritto inteso come quel tipo di valore etico aborrito dal camorrìo – Mai! Tra l’altro aveva bisogno di guadagnarli i soldi e non di regalarli, dato che aveva parecchie bocche da sfamare. Però, siccome si iscrisse comunque al concorso ed era notoriamente molto ma molto bravo, anzi il più bravo di tutti, mandò un po’ in tilt gli organizzatori. Costoro, saputo della probabile partecipazione del grandissimo organista si dissero, guardandosi tra loro: proprio qui doveva venire a rompere i coglioni? Erano dei camorrìi dei primi anni del Settecento.
Disse Nando Dalla Chiesa che la forza delle mafie è fuori dalle mafie, cosa tragica e vera. Fuori dalle mafie però ci sono i camorrìi, e fuori da Camorrìaland, a causa di una serie di ricatti e di interessi che si reggono l’un l’altro, c’è un arido deserto. A Camorrìaland, per dirla con Zigmunt Bauman, parafrasandolo un po’, tutto è possibile, ma nulla può essere fatto con certezza. L’incertezza è il risultato combinato del sentimento di ignoranza (impossibilità di sapere ciò che accadrà) e di impotenza (impossibilità di evitare che accada). Chi è fuori da mafie e camorrìe vive sempre con una strana paura: una paura che fluttua alla disperata ricerca di un punto fermo.
*Luca Signorini, scrittore, musicista e compositore, è Primo violoncello del Teatro San Carlo di Napoli e docente al Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento